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in Religioni
January 16, 2016
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January 16, 2016
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L’odio per la donna, dea della Misericordia

La donna aveva tutto; l’uomo non era niente, sapeva dare solo la morte

Elisabetta de DominisbyElisabetta de Dominis
L’odio per la donna, dea della Misericordia
Time: 3 mins read

Nessuno ha ancora capito dove nasca l’odio dell’uomo islamico per la donna. Perché di odio si tratta, vista la sudditanza che le impone. Nasce da una guerra infinita, la lotta più antica iniziata tra l’uomo e la donna per il dominio del mondo, che all’epoca era il bacino del Mediterraneo. La donna non ha perso e l’uomo non ha vinto per un semplice motivo: hanno lottato e lottano per due obiettivi diversi; e tuttora non lo sanno. Lui bramava il potere di lei, lei l’amore di lui.

La donna aveva tutto: era dea, era madre e allo stesso tempo vergine e prostituta. Era Amore. L’uomo non era niente, perché non sapeva dare la vita, solo la morte. Gli uomini del Califfato non vinceranno, nonostante seducano giovani disadattati con una propaganda elementarmente estetica, perché sono rimasti all’età della pietra. Credono che il più forte sia chi sa uccidere ed è disposto a morire. Pensano che vinca sempre il più forte. E non hanno ancora capito chi sia il più forte. Lo sta dicendo papa Francesco: “Il nome di Dio è Misericordia”, titolo del suo libro. Questo è il nome della divinità più antica ed è femminile. La dea con l’avvento delle religioni abramitiche ha cambiato sesso. Perché dio è un’invenzione del sumero Abramo, che significa “il padre di molti”. Colui che ha voluto dare alla sua progenie una discendenza patrilineare come comando dell’unico vero dio. E guarda caso, tramite i suoi figli Isacco e Ismaele, ha messo al mondo sia ebrei che arabi e ovviamente anche noi cristiani. Insomma tutti. Creando la supremazia di un dio maschile, ha creato il padre, il capo, la famiglia, il potere, la discordia, la prevaricazione, l’odio e la guerra tra fratelli.

Non che prima non ci fossero guerre, ma non c’era il concetto di fratellanza e non ci si uccideva tra fratelli. Erano lotte tra dei capricciosi, a cui i mortali non dovevano assomigliare, se volevano sopravvivere. Punto. Ma sopra tutti regnava un principio universale che era la Misericordia, quel riconoscersi uguali nel cuore. E per perseguire l’uguaglianza di questa dea – che era Natura, Luce, Anima, Spirito, Coscienza – delle sacerdotesse nei templi tentavano di imitarla mettendo al mondo una femmina attraverso la partenogenesi. Celebrando riti riproduttivi, cercavano di indurre una meiosi spontanea degli ovuli, come in certi insetti ed animali che condividono il patrimonio genetico materno. La figlia che nasceva era la manifestazione terrena della Grande Dea. Nel corso del secondo millennio a. C. arrivarono dal Nord-Est delle tribù patriarcali che adoravano divinità maschili. Questi dei vennero accolti nei templi della dea e si iniziò a praticare il “matrimonio sacro”: la sacerdotessa vergine si trasformò in prostituta sacra e cominciò a mettere al mondo dei ed eroi.  Così la donna divenne solo lo strumento per partorire un uomo superiore, figlio sicuramente di un dio. I figli della donna non venivano più concepiti dallo spirito della Luna, ma dallo spirito santo.

Se a scuola si insegnasse storia delle religioni, i giovani potrebbero conoscere come sono nate le religioni. La religione è l’invenzione dell’angoscia umana per il terrifico potere della natura. Il primo ordinamento che l’uomo pone in essere è teocratico, perché solo con l’ira divina si potevano spiegare cataclismi e ingiustizie e regolamentare la vita umana. Ancora oggi i più rispettano leggi e osservano i precetti divini perché hanno paura di subire una punizione nei rispettivi campi terreni e celesti. Ma i giusti, che pur si dicono laici, sentono un dio, una dea, un daimon socratico che parla al loro cuore. Il sesso del divino non ha importanza. L’importante è sentirlo dentro di noi. Ma perché si manifesti, ci vuole nei primi anni di vita una guida esterna. Una voce familiare, qualcuno che illumini la via, che si faccia Luna. Attraverso racconti, metafore, esempi di vissuto. Io sono stata fortunata: mia nonna paterna mi ha insegnato la via della forza femminile attraverso la descrizione della valchiria Brunilde nella Saga dei Nibelunghi; la mia professoressa delle medie la compassione, l’ospitalità, l’audacia dallo studio dell’Iliade; mio nonno materno la vicinanza, l’uguaglianza, la misericordia attraverso la narrazione della sopravvivenza nel campo di concentramento. Mi hanno fatto comprendere l’impossibilità di derogare alla voce della coscienza.

Quale religione è quella che non sa risvegliare l’anima, che non fa parlare la coscienza dentro di noi? Una religione che impone il proprio credo tenendo nell’ignoranza i fedeli non è una fede ma solo uno strumento di distruzione umana.

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Elisabetta de Dominis

Elisabetta de Dominis

Detesto confondere la mia vita con un curriculum. Ho ballato e sognavo di nuotare, ho nuotato e sognavo di cavalcare, ho cavalcato, studiato, mi sono laureata mentre facevo la stilista e sognavo di fare la giornalista, ho collaborato con una ventina di testate nazionali, diretto una rivista, ho fatto l’esperta di quasi tutto, dal food al fashion al sex, ho viaggiato e sempre volevo essere da un’altra parte, libera di inseguire l’ultimo sogno.

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