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July 8, 2019
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Hai sete ma vorresti salvare l’ambiente? Allora comincia a bere l’acqua dal rubinetto!

Quando si parla di “plastica monouso” e di “acqua”, i numeri e i comportamenti sono ben diversi da quelli che ci si aspetterebbe   

C.Alessandro MauceribyC.Alessandro Mauceri
Hai sete ma vorresti salvare l’ambiente? Allora comincia a bere l’acqua dal rubinetto!
Time: 7 mins read

Da anni, il problema legato all’inquinamento è legato al petrolio. Il consumo di petrolio in molti paesi sviluppati è stato sostituito in parte dal gas naturale, ma negli ultimi anni, il numero dei pozzi di petrolio attivi è tornato a crescere: dal 2016, ad esempio, negli USA sono aumentati i pozzi attivi. 

Ma se la richiesta di petrolio è diminuita a cosa serve tutto questo petrolio? Buona parte, ma di questo i leader  mondiali al G20 di Osaka non hanno parlato, serve a produrre plastica. Già proprio il prodotto che secondo il nuovo trend pseudoecologista dovrebbe attrarre l’attenzione della gente. Il tentativo di ridurre le emissioni di CO2 è ormai miseramente fallito: la Keeling Curve che indica la percentuale di CO2 nell’aria e prende il nome dal suo creatore, Charles David Keeling, mostra un trend crescente costante e ha superato da tempo il punto di non ritorno – fissato a 400 ppm – (gli ultimi dati parlano di 413 ppm ). Per questo, quando si parla di ambiente, si è deciso di concentrare l’attenzione della gente su un altro tema: la plastica monouso.

E a Osaka, tutti i leader mondiali si sono concentrati sulla riduzione della plastica e in particolare della plastica monouso. Tra loro anche il Ministro dell’Ambiente italiano, Sergio Costa, che ha parlato della necessità di uscire dal “Plasticocene”.

Peccato che, ancora una volta, quando si parla di “plastica monouso” e di “acqua”, i numeri e i comportamenti siano ben diversi da quelli che ci si aspetterebbe.   

A Osaka,  i leader mondiali si sono guardati bene da dire che il consumo di acqua in bottiglia di plastica, e di conseguenza l’utilizzo del PET, cresce costantemente dagli anni Ottanta. E, cosa ancora più grave, che questo avviene senza alcun ragionevole motivo. Come per la plastica monouso utilizzata per confezionare acqua potabile.

A livello globale, ai primi posti per consumo di acqua in bottiglie di plastica ci sono Messico e Tailandia. Consumi forse giustificati dalla difficoltà di accesso all’acqua potabile (come confermano i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel 2015, solo il 43% della popolazione messicana aveva accesso ad acqua sicura e, inThailandia, questa percentuale era del 47%). In questi paesi come in molti altri paesi dell’Africa, del Sud America o dell’Asia riuscire a trovare acqua potabile non sempre è facile. Spesso i fiumi sono “malati” di antibiotici versati direttamente dagli allevamenti o dalle industrie che operano senza controlli o a causa di un trattamento delle acque reflue non ottimale. A confermarlo un lavoro coordinato dall’Università di York e presentato al congresso della Society of Environmental Toxicology and Chemistry (SETAC).

Ma dal terzo posto in poi questa non è  più una giustificazione plausibile. Subito dopo Messico e Tailandia, a sorpresa c’è l’Italia (prima in Europa) per consumi di acqua in bottiglie di plastica con 206 litri nel 2018 (contro una media europea è di 117). Anzi, i consumi di acqua in bottiglie di plastica monouso è in aumento (era 188 litri annui a persona nel 2017). Un dato anomalo in un paese così sensibile alle problematiche della sostenibità e pieno di ambientalisti e ammiratori della Thunberg, la bambina svedese immagine della lotta per la salvaguardia del pianeta.

La verità è che, nel mondo, la produzione di plastica continua a crescere vertiginosamente. E uno dei mercati più floridi (con immaginabili danni per l’ambiente) è proprio quello della plastica monouso. Specie considerando che spesso l’enorme utilizzo per l’imbottigliamento dell’acqua, venduta su mercati come quello nordamericano o quello europeo, non è giustificabile. Anzi. Negli USA e in Europa, l’acqua che esce dai rubinetti è “pulita” (fatte poche, locali eccezioni). Anzi, molte volte è anche migliore dell’acqua nelle bottiglie di plastica. Alcune analisi condotte dai ricercatori della State University of New York at Fredonia  hanno rilevato che l’acqua in bottiglia può contenere in media una quantità di microplastiche doppia rispetto a quella rilevata nell’acqua del rubinetto (nel 93% delle bottiglie analizzate sono state rilevate tracce di plastica, per una media di 10,4 particelle per litro contro le 4,45 dell’acqua di rubinetto e nel 54% dei casi si trattava di propilene, utilizzato per la produzione dei tappi). Contenitori che solo in minima parte vengono riciclati: 46 miliardi di bottiglie in plastica finiscono per buona parte nell’ambiente. Solo Italia, annualmente, tra i 7,2 e gli 8,4 miliardi di bottiglie finiscono nella spazzatura. Ma anche quelle che finiscono nella raccolta differenziata non sempre raggiunge l’obiettivo prefissato: solo una minima parte di tutta la plastica utilizzata viene effettivamente riciclata e non sempre viene reimpiegata per produrre altre bottiglie (il cosiddetto downcycling). 

A questo si aggiunge che in alcuni paesi, recentemente, sono aumentati i controlli per monitorare la qualità dell’acqua: in Italia, è stato recentemente adottato il Water Safety Plan, un sistema per il monitoraggio della rete idrica (inclusa una sorta di “mappatura del rischio”, dalla falda acquifera al rubinetto delle abitazioni).

Quindi non sarebbe la qualità o la salubrità dell’acqua la motivazione di un simile smodato consumo di acqua in bottiglie di plastica. A questo si aggiunge che, come ha confermato la Commissione Europea, ridurre il consumo di acqua in bottiglia, oltre ad avere benefici per l’ambiente, potrebbe far risparmiare alle famiglie europee circa 600 milioni di euro l’anno.

Ma allora cos’è che spinge così tante famiglie e così tanti governi a venire meno alle promesse di salvare il pianeta e ai principi ambientalisti bevendo quasi esclusivamente acqua in bottiglie di plastica?

Forse è bene dare un’occhiata dall’altro lato della barricata: al business dell’acqua in bottiglia.

Secondo i dati di  Beverfood, solo in Italia sarebbero circa 259 marchi registrati di acqua imbottigliata, tre quarti dei quali facenti capo a uno sparuto numero di grandi gruppi (otto). Grandi gruppi che esercitano pressioni mediatiche che tartassano i potenziali clienti con campagne pubblicitarie sull’acqua che mesce da vette d’alta montagna e nevi perenni; o che ripetono incessantemente che l’acqua nelle bottiglie di plastica è migliore di quella che esce dal rubinetto di casa. Pochi pensano che, in realtà, molte sorgenti non sono in “montagna”. E anche sul fatto di essere “migliori” esisterebbero seri dubbi: test di laboratorio hanno dimostrato che l’acqua che esce dal rubinetto di casa quasi sempre non ha niente da invidiare (anzi) a quella venduta nelle bottiglie di plastica. 

Di sicuro le campagne di marketing per la vendita dell’acqua in bottiglie di plastica non parlano, invece, delle le emissioni di CO2 legate alla lavorazione e alla commercializzazione: in media, servono circa due chili di petrolio per ottenere un chilo di plastica Pet (dati Legambiente Imbrocchiamola). In altre parole, per produrre ogni anno i sei miliardi di bottiglie da un litro e mezzo richiesti dal mercato servono di più di 450mila tonnellate di petrolio (cui vanno aggiunte oltre 1,2 milioni di tonnellate di CO2). A questo si deve aggiungere l’inquinamento legato al trasporto che è tutt’altro che secondario: spesso, i consumatori non si limitano ad utilizzare l’acqua imbottigliata in loco ma sono spinti da campagne pressanti ad acquistare acque che fanno centinaia se non migliaia di Km. Senza pensare che un autotreno immette nell’ambiente fino a 1300 kg di CO2 ogni 1000 km.

Ad ognuno dei leader mondiali presenti ad Osaka e a ciascuno dei milioni di consumatori di acqua in bottiglie di plastica basterebbe pensare quanti autotreni sono necessari ogni anno per dissetarsi per avere una vaga idea dell’impatto sull’ambiente delle scelte che vengono fatte ogni giorno.

Invece, spinti da campagne di marketing e falsi miti, nessuno ci pensa. Nel Bel Paese almeno due terzi degli italiani, il 67%, continua a bere “abitualmente” acqua minerale in bottiglie di plastica. Solo il 27% degli italiani dichiara di consumare acqua del rubinetto depurata o acqua minerale in bottiglie di vetro (il 25%). Ancora minore la percentuale di chi consuma acqua delle casette dell’acqua municipale (il 12%) (dati Osservatorio nazionale sullo stile di vita sostenibile 2018).

Bere milioni di metri cubi di acqua confezionata in bottiglie di plastica monouso è un po’ come favorire il consumo di petrolio. Ma a questo politici, capi di stato e consumatori non pensano mai, ansiosi come sono di salvare l’ambiente (basta leggere i commenti sui social network quando si parla di plastica o di inquinamento o le dichiarazioni al termine degli incontri internazionali che discuto di ambiente). Tutti pronti a salvare il pianeta ma incapaci di fare la scelta giusta quando si tratta di agire.

Anche quando salvare l’ambiente sarebbe facile come bere un bicchiere d’acqua…. dal rubinetto.

 

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C.Alessandro Mauceri

C.Alessandro Mauceri

Sono nato a Palermo, città al centro del Mediterraneo, e la cultura mediterranea è da sempre parte di me. Amo viaggiare, esplorare la natura e capire il punto di vista della gente e il loro modus vivendi (anche quando è diverso dal mio). Quello che vedo, mi piace raccontarlo con la macchina fotografica o con la penna. Per questo scrivo, da sempre: lo facevo da ragazzino (i miei primi “articoli” risalgono a quando ero ancora scolaro e dei giornalisti de L’Ora mi chiesero di raccontare qualcosa). Che si tratti di un libro, uno studio di settore o un articolo, raramente mi limito a riportare una notizia: preferisco scavare a fondo e cercare, supportato da numeri e fatti, quello che c’è dietro. Poi, raccontarlo.

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