Trieste è la città in Europa con la più alta densità di personale scientifico: oltre 35 ogni 1.000 occupati contro una media di poco meno di 6 (calcoli usciti in occasione dell’ottava edizione del Festival della Ricerca Scientifica, tenutosi lo scorso settembre 2019.
Altri dati, rilevati nel 2018 dal SiS FVG – Sistema Scientifico e dell’Innovazione del Friuli Venezia Giulia, network di 18 prestigiosi istituzioni di ricerca della regione, tra cui Area Science Park di Trieste, il primo e più importante parco scientifico e tecnologico multisettoriale in Italia – indicano in 6285 i ricercatori afferenti agli enti data visualisation. Attualmente, il numero complessivo di ricercatori e docenti stranieri in organico negli enti o che hanno svolto parte delle loro attività in un’istituzione scientifica regionale si attesta sulle 10.700 unità, come si legge nella pubblicazione annuale “La Mobilità della Conoscenza 2019” .
La cifra è aumentata rispetto all’anno precedente, passando da 7.049 a 7.320, grazie ad un incremento delle presenze straniere, passate da 3.837 a 4.047, mentre il numero di italiani è rimasto stabile; matematica, fisica, informatica, ingegneria, scienze della terra e dell’universo si riconfermano come le aree prevalenti, con 5.536 unità.
Ecco, in cifre, spiegata la scelta di Trieste come capitale della scienza 2020, pronta ad accogliere la nona edizione di ESOF-European Science Forum – conferenza europea a cadenza biennale, dedicata alla ricerca scientifica e all’innovazione; attraverso una serie di incontri, dibattiti ed iniziative sia tra addetti ai lavori, sia aperte alla città, verranno illustrati i più recenti sviluppi e scoperte nel campo delle scienze, nella loro più vasta accezione. Il Forum si terrà dal 5 al 9 luglio ed il collaterale Science in the City Festival dal 27 giugno all’11 luglio. Ospiti? Per fare solo un nome, il relatore principale sarà Didier Queloz, Nobel per la fisica 2019.
La candidatura della città giuliana a sede per ESOF 2020 è stata avanzata dalla FIT-Fondazione Internazionale Trieste per il Progresso e la Libertà delle scienze, che affilia quasi tutte le istituzioni scientifiche che costituiscono il Sistema Trieste (ST), considerato internazionalmente come “uno degli strumenti di sviluppo sostenibile più adeguati per fronteggiare l’enorme e crescente divario tra il Nord industrializzato ed il Sud povero del pianeta, fonte di crisi, instabilità, violenze e, in ultima analisi, anche del terrorismo”, come si legge nel sito ufficiale.
La storia del Sistema Trieste risale alla fine dell’Ottocento, quando nascono istituti scientifici come l’Osservatorio astronomico (1898) e associazioni di speleologia, geofisica e biologia marina, ma la svolta arriva con Paolo Budinich: nato nel 1916 a Lussino, un’isola dell’attuale Croazia, ove la famiglia si era rifugiata per evitare i pericoli della guerra, si laurea in fisica alla Normale di Pisa nel 1939 ed entra come docente all’università di Trieste, sviluppando una lungimiranza straordinaria nell’interpretare la città come un ponte geografico e culturale e concretizzandola nei primi anni Sessanta nel Centro internazionale di fisica teorica insieme al collega, fisico teorico pakistano, Abdus Salam (poi premio Nobel).
Nel 1978 l’infaticabile Budinich crea la Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA), un’eccellenza italiana focalizzata su tre principali branche: fisica Fisica, neuroscienze Neuroscienze e matematica Matematica e supporta la nascita dell’Area Science Park di Trieste, il parco scientifico e tecnologico più grande d’Italia, che ospita un’ottantina di centri di ricerca internazionali e laboratori, tra cui Elettra Sincrotrone (specializzato nella generazione di luce di sincrotrone e di laser ad elettroni liberi) e il Centro internazionale di ingegneria genetica e biotecnologia (ICGEB ), il primo centro delle Nazioni Unite che si occupa di biologia, tripartito fra la stessa Trieste, Nuova Delhi in India e Città del Capo in Sud Africa.
Fervono i lavori per ESOF e abbiamo sbirciato dietro le quinte grazie a Nico Pitrelli – che guida il coordinamento e la realizzazione dell’attività di comunicazione e promozione – e Suzanne Kerbavcic, a capo della comunicazione e delle relazioni esterne di ICGEB: due preziose guide in un labirinto di istituti, iniziative, personaggi dai curricula capaci di azzerare in un secondo l’autostima di un comune mortale.
Mancano ancora parecchi mesi, ma la macchina dell’organizzazione è a pieni giri: Nico, sorridendo, dice che sembra di preparare le Olimpiadi, e, in effetti, si tratta di una manifestazione che andrà a raccontare proprio the best of: persone, esperienze, ricerche, risultati, scoperte nel campo scientifico – nella sua più ampia accezione – che escono dai laboratori e si riversano all’esterno, come una rete di canali che va ad irrigare i campi della società, rendendola più ricca e produttiva grazie a maggiori informazioni e conoscenze.
Appassionato sostenitore dell’importanza di un tal dialogo tra scienza e società è proprio the Champion, il Campione di ESOF 2020 (termine agile che indica il presidente del comitato direttivo), Stefano Fantoni, fisico ad astrofisico nucleare. Tra gli svariati riconoscimenti – nugellae come la medaglia di Feenberg per il suo contributo alla fisica nucleare e per lo sviluppo della teoria della catena iper-netted di Fermi – ha ricevuto nel 2001 il premio Kalinga dall’UNESCO, conferito a chi abbia contribuito con il proprio operato alla divulgazione della scienza e della tecnologia, operando nei settori della scrittura, dell’insegnamento e delle produzioni multimediali.
Direttore della SISSA dal 2004 al 2010 e fondatore del primo master in Scienze della comunicazione italiana, SISSA, Fantoni descrive ESOF come «un mezzo per concretizzare il dialogo fra scienza e società, una lente di confronto tra imprenditori, cittadini, politici, finalizzata a divulgare le metodologie scientifiche». Si svolgerà, come sopra anticipato, su due livelli: il Forum per gli “attori” (5-9 luglio) e il Science in the City Festival per il pubblico (27 giugno-11 luglio), quest’ultimo pensato proprio per «contestualizzare la scienza»; a sede ideale per tal fine, the Champ ha messo nel mirino Portovecchio, area di oltre 60 ettari sul fronte mare protetta da diga foranea, con cinque moli e ventitré edifici originariamente adibiti a magazzini, depositi e strutture tecniche, progettata e realizzata tra 1868 e 1887 e direttamente collegata alla ferrovia del 1857.
Oggi è un esempio unico di archeologia industriale, dal recupero ancora poco avanzato: in una città dove lo spazio è prezioso come l’ossigeno, abbarbicata tra mare e colle, un’estensione così rappresenta una risorsa, ma il piano di riqualifica si trascina da anni, senza grandi scatti ; tra le opportunità di ESOF 2020 c’è anche la rivitalizzazione del sito, «da porto delle merci a porto delle idee – spiega Fantoni – e infatti lì si terrà la conference, a far da volano per un meeting sotto le bandiere della sostenibilità, dell’innovazione, della scienza».
Non finirà tutto con il 2020: le eredità che ESOF lascerà sono già delineate, a ricaduta concentrica, partendo da Trieste e allargandosi internazionalmente:
- una rete scientifico/imprenditoriale CEE (Central East Europe);
- una rete accademico/imprenditoriale Triveneto (cartello del Triveneto);
- Science Museum di livello europeo, che continuerà ed amplierà l’attuale LIS, laboratorio dell’Immaginario Scientifico e che rimarrà situato in Portovecchio;
- una rete di divulgazione scientifica nell’area nord-est paesi CEE;
- lo sviluppo di Portovecchio verso un grande laboratorio dell’Innovazione: la Regione FVG oltre a capitale del sapere può diventare anche capitale del saper fare
- il North Adriatic Science and Technology Centre e un indipendente, multidisciplinare e non-profit Summer Institute per continuare il dialogo fra scienza e società, coinvolgendo stakeholders dall’Europa centro-orientale e dalla regione balcanica.
In attesa che si alzi il sipario, abbiamo fatto tappa anche all’ICGB, con Suzanne: «nati nel 1983 come progetto dell’UNIDO (Organizzazione delle Nazioni Unite per lo sviluppo industriale NdA) per lo sviluppo delle biotecnologie e autonomi dal ’94, oggi contiamo 66 paesi membri, su linee guida delle Nazioni Unite e finanziati dal ministero degli Affari esteri. ICGEB è un ente intergovernamentale no profit, a Trieste ha la sede centrale e 18 laboratori, altri 25 a Dehli e, dal 2007, 3 a Città del Capo, a cui se ne aggiungeranno altri due a breve; portiamo avanti 46 programmi di ricerca in ambito biotecnologico, abbinando anche attività di formazione e di trasferimento tecnologico in campo biofarmaceutico». Il Technology Transfer, secondo definizione dell’Istituto Italiano di Tecnologia si compone di un insieme di attività finalizzate a portare la conoscenza dalla ricerca al mercato. In altri termini, è un processo che trasla, ad un’ampia utenza, conoscenze prima circoscritte: in un rapporto virtuoso, l’industria accoglie i risultati della ricerca e li rielabora, per applicarli su vasta scala.
Accompagnandoci tra i lunghi corridoi della sede, continua Suzanne: «Per ESOF proporremo quattro eventi, mirati ad un pubblico giovane; ora siamo al lavoro per creare un modello di labirinto cellulare che coprirà 3000 metri quadrati al magazzino 25 di Portovecchio» e su questa macro-immagine, arriviamo al laboratorio della batteriologa Iris Bertani, per vedere da vicino cosa nasconde il cuore di ICGEB: «qui andiamo alla ricerca di quei micro-organismi che possono aiutare una pianta a superare stress biotici, dovuti a patogeni o malattie, o abiotici, come la temperatura o le precipitazioni, comunque non vitali». E come avviene ciò? Iris, gentile nel nome e di fatto, approfondisce pazientemente: «Il nostro laboratorio è diviso in due parti: una si occupa di ricerca di base e una di ricerca applicata. La prima parte dalla comunicazione batterica, dacchè si è scoperto che i batteri non sono organismi così semplici e isolati, con l’unico scopo di replicarsi, ma lavorano in comunità, con sistemi per coordinarsi. Un esempio: se io mi produco una ferita con un unico batterio, il mio sistema immunitario è così forte da eliminarlo subito, annullando l’obiettivo di moltiplicazione del batterio stesso. Per controbattere, i batteri hanno organizzato un sistema di comunicazione che permette loro di capire quando sono in tanti e quando in pochi, in modo da produrre il fattore di virulenza, di sferrare l’attacco, solo quando sono certi che andrà a buon fine, perché possono contare sul numero. Questi sistemi di comunicazione intervengono sia tra batteri della stessa specie, sia fra specie diverse, sia con l’ospite, vegetale o umano che sia: noi studiamo tali sistemi, come ricerca di base, che si va a legare a problemi di attualità sanitaria come la resistenza agli antibiotici. Andare a bloccare la comunicazione descritta, potrebbe rivelarsi un’alternativa all’uso di tali medicinali».
Passando alla ricerca applicata, scopriamo che la pianta modello è il riso, tra le colture più diffuse al mondo: «Andiamo direttamente in campo e cerchiamo, isolandoli, quei batteri che possono essere utili o ad aumentare la resa dalla pianta, o a contrastare agenti patogeni; maceriamo il materiale vegetale, facciamo delle piastre, effettuiamo test e poi ri-inoculiamo in pianta, per verificare i risultati. Si tratta di un settore con numerose, possibili ricadute: oggi, nel mondo, siamo arrivati al tetto massimo di fertilizzazione e conseguente impatto ambientale, dunque cerchiamo di lavorare sulla natura. Siamo consci che è utopistico pensare ormai di poter sostituire completamente la chimica, ma stiamo lavorando alla diminuzione dell’impatto: un binario naturale ed alternativo».
Freedom for science, science for freedom: questo il motto che sottenderà ESOF 2020, per ricordare la necessità di dare libertà alla scienza di esplorare con metodo e curiosità, senza vincoli pregiudiziali, e di poterne utilizzare il linguaggio in maniera universale, per superare conflitti e discriminazioni. La scienza si fa filosofia sociale, per unire dati, condividerli, includere e migliorarci.