Sette anni fa, sembrava essere l’unica cosa di cui i media riuscissero a parlare. Era il 2012, e Facebook, l’avanguardia del social network creata nei dormitori di Harvard dal piccolo genio di Marc Zuckerberg, raggiungeva il miliardo di utenti attivi. Era un prodotto digitale che avrebbe, tutti ne erano certi, portato con se un’incredibile rivoluzione tecnologica. Una rete sociale capace di connettere, con un semplice click, persone in ogni angolo del pianeta, necessitando soltanto una connessione ad internet.
Ora, nel 2019, viviamo i postumi di questa rivoluzione della connettività. Il mondo, per la maggior parte, è connesso dall’immensa rete digitale che quel geniale studente universitario profetizzava con tanta euforia. Il nome di Facebook, però, non fa più rima con quell’idealismo collettivo che ne caratterizzava gli inizi. Al contrario, da tre anni a questa parte, il nome del gigante tecnologico della Silicon Valley è accostato quasi unicamente ad una retorica negativa quanto allarmista. Prodotto di una serie di scandali riguardanti uno strano miscuglio di privacy e politica, quando oggi si parla di Facebook, si parla dello scandalo politico che ha marcato le elezioni presidenziali Americane del 2016, del caso Cambridge Analytica, e del trattamento dei dati privati dei miliardi di utenti all’interno del Social Network.
Lo scandalo di Cambridge Analytica fu uno dei primi a gettare benzina su un fuoco che già iniziava a prendere piede tra le folle digitali. Facebook fu indagato per aver fornito a diversi enti politici le informazioni private (incluse le metriche abitudinarie) dei propri utenti, senza aver ottenuto il minimo consenso da loro stessi. Al contempo, a seguito delle accuse di Robert Mueller di pochi mesi fa, più enti hanno verificato che, durante le elezioni presidenziali del 2016, Facebook fu invaso dal RIRA, la Russia Internet Research Agency, con lo scopo di creare falsi profili e comunità mirati a influenzare elettori americani gli uni contro gli altri, contribuendo alla polarizzazione politica risultata poi nell’elezione di Donald Trump come quarantacinquesimo presidente degli Stati Uniti. Tutt’ora, Facebook rimane al centro di molteplici scandali, al punto che WIRED mantiene una lista aggiornata di tutte le vicende che tutt’ora affliggono l’affidabilità del social network targato Zuckerberg. Il punto principale del dibattito: la privacy, e le politiche di condivisione monetizzata che il gigante della Silicon Valley pare adottare nell’amministrazioni di dati personali.
Molti si chiedono, dunque, all’alba del 2019, se sarà proprio questo l’anno della distruzione (o, se preferiamo, autodistruzione), del gigante che anni fa prometteva un nuovo mondo. Come detto prima, Facebook è stato il catalizzatore di questa rivoluzione che è, effettivamente, avvenuta. Oggi, il mondo, di social network ne ha quasi troppi, diversi e simili al contempo, con Facebook comunque sul piedistallo più alto fra tutti. Nonostante ciò, la nascita di diverse nuove realtà, come Snapchat, Twitter, Instagram, e TikTok per nominarne solo alcune, ci porta inevitabilmente a chiederci se, dopo tutto, Facebook riterrà la sua corona anche nel 2019.
In molti si aspettano, o forse desiderano, l’avvento dell’hashtag #DeleteFacebook, una specie di movimento globale per restituirci il controllo dei nostri dati, e lentamente togliere il potere dall’alta corruzione e tossicità che anima l’industria dell’informazione digitale. La grana, in tutto ciò, è che, tra tutti gli altri social network, Instagram è forse quello che, specialmente tra i giovani, sta lentamente diventando il “nuovo Facebook”, o meglio, il nuovo modo per condividere le piccole belle cose della vita quotidiana. Facebook in se, invece, non sembra più destinato a questo tipo di funzione, bensì ad una molteplicità di funzioni che vanno dalla condivisione video, alla condivisone di articoli e opinioni, all’ormai prediletta creazione di gruppi e comunità. Il social network che rappresentava il primo Facebook si sta trasferendo su Instagram, dove i contenuti giornalieri si condividono con maggiore facilità dallo smartphone. Tutto ciò risolve ben poco, visto che Instagram rimane sempre sotto l’ombrello proprietario di Facebook.
Nonostante ciò, la maniera di condividere di Instagram, visto il necessario contenuto grafico dei post, porta il social network più verso la sua funzione originale che verso lo strumento politico-societario che sembra essere diventato Facebook. Per capire come questo sentimento sia recepito a livello personale da diversi utenti, abbiamo chiesto ad alcuni membri della comunità Italiana di New York una breve opinione a riguardo.
“Facebook lo uso soprattuto, stranamente, per lavorare, ci sono un paio di gruppi di colleghi che, all’interno di essi, riescono a smerciare degli ottimi contenuti”, ci racconta un avvocato italiano di New York che ha preferito rimanere anonimo, “in quanto al resto, mi sembra stia diventando obsoleto. Detto questo, stanno anche facendo dei casini a livello di privacy che sono difficili da ignorare”.
Al contempo, tra i giovani, sono già tanti quelli che si danno alla fuga, come Lorenzo, il designer ventunenne che vive a New York. “Facebook non ce l’ho più da qualche anno. Il nuovo Facebook è Instagram, che guarda a caso è amministrato proprio da Zuckerberg. Quindi a loro, se ne usi o l’altro, gli cambia poco niente. Però le generazioni più giovani si stanno movendo più verso applicazioni come Instagram, che funzionano meglio per il cellulare e meno per un desktop o un portatile.”
Per molti, però, Facebook è fondamentale, come per Diego, ventottenne ingegnere residente nel West Village che racconta: “Sia per me, che per il mio lavoro, Facebook è fondamentale. Ho troppe cose online, e questo mi mette molta ansia, anche perché ogni volta che accendo il telegiornale o che provo a guardare un secondo i miei siti preferiti, c’è sempre qualcosa che illustra tutto il casino che stanno facendo in California in quanto alla solita privacy”.
Insomma, i sentimenti verso il gigante griffato Zuckerberg sembrano aver preso una piega interessante, se non inaspettata, negli ultimi otto anni. L’evoluzione di Facebook è stata, da una parte, fondamentale per la nascita d’infinita innovazione, e per questo non possiamo che essere grati. D’altro canto, le politiche recenti in riguardo alla privacy, ed i molteplici scandali che hanno potuto portarle alla luce dell’informazione pubblica sembrano illustrare la difficoltà dell’umanità nell’amministrare qualche cosa di tanto ambizioso. Ci ricordano che, nonostante la comodità, ciò che accade dietro le quinte va controllato e regolato, specialmente se ciò che si rischia è la privacy di informazioni (e abitudini) strettamente private.
Non è un caso, dunque, che l’hashtag #DeleteFacebook abbia già preso piede da qualche tempo. Con tutta probabilità, di questi tempi tra un anno, si parlerà ancora di Facebook. La potenza della Silicon Valley certo non cascherà con questa rapidità, visto anche solo il volume di utenti, sarebbe impossibile. Ciò che può accadere, però, è una seconda rivoluzione dell’informazione, una rivoluzione che possa lasciar intendere esattamente come vengono trattati i dati che inviamo alle nuvole digitali della California, ai fini di poterlo, finalmente, regolare in maniera corretta e costruttiva.