
Nel 2017 attraverso la Rete Sismica Nazionale (RSN), l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia ha individuato 44.459 terremoti sul territorio italiano e nelle zone limitrofe: una media di oltre 120 eventi al giorno, 5 ogni ora: numeri che si traducono nella rilevazione, da parte della sala di sorveglianza sismica INGV, di un sisma ogni 12 minuti.
Cifre che impressionano? I terremoti sono molti di più, considerando anche i micro-terremoti, ovvero quelli che rimangono al di sotto della soglia di magnitudo che fa da riferimento: è molto bassa in Italia centrale (inferiore a 1.0 in molte aree), ma quando si installano delle reti più dense della RSN (come accaduto a partire dall’agosto 2016 nella zona tra Lazio, Umbria e Marche), l’INGV è in grado di localizzare un numero di eventi fino a dieci volte superiore.
Tra i 44.459 sopra citati, circa 37.000 rientrano tra le repliche della sequenza in Italia centrale iniziata il 24 agosto del 2016 e tuttora in corso, l’evento sismico dominante in Italia nel 2017. I dati di tutti i sismi che avvengono in Italia vengono calcolati e rivisti dai sismologi in turno h24 nella sala di sorveglianza Sala di sorveglianza sismica e pubblicati pochi minuti dopo ogni terremoto sul sito sito web del Centro Nazionale Terremoti. In seguito vengono rivisti dagli analisti sismologi, personale specializzato che rielabora i parametri di ogni singolo evento, utilizza un maggior numero di stazioni sismiche non disponibili in tempo reale e localizza anche altri micro-terremoti che non era stato possibile elaborare nella sala.
Come affrontare, dal punto di vista concreto, danni e dissesti conseguenti? «Tra comprensione del terremoto come caos, da un lato, e determinismo imperante, dall’altro, stanno le buone pratiche di intervento, senza dimenticare mai che, per agire con efficacia, dobbiamo ricorrere imprescindibilmente, sempre alla prevenzione» è il primo “comandamento” suggerito da Massimo Mariani, già componente del Consiglio Direttivo della Scuola Superiore e Centro Europeo di Formazione per l’Ingegneria, e ora nel Consiglio Direttivo del Centro Studi del Consiglio Nazionale Ingegneri (delegato alla cultura, referente per il Centro Studi, per la geotecnica, il rischio idrogeologico, il consolidamento e il restauro degli edifici, la divulgazione scientifica.); è anche presidente dell’E.C.C.E. – Consiglio Europeo degli Ingegneri Civili, componente del Comitato Tecnico-Scientifico per il Sisma in Italia centrale per il Commissario Straordinario per la ricostruzione e autore di numerose pubblicazioni e volumi sul restauro e consolidamento degli edifici, oltre che titolare dello Studio per le ricerche applicate a Perugia.

Una figura eminente dal curriculum imponente. La domanda che sorge spontaneamente è: “come riesce a conciliare tutto?”, dovendo dividersi tra professione, attività di ricerca, docenza, cariche istituzionali nazionali ed europee, “straordinari” legati ai – purtroppo – frequenti eventi sismici? «Dormo poco», risponde con cèlia. In realtà è, vero, ma dietro le quinte c’è la passione, mai estinta, per «una professione che considero un privilegio, non un mezzo di approvvigionamento, e che cerco di alimentare continuamente con conoscenze e novità. Ricorrendo – come amo – ad un paradosso, ai miei allievi ho sempre detto che bisogna iniziare a studiare dopo la laurea. Ogni mio lavoro, ogni mia ricerca, ogni mia pubblicazione sono affrontate con piacere, mai come dovere, inseguendo sempre nuovi obiettivi per ristorare le mie curiosità; termino il mio fare alla sera, con il rammarico di non averlo terminato, per poi svegliarmi alla mattina, felice di ritrovarlo».
Mariani ha operato lungamente (e tuttora) nell’ambito dei dissesti in ambito sismico e idrogeologico in Italia e all’estero; spicca l’intervento a contenere la slope (pendenza) della città assiro –babilonese di Erbil, nell’altopiano del Kurdistan iracheno. Dopo i terremoti in Italia centrale, ha applicato le sue competenze al recupero di numerose strutture danneggiate, tra cui – per citare esempi recenti – l’arco etrusco che immette in Perugia e il rosone della chiesa di San Francesco a Norcia (già parzialmente crollata), fissato alla facciata grazie ad una applicazione a distanza di poliuretano espanso (successivamente removibile con facilità).

L’esperienza sul campo ha maturato in lui, nel tempo, un rinnovato approccio ai crolli e agli interventi successivi. Un approccio, che, in un certo senso, restituisce il primato alla natura e mette da parte il determinismo; ma realisticamente, con quanto margine si può prevedere o anticipare un terremoto ed agire per prevenire o contenere i danni? «E’ circa dal 1979 che seguo attentamente il panorama sismico nazionale, già sulla scorta del disastro del ’76 in Friuli. Oggi, quella che anni fa era una sensazione, è divenuta in me ora quasi prepotente certezza, quella dell’impossibilità di determinare, inquadrare un fenomeno così imponente, complesso e distruttivo. Vorrei creare un sistema di lettura diverso, lontano dalla meccanica classica, che tende, con la sua codificazione, alla semplificazione, (ri)partendo da un’osservazione scrupolosa ed effettiva degli edifici, delle tracce che i sismi lasciano su muri, tetti, strutture».

Recentemente ospite di un seminario tecnico a Vicenza, Mariani ha preso proprio Andrea Palladio ad esempio edificante, celeberrimo architetto veneto vissuto tra 1508 e 1580: «In questa zona torno sempre con piacere perché posso regalarmi un “tour palladiano”: non c’è parte d’Italia che sia immune al rischio sismico e proprio Palladio ci insegna ancora quanto sia importante progettare e costruire con scrupolo: i suoi edifici monumentali e le sue ville sono solidamente in piedi a distanza di secoli. Vero è che la ricca committenza gli permise di non lesinare sulla qualità dei materiali, ma mise in campo anche soluzioni efficaci come grandi volti, doppi colonnati, pilastri, dimostrando di essere non solo un grande architetto, ma anche un eccellente tecnico e oggi non gliene si rende merito abbastanza».
Un episodio che fa parte della storia sismica italiana conferma: «Il 25 aprile 1695 nel territorio fra trevigiano e vicentino vi fu un sisma terribile, 6.6 sulla scala Richter, oltre 400 morti, ma nessuna conseguenza sulle ville di Palladio. L’ho verificato personalmente, andando di nuovo e con attenzione alla ricerca di “cicatrici” sulle strutture, successive alle ferite derivate dal quel terremoto, senza trovarne traccia. Ciò testimonia inequivocabilmente che quest’uomo conosceva la tecnica delle costruzioni: se erette nel rispetto della giusta solidità strutturale, sono naturalmente antisimiche. Quindi con Palladio si coniuga perfettamente estetica e resistenza, sia nelle geometrie, che nei materiali; questo si deve anche alla sua storia professionale, che, da figlio di uno scalpellino, transita attraverso la conoscenza dei materiali, la costruzione e la crescita culturale come architetto».
Cicatrici, ferite, collasso, commozione, alterazione: il linguaggio dell’ingegnere che esamina un edificio ricalca quello del medico che esamina un paziente: entrambi devono diagnosticare. «Molto semplicemente e chiaramente, dobbiamo capire perché le strutture crollano. A maggior ragione vivendo in un Paese ad altissimo patrimonio storico, influenzato dal ripetersi dei sismi. Per analizzare a fondo, dobbiamo tener conto non solo dei danni dell’ultimo, ma di quelli, per così dire, stratificatisi anche a causa dei precedenti. Un terremoto produce scuotimenti e deformazioni plastiche, che creano nell’intimo della muratura delle alterazioni, con eventuali e conseguenti crolli che non rientrano nella tipologia del ribaltamento o del taglio, ma sono verticali. La memoria del danno passato è preponderante rispetto all’effetto, alla sollecitazione; in altre parole, il nostro edificio potrebbe superare dieci terremoti di intensità minore e non l’undicesimo di intensità maggiore. I materiali “faticano”, si parla di istèresi, situazione per cui l’evento precedente lascia il segno e l’evento successivo parte già da una situazione alterata. Faccio un esempio: per rompere un fil di ferro occorre produrre sollecitazioni diverse, torsioni alternate, fino a quella definitiva: si chiama fenomeno di “fatica”. Quindi, che si fa? Nella pratica, innanzitutto bisogna verificare lo stato di conservazione dell’integrità muraria, La crosta, dico io, può sembrar solida, ma occorre verificare l’essenza».
Mariani ha applicato questa metodologia di analisi ed intervento sia su edifici civili, sia religiosi e di valore archeologico, sottoposti a tutela. «Uno dei problemi principali in Italia, visto il suo patrimonio artistico, è riuscire a conservare l’esistente. Ma vanno rivisti parecchi parametri, ad esempio l’indice di vulnerabilità sismica, che si calcola guardando alla frequenza, ai tempi di ritorno. Non ha senso: tutta l’Italia è a rischio e il fatto che in alcune aree i terremoti non siano “pane quotidiano” (come la povera Umbria) ma si verifichino anche a distanza di decenni, non riduce la loro potenza distruttiva. In altre parole: ne basta uno, forte, per fare un disastro: i tempi di ritorno vanno a sottovalutare questo aspetto. Per cui oggi, ribadisco, non ha senso che le normative ignorino quasi totalmente – in particolare in tutta l’edilizia spontanea delle nostre città – l’accelerazione verticale, che costituisce un altro terremoto in sé, da aggiungere a quello ipotizzato sul piano orizzontale. La normativa dovrebbe essere quantomeno integrata. Infine ho paura degli schemi, del determinismo definito dalla modellazione fisico-matematica esasperata su strutture che si disgregano, del monotematismo di intervento: occorrono più tecnologie coesistenti, così come debbono coesistere le riflessioni degli esperti».

Si entra in territorio squisitamente tecnico, ma è interessante per tutti capire, perché la cultura della prevenzione deve essere trasversale. «Studi meticolosi hanno portato me e il mio gruppo di lavoro e ricerca a delle evidenze: in primis, non si è mai presa in considerazione questa accelerazione verticale. Ora: il terremoto ha una accelerazione orizzontale e prende la fondazione di un edificio come una tenaglia, con scuotimenti di 20, 30 centimetri; questo è il modello e l’immagine che si dà al sistema strutturale. Io sto divulgando che tutti i terremoti hanno prodotto una accelerazione verticale quasi pari a quella orizzontale, e che si è sempre ignorata: ciò va a cambiare il modo di vedere il terremoto. Esso è caos, le scosse non arrivano pronte a distendersi sui nostri preordinati tre assi cartesiani, ma in modo confuso, asincrono. Questo assunto muta (dovrebbe mutare) il procedimento di costruzione e prevenzione, partendo dal rigenerare le murature». E un approfondimento per chi è addetto ai lavori e mastica la materia si trova qui.
La maggioranza delle città italiane è un monumento a cielo aperto: quali, in sintesi dopo questo excursus, i suggerimenti che, da esperto, può dare per tutelare e conservare? «Considerare la storicità dei terremoti. E fare prevenzione. Il nostro territorio distribuisce continuamente sollecitazioni e alcune zone sono poi più sensibili, le cosiddette sismogenetiche, come Norcia; purtroppo, nonostante la ripetitività delle sciagure, non si riesce a trarne una lezione, si dimentica e si riparte con la negligenza nelle costruzioni».
Mescolando erudizione storica e riferimenti tecnici, Mariani cita il collega Luigi Poletti (1792-1869), membro, insieme a padre Secchi (allora direttore dell’osservatorio del Collegio Romano), della commissione scientifica creata dopo il terremoto che colpì proprio Norcia il 22 agosto 1859: afferente allo Stato Pontificio e abitata da quasi 5.000 persone, la cittadina contò 101 vittime e circa 60 feriti.

I gravi effetti del cataclisma ebbero come concausa le caratteristiche dell’edilizia locale: case con muri sottili, costruiti con ciottoli di fiume e senza facce piane cui si potesse attaccare il cemento legante, e con volte pesanti costruite con gli stessi ciottoli, irregolari e male innestate sui muri, senza legatura alcuna. Le camere canne (controsoffittature di cannucciato e gesso) erano state realizzate con grosse bacchette di faggio anziché canne e le loro irregolarità erano state coperte con pesanti intonaci che si staccavano facilmente dal legno. I tetti erano a padiglione senza incavallature, spingenti in senso orizzontale; i cementi di pessima qualità, fatti con calce magra e argillosa e impastati con sabbia. In tutto ciò, fu pure rilevato che le case più danneggiate erano state quelle di edificazione più recente, erette senza seguire alcun metodo regolare. I due quartieri che avevano subito i danni più gravi erano quelli posti sul pendio della collina, edificati su grandi depositi di scarico e sui voltami di più antiche strutture, con fondamenta irregolari senza incassature rettangolari; infine, mancavano scarichi fognari e condotti per l’incanalamento delle acque di scolo (come si ricava da questo documento).

Sulla base di tali osservazioni, Poletti e Secchi formularono una legge edilizia statutaria, che imponeva, su ogni nuova costruzione, la verifica di conformità al nuovo regolamento: non si sarebbe più potuto costruire su terreni disadatti e si stabilivano procedure per l’inoltro, il vaglio e l’eventuale accoglimento del progetto di costruzione, i modi di vigilanza sui lavori e le sanzioni per i contravventori. I nuovi edifici dovevano essere di due piani, compreso il pianterreno, più eventualmente un seminterrato, non superando comunque i 7,50 metri d’altezza, con base a baracca. Altre norme andarono a coprire il settore degli edifici da restaurare, innescando – e nessun lettore contemporaneo si stupirà – un lungo contenzioso tra il consiglio comunale di Norcia e, d’altro lato, la delegazione apostolica e gli ingegneri incaricati della progettazione dei lavori. Oggetto in particolare: l’articolo 2, che stabiliva il divieto di costruzione sui terreni ritenuti disadatti all’edificazione di fabbricati, il progetto di Poletti di un nuovo quartiere fuori dalle mura cittadine e il progetto dell’ingegnere Caporioni di un nuovo sistema viario per Norcia. L’annessione della cittadina al regno d’Italia (settembre 1860) causò il blocco dei lavori previsti e chiuse la diatriba.
Storia, scienza e politica si intersecano, oggi più che mai: «Vedere che un terremoto può essere di sinistra e di destra – riprende Mariani – è sconsolante, ma non è una novità che possa diventare strumento politico. Il punto è che la prevenzione è difficile da digerire dal punto di vista politico, perchè non paga; meglio promettere infrastrutture, posare prime pietre e tagliare nastri, attività di maggior richiamo, di vetrina e, come tempistica, rientranti in una legislatura. L’Italia è un paese che trema, per storia geologica, ma quanto, poi, l’intervento antropico (dissennato) ha caricato il rischio dissesto! Quindi, quale proponimento migliore è stato quello del Governo che, con #italiasicura, ha iniziato con noi ingegneri, con i geologi e con la rete delle professioni tecniche a dare linee per la valutazione delle progettazioni e per la risoluzione dei problemi incombenti? Il nostro C.N.I. ha presentato due proposte: una riguardante la difesa dalle alluvioni, la prevenzione dei dissesti di origine idraulica e per la difesa delle coste, l’altra per la mitigazione del rischio di frane. Vorremmo che questo nostro lavoro non si interrompesse, perché ci crediamo e perché serve. Speriamo che la politica non si distragga dai suoi buoni propositi, senza dimenticare quante vite hanno salvato i buoni lavori di buoni ingegneri e colleghi tecnici».