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April 25, 2017
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La lettera che pesa sul destino dei giovani americani

In questi giorni arrivano negli USA le buste che aprono e chiudono i sogni di figli e genitori

Stefano AlbertinibyStefano Albertini
Malia Obama

Malia Obama, figlia primogenita di Barack e Michelle, è stata accettata ad Harvard, dove studiarono anche i suoi genitori (Photo by Master Sgt. Cecilio Ricardo, U.S. Air Force/Released)

Time: 3 mins read

Sembrerebbe che di questi tempi di email e smartphone l’arrivo della posta normale sia ormai un evento privo di attese e speranze, mentre proprio in questi giorni qui negli USA gli studenti dell’ultimo anno del liceo e le loro famiglie attendono l’arrivo del postino con grande ansia, pronti a soppesare la corrispondenza per cercare tra bollette e pubblicità la lettera pesante. Sì perché mentre la lettera con cui un’università annuncia a un futuro studente che la sua domanda di ammissione è stata accettata è gonfia di depliant, moduli, biglietti di congratulazioni firmati dal rettore e molto altro.

Tra novembre e aprile i comitati di ammissione delle università infatti prendono in esame centinaia di migliaia di domande e cercano di aggiudicarsi i migliori studenti offrendo riduzioni delle tasse universitarie, borse di studio e altri incentivi.   Ma andiamo con ordine: prima di tutto negli USA dopo il liceo ci si iscrive ad un’università più che a una facoltà, cioè io chiedo di essere ammesso a Yale e solo alla fine del secondo anno deciderò su quali materie concentrarmi nei due anni successive e di conseguenza in cosa laurearmi. I primi due anni dovrò adempiere a una serie di requisiti accademici che vanno dalle lingue straniere alla matematica e che, in parte, compenseranno le carenze educative della scuola secondaria. Poi dobbiamo ricordarci che per essere ammessi a qualunque università bisogna affrontare un rigoroso processo di selezione che comprende un esame nazionale con test a scelta multipla (somministrato da una ditta privata) che gli studenti possono dare quando si sentono pronti, la media dei voti del liceo, l’eventuale frequenza di corsi avanzati, le attività sportive o di volontariato, i passatempi. Alla fine della scuola superiore non c’è un esame finale (tipo la nostra maturità) e, per assurdo, uno studente già ammesso all’università (ad aprile) potrebbe venire bocciato a giugno. A quel punto ovviamente dovrebbe ripetere l’anno e rifare le domande di ammissione.

La prima decisione da prendere è dove fare domanda. E qui di solito cominciano i contrasti tra genitori e figli, soprattutto rispetto alla lontananza da casa dell’ateneo, ma tante altre considerazioni determinano la scelta finale delle 10/12 università alle quali spedire il proprio pacchetto. Ovviamente c’è il prestigio legato al nome e al posto in classifica ed essendo gli USA, ovviamente c’è una classifica per tutto: l’università con i migliori impianti sportivi, quella con la più alta percentuale di occupati a un anno dalla laurea, quella con il miglior dipartimento di biologia marina, magari con nave propria, e così via. Poi ci sono, ovviamente le considerazioni economiche, visto che la differenza delle rette può variare da poche migliaia di dollari per le università statali (con ulteriore sconto per i residenti di quello stato) ai 50 e 60 mila dollari per gli atenei più blasonati o più alla moda. Si tratta sempre di cifre ragguardevoli e nonostante molti studenti ricevano qualche forma di aiuto finanziario, la maggior parte arriva alla laurea gravata da un discreto debito che dovrà cominciare a pagare non appena avrà trovato un lavoro. Gli studenti, sulla base dei loro risultati scolastici e del punteggio conseguito nel test nazionale, sanno già più o meno quali sono le università nelle quali hanno buone possibilità di entrare, ma mettono sempre anche un paio di atenei meno appetibili che fanno da rete di salvataggio nel caso nessuno di quelli di prima scelta li accettasse.

Ma non dobbiamo pensare che la meritocrazia sia l’unico criterio che determina l’ammissione all’università o, più in generale, per avere successo negli USA. Certo, rispetto al clientelismo italiano che vede in alcune facoltà  il 40/50% dei professori legati da vincoli di parentela siamo avanti anni luce, ma anche qui ci sono scappatoie per finire targati Harvard o Princeton. Queste e altri atenei di grande fama infatti chiedono ai candidati tra le mille altre cose se hanno genitori o parenti che si sono laureati lì. Sono i “legacy applicants” i rampolli di famiglie che hanno avuto antenati che hanno frequentato con successo quelle aule e che, soprattutto, hanno frequentemente elargito laute somme di denaro all’università.  Vi siete mai domandati come abbia fatto George W. Bush (uomo di modesto intelletto e ancor più modesta cultura) ad entrare a Yale e Harvard? Ecco, lui non doveva aspettare con ansia la lettera pesante. Le pesanti donazioni della sua famiglia gli avevano spalancato le porte dell’empireo del sapere prima ancora che presentasse domanda.

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Stefano Albertini

Stefano Albertini

Stefano Albertini è Direttore della Casa Italiana Zerilli-Marimò e Professore nel Dipartimento di Italianistica della NYU. Si occupa di letteratura, politica, cultura e cinema italiani. Stefano Albertini is Director of the Casa Italiana Zerilli-Marimò and Professor in the Department of Italian Studies at NYU. His work focuses on Italian literature, politics, culture, and cinema.

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