Un nuovo allarme è stato lanciato dall’Associazione Microbiologi Clinici Italiani: "Sarebbe bene che anche l'Italia iniziasse ad attivare misure di attenzione negli aeroporti e nei centri di prima accoglienza". Prevenzione da che cosa? Da eventuali infezioni da virus Ebola. La notizia è agghiacciante. Ma non è nemmeno nuova, perché lo scorso 4 aprile è stato lo stesso Ministero della Sanità ad affrontare questo tema spinoso con una circolare ‘riservata’ che poi è finita su tanti giornali.
Insomma, la paura dei virus ‘Ebola’ è sbarcata in Europa. C’è il timore che il virus mortale – del quale non è nota con certezza l’origine (c’è chi non esclude che possa essere ‘sfuggito’ da qualche laboratorio dove si studiano armi chimiche) – possa arrivare nel Vecchio Continente. Il come non c’è nemmeno bisogno di dirlo: con le ondate di migranti che, giornalmente, si riversano in tanti Paesi europei.
Noi abbiamo raccolto quest’allarme dalla Sicilia. Dove gli sbarchi sono all’ordine del giorno. E dove un’infezione di questo virus potrebbe causare danni enormi.
Il caso ha voluto che la scorsa settimana, qualche giorno prima che sulla rete iniziasse a circolare la nota ‘riservata’ (o quasi) che il Ministerro della Sanità ha inviato a tante autorità, ad Agrigento e a Catania andavano in scena sbarchi bibblici. Centinaia di persone – tutti migranti provenienti dall’Africa – che, qualche ora dopo lo sbarco, circolavano tranquillamente per le via di Agrigento e Catania. Il tutto senza controlli sanitari. Nulla di nulla. Sotto gli occhi di tutte le autorità.
Questa è la Sicilia nell’anno di grazia 2014. Questa è l’Italia. Un Paese dove fatti gravissimi, che potrebbero causare danni enormi alla popolazione, avvengono senza che nessuno se ne occupi e se ne preoccupi.
La cosa paradossale, in tutta questa storia, è che l’allarme – lo ribadiamo – non è stato lanciato da singoli soggetti, ma dal Ministero della Salute lo scorso 4 aprile e, in queste ore, dall’Associazione dei Microbiologi Italiani.
La cosa che colpisce, oltre all’assenza delle autorità italiane, è la non reazione della Sicilia. Stamattina, ad esempio, sulla rete, un ex amministratore di Lampedusa lamentava che l’allarme potrebbe allontanare i turisti dall’isola. Il tutto, spiegava, “senza che a Lampedusa, ad oggi, si sia verificato un solo caso di Ebola”. Chi ha scritto una cosa del genere non immagina nemmeno che cosa succederebbe se, in un piccolo contesto come Lampedusa, venisse fuori un caso di “Ebola”…
Come i lettori in America possono notare, non c’è, in Italia, tra la popolazione, nemmeno la lontana consapevolezza dei pericoli che incombono. Presi dal logorio della vita di ogni giorno, non c’è nemmeno la voglia di ragionare su quello che potrebbe succedere.
In questo momento, chi in Italia ragiona sui pericoli di questo virus, viene tacciato di allarmismo. Inutile ricordare che, nei Paesi civili chi arriva da Paesi a rischio viene controllato e, in caso di problemi, posto in ‘quarantena’. Una prassi del genere – a tutela della salute pubblica – ancora non è entrata nell’immaginario degli italiani. Eppure il pericolo c’è: se i microbiologi italiani sollecitano i controlli nei porti e negli aeroporti un motivi ci sarà.
Invece in Italia i migranti, anche in queste ore, continuano ad arrivare e, dopo poche ore, circolano liberamente nei centri abitati, senza che sia stato effettuato prima un meticoloso controllo medico. Vi sembra una pazzia?
Allora venite in Sicilia. Dove, in queste ore, si sta provando a razionalizzare. Pensate, cari lettori in America: lo Stato, almeno, ha già messo in moto il Ministero della Sanità. L’ha fatto in ritardo, ma l’ha fatto. L’associazione nazionale dei Microbiologi è intervenuta. Chi ancora non ha mosso un dito è la Regione siciliana. Sembra incredibile, ma è così. La Sicilia, come ricordiamo spesso, è una delle cinque Regioni italiane a Statuto speciale. E’ come uno Stato Usa. Sull’organizzazione dei servizi sanitari gode di pieni poteri. Ma, rispetto a questo problema, non ha fatto nulla. Nulla di nulla.
Siamo alla follia? Secondo Sicilitudine, sì.
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