L’anno cinese del serpente, cioè grosso modo il 2013, avrebbe potuto concludersi con un finale degno di un blockbuster apocalittico-ambientale, con la notizia di un mega schermo per la proiezione d’immagini di albe e tramonti, installato a piazza Tian’anmen per permettere agli abitanti di vedere il sole, oramai coperto dallo smog. La notizia, con tanto di foto del supposto schermo, è circolata su internet una settima fa, ma per fortuna si trattava di un falso: il sole i pechinesi lo vedono ancora.
Non c’è da stupirsi tuttavia che alcuni ci abbiano creduto: non sarebbe stato il primo evento ambientale catastrofico a verificarsi in Cina. L’anno del serpente ha infatti aperto i battenti sotto una spessa coltre di smog che ha coperto Pechino l’inverno scorso. È poi proseguito sotto il segno di altri scandali ambientali, come il ritrovamento, a marzo, di migliaia di carcasse di maiali morti nel fiume Huangpu, che fornisce acqua potabile a Shanghai.
Lo smog avrebbe ridotto le vite dei pechinesi di circa 16 anni di vita in media, tra il 2004 e il 2008, secondo un recente studio apparso sul British Medical Journal. Stando a Greenpeace, nel 2012 circa 8 570 persone sarebbero morte prematuramente a Pechino, Shanghai, Guangzhou e Xi’an, a causa delle particelle sottili presenti nell’aria.
Tra queste, le più pericolose per l’uomo sono le cosiddette “PM 2,5”: particelle minuscole, del diametro di 2,5 micròmetri, cioè millesimi di millimetro, tanto piccole da poter penetrare facilmente nei polmoni e causare asma e tumori polmonari. Secondo le raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, il livello di PM2,5 non dovrebbe eccedere i 25 microgrammi per metro cubo d’aria al giorno. Nelle città cinesi i livelli sono molto più alti e possono toccare picchi ben al di là dei 200 microgrammi.
Negli ultimi tempi, di fronte a questi segnali allarmanti (e all’indignazione crescente dei cittadini), il governo cinese ha moltiplicato gli sforzi nella lotta all’inquinamento.
Lo scorso settembre ha pubblicato un piano d’azione per combattere lo smog, integrato al più ampio “12esimo Piano Quinquennale 2011-2015”. Il piano vieta la creazione di ulteriori centrali a carbone (attualmente più di 2 300 in tutta la Cina, secondo Greenpeace) nelle zone intorno a Pechino, Shanghai e Guangzhou.
Inoltre prevede la riduzione del 25% del livello di PM 2,5 nell’aria di Pechino, di Tianjin e dello Hebei, del 20% nel delta del Fiume Azzurro e del 15% nel Fiume delle Perle. Tutto questo entro il 2017. Quanto basta per suscitare lo scetticismo delle organizzazioni di difesa dell’ambiente. Tra l’altro, a dicembre scorso, è stata la stessa agenzia ufficiale Xinhua ad evidenziare dei ritardi nel raggiungimento di questi obiettivi.

Protesta di ambientalisti a Pechino
Nel frattempo, il comune di Pechino lavora a delle misure più strette contro lo smog e mira a sostituire tutte le sue centrali a carbone con delle centrali a gas naturale entro il 2017. Varie città hanno imposto delle forti restrizioni all’uso dei fuochi d’artificio, tradizionalmente usati per festeggiare il nuovo anno, ma colpevoli di contribuire all’inquinamento.
L’anno del cavallo, che si apre oggi, non sarà quindi accolto a suon di esplosioni colorate nel cielo. Sarà accolto piuttosto con speranze di un ambiente migliore e di meno rischi per la salute. Sempre più ampi strati della popolazione stanno prendendo coscienza del problema ambientale e fanno pressione sulle autorità. Presto o tardi il governo dovrà tener fede alle sue promesse per evitare di perdere il sostegno popolare.
Sebbene siano stati fatti alcuni passi verso una maggiore trasparenza e partecipazione della società civile nella lotta contro l’inquinamento, questi non sembrano essere tra gli elementi chiave della strategia ambientale della Cina. Ad esempio, oramai 179 città cinesi forniscono agli abitanti informazioni in tempo reale sui livelli di qualità dell’aria.
Ma una maggiore partecipazione cittadina alla lotta ambientale non sarebbe pensabile, porterebbe con sé troppi altri diritti (libertà di stampa, di manifestazione, eccetera). Per il momento, il cambiamento non può venire se non dall’alto, ma dall’alto il modello di sviluppo scelto finora per il paese è quello della crescita ad ogni costo, della corsa al PIL al 7%. La crescita dovrebbe invece essere equilibrata e reggersi non solo sul PIL ma su più criteri, tra cui il diritto dei cittadini di vivere in un ambiente sano e la salvaguardia delle risorse naturali, che una volta finite non si ricreano. Quello che si chiama, insomma, “sviluppo sostenibile”.
In un mondo interconnesso e interdipendente, il modello di sviluppo di una nazione delle dimensioni e della popolazione della Cina è inevitabilmente materia d’interesse anche per altri paesi.
Semmai ci fosse bisogno di ricordarci il suo impatto sul cambiamento climatico e sul commercio globale, ecco che ci ha pensato una ricerca pubblicata la settimana scorsa sulla rivista scientifica Proceedings of the National Academy of Sciences.
Lo studio spiega come le particelle inquinanti nell’aria vengano trasportate dai venti dalla Cina, attraverso il Pacifico, fino alla West Coast americana. Sapendo che il 22% di queste particelle deriva dalla produzione di beni d’esporto nelle fabbriche cinesi, viene da immaginare questo smog itinerante come un boomerang implacabile che riporta verso gli Stati Uniti le conseguenze ambientali di certe produzioni per le quali gli americani si riforniscono in Cina. Dati di questo genere evidenziano le dipendenze e responsabilità reciproche che legano oggi produttori, fornitori e consumatori di paesi diversi ma appartenenti alla stessa rete di commercio – e d’inquinamento – globale.
Motivo per cui certi problemi vanno trattati su scala internazionale. La prossima occasione per farlo sarà la conferenza di Parigi sul cambiamento climatico nel 2015. A quel punto l’anno del cavallo sarà finito e speriamo avrà portato buone notizie per un futuro più sostenibile.