Il 71% degli americani è consapevole del cambiamento climatico in atto. Il 44% ritiene di avere già subito gli effetti del surriscaldamento globale. Più della metà teme che il fenomeno interesserà direttamente la propria famiglia. Ma per il 75% la maggiore preoccupazione è per le generazioni future, specialmente di quelle dei paesi in via di sviluppo. Nonostante la consapevolezza sul problema sia diffusa, come dimostrano i dati dell’Università di Yale, ripresi a febbraio dal “Monitor” dell’American Psychological Association (APA), solo il 5% sembra essere convinto, in cuor suo, che l’umanità potrà fare fronte con successo a questa sfida epocale. Eccoci nel punto nevralgico della questione: visto che il cambiamento climatico è causato dall’attività umana, non è forse il comportamento umano la chiave per arrivare alla soluzione?
Di questo si è discusso il 12 aprile allo Psychology Day delle Nazioni Unite, alla sua unidicesima edizione (qui il video), dove oltre 400 rappresentanti di diverse nazioni, per la gran parte psicologi, dottorandi, docenti universitari ma anche esponenti di organizzazioni non governative e studenti, si sono ritrovati per confrontarsi sul possibile ruolo della psicologia nella risposta individuale e sociale al cambiamento climatico globale e ai disastri naturali ad esso correlati. L’evento rientra nell’Obiettivo 13 dell’Agenda 2030 dell’ONU, che prevede azioni urgenti per combattere il cambiamento climatico e i suoi impatti, in vista degli incontri di revisione del Forum 2019.
“Gli psicologi possono avere un ruolo fondamentale nella costruzione e nel consolidamento dell’alleanza tra scienza, comportamenti individuali e interessi a lungo termine della collettività”, ha sottolineato in apertura dei lavori Leslie Popoff, presidente del comitato organizzativo dell’evento, che ha visto Walter Reichman, della International Association of Applied Psychology (IAAP) e principale rappresentante delle ONG allo United Nations Economic and Social Council (ECOSOC), in veste di moderatore del convegno.
La psicologia, ha spiegato Susan Clayton del College of Wooster in Ohio, può aiutare laddove c’è una cognizione limitata del problema, ma anche nei casi di “protezione emotiva che spinge alla negazione, quando non alla giustificazione, dello stato di fatto, oppure quando ci si trincera dietro un velo ideologico in nome della tecnologia, del capitalismo, della religione”.
Gli eventi acuti e le modificazioni croniche dovute al cambiamento climatico possono avere conseguenze sulla salute non soltanto a livello fisico, ma anche a livello mentale, nonché portare a drammatici problemi di ordine sociale, con rotture di relazioni, minacce all’identità personale e comunitaria, aumento della violenza, dei crimini e delle aggressioni, come aveva denunciato già nel 2015 un rapporto del Dipartimento della Difesa USA. I gruppi a maggiore rischio sono, come sempre, quelli economicamente e socialmente più deboli, come le comunità a minore reddito e le persone marginalizzate, mentre da un punto di vista psicologico sono i bambini e gli anziani a rappresentare i soggetti maggiormente vulnerabili.
Il pensiero va a posti lontani nello spazio e nel tempo, ma basta guardare entro i confini nazionali per fare i conti con famiglie di agricoltori e lavoratori dei campi minacciati nella loro esistenza da lunghi periodi di siccità e spaventosi incendi, tra i quali si registrano i picchi più alti di disturbi mentali e di suicidi rispetto agli altri gruppi occupazionali. È lo stesso senso di stabilità della realtà del mondo ad essere messo in crisi. Nella sua tristezza, è illuminante il commento di un sopravvissuto all’uragano Sandy: “Pensi che la tua casa è permanente, ma quando la perdi insieme a tutto quello che ti appartiene, impari che tutto è assolutamente temporaneo”.
Gli effetti dei disastri meteorologici sulla salute mentale sono davvero preoccupanti. Si parla non soltanto di ansia e di depressione, ormai abbastanza comuni nella popolazione, ma anche di disturbi da stress post-traumatico, di lutti patologici, di uso e dipendenza da droghe, di pensieri suicidari, come ha messo in evidenza Daniel Dodgen, del Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani degli Stati Uniti. Non dobbiamo dimenticare tra i possibili soggetti ad alto rischio di ripercussioni psicologiche anche gli stessi operatori sanitari e tutto il personale dei servizi di emergenza impegnato a soccorrere le vittime dei disastri naturali.
“Allo stesso tempo, l’aumento estremo della temperatura alza il rischio di contrarre malattie e la mortalità delle persone che soffrono di disturbi mentali, degli anziani e di tutte le persone che assumono farmaci a prescrizione che influiscono sulle funzioni di regolazione termica dell’organismo”, ha aggiunto Dodgen.
Nessuno sembra essere immune, dunque, e tutti possiamo fare la nostra parte per cercare una possibile soluzione. “Il cambiamento climatico è antropogenico e progressivo e possiamo farvi fronte a livello locale con degli accorgimenti per la riduzione del danno, una volta identificati i rischi, come ad esempio inondazioni, siccità e uragani, oppure a livello globale attraverso un processo di mitigazione in termini di riduzione del rischio, disincentivando le attività che portano al cambiamento climatico, come ad esempio il consumo di combustibili fossili”, ha detto Paul C. Stern, presidente del Social and Environmental Research Institute americano.
“In fondo – ha aggiunto – il problema è analogo ad alcune malattie progressive come l’aterosclerosi e l’ipertensione: sono causate o peggiorate da un comportamento personale, sono difficili da curare definitivamente ma la gravità può essere ridotta modifcando lo stile di vita e, alla fine, è più efficace eliminare la causa che ricevere il trattamento nel momento in cui i sintomi si sono manifestati”.
Anche in questo caso sembra essere la psicologia ad avere gli strumenti più adatti, meglio quando si integra con altri approcci e metodi, in uno spirito di collaborazione di reciproco vantaggio. Intanto cercando di capire che cosa crea ancora resistenza e disimpegno in parte della popolazione. In seconda battuta, coinvolgendo le persone attraverso una comunicazione efficace e motivante, ma anche favorendo l’attivazione di programmi, interventi e politiche adeguate.
La psicologia lavora infatti sulle attitudini e i valori, sui bisogni e le motivazioni, sui conflitti e le controversie, sulle identità e le norme sociali, sulle dissonanze e l’incertezza, sull’esperienza personale, le emozioni, le “narrative” individuali e sociali. “Il bisogno di appartenenza è di primaria importanza per le persone, sfruttiamolo”, ha detto a gran voce Irina Feygina di Climate Central LLC, già in forza al White House Social and Behavioral Sciences Team. “Le persone rispondono al rischio quando lo sentono vicino: sfruttiamo la prossimità psicologica per favorire il cambiamento: sta accadendo ora, sta accadendo qui, anche io ne sto subendo gli effetti”.
Come psicologi possiamo aiutare a diffondere nuove abitudini e nuove norme sociali, rendere le scelte sostenibili più convenienti e attrattive, migliorare l’usabilità dei prodotti energetici green, redere sempre più evidenti i legami tra consumo di energia, salute e benessere.
In questo, facendo sapientemente appello tanto alle emozioni negative, come la paura, il fatalismo, la disperazione, quanto alle emozioni assolutamente positive come la speranza, il desiderio, l’ispirazione, la gioia, l’amore.