Gli esseri umani hanno sempre cercato di interpretare il volere degli dei attraverso gli oracoli. E spesso si sono rovinati la vita. Anche oggi molti di noi si affidano a cartomanti e sensitivi per sapere che strada imboccare verso il futuro. La tragedia di Euripide “Ifigenia in Tauride” ci dice questo. Cosa c’è di più lacerante del destino di una figlia che a seguito di un oracolo viene condannata a morte dal padre per la propria gloria? In passato (ma ancora oggi in certi paesi di credo coranico) l’immortalità di una famiglia era raggiunta attraverso accordi dinastici dove i figli erano solo il mezzo di continuità e accrescimento di un nucleo familiare. L’amore non era contemplato in un’unione se non nei miti che riguardavano gli dei e nelle leggende che celebravano gli eroi. Ma l’amore esisteva e nasceva proprio all’interno di una famiglia.
S’impara ad amare tra le mura di casa. Ed anche ad invidiare, destare, odiare. Impariamo ad amare dai genitori, così nasce un sentimento verso di loro e verso gli altri, di cui i più prossimi sono i fratelli e le sorelle. Ifigenia in Tauride è una tragedia dell’amore filiale, ma anche un grande inno d’amore alla fratellanza e alla sorellanza.
Se può avvenire che non si faccia l’amore per amore, quando un figlio nasce è considerato un dono celeste, pura manifestazione d’amore divino. La tragedia degli Atridi prende proprio le mosse dal sacrificio dell’amore filiale per la conservazione della stirpe. Ma senza amore non ci può essere continuità degli esseri umani. Il sacrificio di Ifigenia provocherà la dissoluzione della stirpe, perché scatenerà odi e vendette.

Al tramonto di una calda giornata siciliana, ogni sentimento ci viene svelato sulla scena del teatro greco di Siracusa, che chiude le sue rappresentazioni a fine di questa settimana, ma questa tragedia, la cui ottima regia è di Jacopo Gassmann, sarà replicata il 15 e 16 luglio al teatro Grande di Pompei e il 14 e 15 settembre al teatro Romano di Verona.
Il mito è questo: le navi greche, di cui Agamennone è il comandante, si sono riunite nella baia antistante Argo per andare ad assediare Troia e riprendersi Elena, sposa di Menelao, fratello di Agamennone, rapita (ma consenziente) dal bel principe troiano Paride. Non c’è vento e un oracolo enuncia che la colpa è di Agamennone che ha offeso la dea Artemide uccidendo un cervo, ma che, se le sacrificherà la figlia Ifigenia sull’ara, il vento ricomincerà a soffiare e le navi potranno salpare. Il re si oppone, ma tutti i greci insorgono e quindi egli manda un messaggero a Micene alla moglie Clitennestra dicendole di portare subito la figlia in Argo perché andrà sposa ad Achille. Dalla gioia Ifigenia passerà allo sgomento quando saprà di doversi sacrificare, ma accetterà la sua sorte. Clitennestra non perdonerà al marito l’inganno e l’omicidio della figlia e, quando Agamennone ritornerà da Troia, lo farà assassinare dal suo amante Egisto. Oreste, divenuto adulto e consultato l’oracolo di Delfi, vendicherà il padre assassinando la madre ed Egisto.
Perseguitato dalle Erinni (personificazioni femminili della vendetta), Oreste impazzì. Giunto ad Atene venne giudicato nell’Areopago, presieduto dalla dea Atena che lo assolse, dichiarando l’assassinio della madre meno grave di quello del padre. Ma alcune Erinni continuarono a perseguitarlo e l’oracolo del dio Apollo, per placarle, vaticinò di recarsi in Tauride (l’attuale Crimea) a rubare la statua della dea Artemide e portarla ad Atene dove edificare un tempio in suo onore. Là sua sorella Ifigenia, salvata sull’ara del sacrificio da Artemide che l’aveva sostituita con una cerbiatta, era sacerdotessa della dea e aveva il compito di uccidere tutti gli stranieri che arrivavano. <<Non c’è più musica per me, ma solo il sangue che guizza dagli altrai>> dice Ifigenia, interpretata da una bravissima Anna Della Rosa.
Ifigenia non riconosce il fratello Oreste perché quando lei era stata sacrificata era un bambino, ma il fatto che lui e il suo compagno Pilade siano greci la induce a indagare e a chiedere notizie della sua patria. Infine la sorella riconoscerà il fratello tanto rimpianto e creduto morto: <<Tu che sei il più amato, Oreste, piccolo mio, fratello, sei arrivato dalla patria lontana. Ho paura che questa gioia mi sfugga via. Vorrei tornare a danzare là dove già danzavo da ragazza>>. I tre giovani architettano la fuga con il simulacro e la dea Atena esorterà il barbaro re Toante a interrompere l’inseguimento delle sue navi. A dimostrazione che talvolta le barbarie vengono perpetrate in famiglia e non in un’altra terra, solo perché lontana e con costumi diversi.