Al fine di adottare misure di tutela per i cittadini e poter far ripartire l’economia dei vari Paesi in sicurezza è determinante comprendere le reali dinamiche di diffusione del SARS-CoV-2, il tasso di mortalità e il grado di immunità acquisita dalla popolazione.

In California sono iniziati studi sugli anticorpi sierici contro SARS-CoV-2 che suggeriscono che il virus sia molto più diffuso di quanto pensato in base ai risultati dei soli test diagnostici che, invece, confermano un’ infezione attiva. In uno studio preliminare condotto dalla Stanford University nella contea di Santa Clara, un campione di residenti è stato testato per la presenza di anticorpi anti COVID-19 nel sangue. Ricordiamo che i test anticorpali su sangue sono anche noti come test sierologici; inoltre la presenza di anticorpi nel sangue indica che il sistema immunitario di una persona è stato esposto ed ha risposto ad una passata infezione. Sebbene la contea abbia riportato circa un migliaio di casi all’inizio di aprile, sulla base ai risultati dei test sierologici, i ricercatori hanno stimato che il numero reale di contagiati sia tra i 48.000 ed gli 81.000 casi, 50-85 volte maggiore di quelli accertati con i test diagnostici.
A distanza di una settimana, anche il Department of Health della contea di Los Angeles ha iniziato questo tipo di indagine, avviando studi simili. Gli esperti ritengono che i numeri, con le dovute differenze, racconteranno una storia analoga e, cioè, che molte più persone sono state contagiate dal SARS-CoV-2, rispetto ai casi confermati dai test diagnostici. La discrepanza tra il numero di casi rilevati tramite test diagnostici e quelli rilevati tramite test sierologici è da ricercarsi nel ritardo con cui si è iniziato a condurre i test diagnostici e nella circostanza che ha visto molte persone con sintomi lievi o nulli non essere state testate.
Un chiarimento importante va fatto a proposito degli studi condotti nella contea di Santa Clara e, cioè, che i partecipanti allo studio sono stati reclutati tramite social media dal che è derivata una disproporzione nel gruppo di partecipanti, con una eccessiva rappresentanza di donne bianche ed una bassa percentuale di latini e americani asiatici. I ricercatori hanno cercato di correggere la loro analisi in base a queste evidenze. Al contrario, nella contea di Los Angeles i ricercatori hanno reclutato per i loro studi un campione casuale di partecipanti.
Un dato molto importante emerso dallo studio condotto nella contea di Santa Clara è che una elevata percentuale (stimata tra il 30% e il 50%) delle persone infettate dal coronavirus non mostrano sintomi: tali persone possono essere state o essere mezzi inconsapevoli di contagio. E’ questo il motivo per il quale determinati livelli di distanziamento fisico devono restare in vigore soprattutto per proteggere le persone più anziane e quelle con condizioni preesistenti che sono più vulnerabili alla malattia. In questo contesto si renderà necessario estendere i test per rilevare le persone asintomatiche.

I ricercatori e gli ufficiali sanitari puntano sempre più ai test sierologici come chiave per la determinazione di come e quando allentare le misure restrittive che, finora, hanno portato ad uno “shut-down” economico senza precedenti. Se si conosce la reale diffusione del virus si può capire in che misura la popolazione è vicina al raggiungimento dell’immunità di gregge, cioè quella condizione in cui un numero abbastanza elevato di persone hanno un qualche grado di immunità al virus tale da rendere difficile la diffusione dell’infezione. I test anticorpali aiuteranno anche a capire quale sia la reale letalità del virus: finora il tasso di mortalità è stato basato sul numero dei contagi confermati, ma se il numero delle infezioni è maggiore tale tasso di mortalità risulterà minore. I risultati dei test per la contea di Santa Clara hanno portato ad una stima del tasso di mortalità tra 0.12% e 0.2%: quello della normale influenza stagionale è 0.1%. Tuttavia, al momento, gli esperti della World Health Organization, in considerazione dei pochi dati preliminari a loro disposizione, ritengono prematura la possibilità di avere una indicazione precisa sull’effettiva immunità e sul grado di protezione della popolazione. E’ quindi comprensibile che, in questa fase non sia opportuno offrire “ricette” da adottare dovendosi ancora stabilire quale sia la durata della protezione degli anticorpi.
