Li stanno chiamando gli incendi più devastanti che la California abbia mai visto. Con oltre 200 dispersi, i roghi che stanno bruciando lo stato più a Ovest degli Stati Uniti si sono impadroniti dei titoli di tutte le maggiori testate mondiali. Ciò che rende questi roghi particolarmente impressionati è propria la loro strapotenza, questa spiccata imprevedibilità e potenza che li contraddistingue. Dalle fotografie che ricordano un campo di guerra, agli tenebrosi racconti dei residenti, il discorso che circonda le catastrofi Californiane è, a dir poco, spaventoso.
C’è da notare che non usiamo la coniugazione singolare del termine, ma quella plurale. Stando ai fatti, la California è stata d’altronde invasa da molteplici devastanti roghi, tutti negli ultimi giorni. Il più massiccio tra questi, e tutt’ora non domato, è il Camp Fire, che ha già bruciato oltre 117,000 acri di terreno, uccidendo 42 persone e distruggendo oltre 7,600 strutture lungo il suo percorso. Assieme al Camp Fire, il Woolsey Fire e il Hill Fire, in altre contee della California, hanno invaso di fiamme zone di simili taglie, causando danni solo leggermente inferiori.
Questi fuochi, però, paiono il macabro ritorno di una storia già raccontata più volte. La California è sempre stata un luogo di sviluppo importante per questo tipo di roghi. Nonostante ciò, gli eventi degli ultimi giorni sembrano essere, di gran lunga, i peggiori della sua storia. Ciò che spicca, dunque, è l’entità dei fenomeni che si stanno sviluppando nelle ultime ore. Per poterli capire meglio ci rivolgiamo a Jon Keeley, rinomato ricercatore con l’U.S. Geological Survey con un massiccio curriculum di ricerca riguardante l’impatto ecologico dei roghi della California e del Mediterraneo. Nella nostra ricerca per una conoscenza più educata e comprensiva di queste singolari catastrofi, il Professor Keeley è stato gentile abbastanza da spiegarci con esattezza le condizioni che hanno reso quelli odierni i roghi più devastanti nella storia del Sunshine State.
Capirne le condizioni:

“C’è una combinazione di fattori”, dice il ricercatore, “uno di questi è che in autunno la California è invasa da questi forti venti. Nel nord dello Stato si chiamano North Winds, mentre a sud si chiamano Santa Anna Winds. Arrivano ogni autunno, soffiando dall’interno verso la costa, cosa decisamente strana per le zone costiere. Di solito, la brezza soffia dalla costa verso l’entroterra. Esiste dunque un reversal delle normali condizioni dell’aria, caratterizzata da venti fortissimi, che arrivano a toccare anche le 50 o 60 miglia all’ora”. Quando questi venti, dunque, incontrano l’asciutto, scomodo clima autunnale, “le condizioni diventano perfette per la propagazione di un fuoco”. Quando questi forti venti soffiano verso l’entroterra, e incontrano dunque la tantissima vegetazione morta della California, i roghi possono viaggiare a velocità altissime, coprendo tantissimo terreno.
Naturalmente, l’insieme diventa più grande della somma delle parti, amalgamando queste condizioni sotto forma di una tempesta perfetta per la divulgazione delle fiamme. “Il motivo per il quale abbiamo avuto roghi così potenti negli ultimi anni è che siamo in periodo di secca”, racconta il ricercatore, “in California, la drought è iniziata nel 2012. Nel Nord dello stato, è durato solo tre anni, ma a Sud siamo ancora nel pieno della crisi, dopo sette anni. Ciò che ne risulta è un sacco di vegetazione morta, la quale si dimostra incredibile contribuente alla rapida crescita dei fuochi. Sono proprio queste le due cause principali: venti fortissimi, e un fortissimo periodo di secca.
La densità della popolazione e le singolarità della California
Se siete persone curiose, vi potreste ora chiedere se questi fenomeni geologico-climatici si palesano in altre parti del mondo, e se con gli stessi risultati dei roghi Californiani. Jon Keeley conferma questi possibili sospetti, anticipando che “sì, esistono in molte altri parti del mondo, come nel bacino del Mediterraneo. Anche lì si sviluppano questi venti potentissimi, come ad esempio i venti maestrali della costa Francese”. La differenza tra le parti nasce però dal fatto che “nonostante la Francia riceva gli stessi episodi di forte vento, non esistono le enormi zone forestali che fanno modo che un rogo possa assumere le dimensioni che vediamo in questi giorni. Prima di raggiungere quelle dimensioni, il rogo s’imbatte in strutture per l’agricoltura, o altri sviluppi dell’architettura umana, che aiutano ad arginarne le fiamme. Per fare un altro esempio, “in Cile, solo qualche mese fa, c’è stato un altro rogo gigantesco, ma marcato da poche vittime. La differenza di fondo sta nel fatto che a differenza di questi posti, la California ha una densità di popolazione vastamente superiore”. La differenza sembrano farla proprio le persone, poiché “la maggior parte dei roghi sono accesi dagli umani. L’autunno Californiano è, per la maggior parte, privo di lampi. Dunque, maggiore la popolazione, maggiore la probabilità che qualcuno appicchi un fuoco, ed è questo il fenomeno che vediamo in California”.
Data l’immensa differenza nella densità della popolazione della zona, ciò che comporta la maggiore difficoltà concettuale nell’analizzare questi roghi è dunque la loro imprevedibilità. “La cosa più difficile nel prevedere questi roghi è capire quando le persone inizieranno un falò, o applicheranno un fuoco,” illumina il Dottor Keeley, “è quello il fattore limitante. Questi Santa Anna Winds, tutto sommato, arrivano ogni anno, e per un periodo sostenuto, ma non è sempre che ci si sviluppa un rogo, semplicemente perché nessuno ne accende uno. Capire esattamente quando qualcuno potrebbe appiccare qualcosa che si potrebbe trasformare in un rogo è praticamente impossibile”. Sul fronte legislativo, dunque, il caso sembra muoversi verso il dover limitare esattamente questa possibilità: che qualcuno accenda un fuoco duranti questi eventi di forte vento.

Lottare, da dentro e fuori le fiamme
Quando questi sono accesi, diventano relativamente impossibili da fermare, come ci mostra il Camp Fire, tutt’ora contenuto solo al 30%. “Quando questi venti sono così potenti, nessuno li può combattere al fronte, sarebbe un suicidio. Non li si può combattere finché i venti non mollano un po’ la presa. Dunque, quando questi roghi si palesano, la prima cosa che si fa è evacuare tutti coloro che si trovano nella strada che il fuoco dovrebbe percorrere, mentre i pompieri provano ad arginarne i confini. Bisogna aspettare che i venti rallentino, un processo che può durare dai due ai tre giorni, ma che a volte arriva anche fino ai dieci”. L’imprevedibilità e la ferocia di questi roghi, inizia ora a diventare relativamente digeribile, pur non sembrando puntare il dito contro il riscaldamento globale, come molte testate hanno immediatamente fatto.
“C’è ogni motivo per credere che questi roghi siano rafforzati dal riscaldamento globale”, premunisce l’esperto, “ma dire che siano causati dal riscaldamento globale sarebbe fondamentalmente errato”. Continua, spiegandoci che “ci sono delle stime che dicono che, per quanto riguarda la California, il riscaldamento globale peggiora le condizioni di questi roghi di qualcosa poco meno del 10%. Il riscaldamento globale non è il fattore principale, e, in questo caso, può facilmente diventare qualcosa che distrae dal problema fondamentale. Il problema, qui, ha a che fare con la densità di popolazione, con l’errore umano. California ha trenta milioni di abitanti, cifra proiettata a crescere del 50% nei prossimi trent’anni. Visto che noi umani accendiamo il 99% dei fuochi, le più persone presenti, più alta è la possibilità che uno di questi si sviluppi in qualcosa di disastroso, se acceso durante questi episodi di vento”. Ciò che dice è supportato dalla scienza, e dalla ricerca, dato che hanno “completato uno studio della storia del clima e dei roghi in California. In zone di montagna, il riscaldamento globale, e l’elevazione delle temperature, sono inesorabilmente legate alla possibilità dello sviluppo degli incendi, perché senza le temperature sarebbero troppo basse. In California, però, dove ogni anno le temperature sono elevate abbastanza per poter sostenere un incendio, il riscaldamento globale non sembra aver effetto tangibile sulla probabilità dello sviluppo di un tale incendio. A livello legislativo e comunicativo, dobbiamo focalizzare le nostre energie sulle persone: quando qualcuno sente dire che la cause è dovuta al riscaldamento globale, si sente totalmente impotente, ma quando, come di fatto, la colpa è dovuta ad un errore umano, il senso di responsabilità si amplifica tutto d’un tratto, e si può, veramente, fare la differenza”.
Ciò che dobbiamo dunque trarre dalle sagge parole di Jon Keeley è l’approccio pragmatico e scientifico con cui egli affronta la faccenda. Bisogna sapersi allontanare, nonostante la sua importanza globale, dall’allarmismo che circonda il riscaldamento globale, semplicemente perché, in questo caso, non è (neanche lontanamente) la causa principale dell’evento naturale. La catastrofe proviene, dunque, dall’interazione tra l’errore umano e le presidenti condizione climatiche e geologiche che caratterizzano l’autunno della California. Con un approccio scientifico, ed educato, si può arrivare, in maniera più concreta, ad un vero senso di progresso in quest’ambito. Se invece ci lasciamo inondare dalle pressione socio-politiche che ci circondano, rimarremo con niente se non la paura di questi impressionanti fenomeni naturali ed il rimorso per i nostri, stupidi, errori.