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January 29, 2022
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In una vita regolata dal social media, la scuola deve educare alle emozioni

Cambiare i modelli di somministrazione della conoscenza: non più Media education, piuttosto nuovi approcci alla formazione con l'educazione ai sentimenti

Francesco PirabyFrancesco Pira
Negli Usa l’occupazione cresce poco: a mancare non è il lavoro, ma i lavoratori

Studente a casa segue le lezioni di scuola con la DAD - ANSA/MATTEO CORNER

Time: 3 mins read

Affronto, ormai da tanti anni, il tema dell’educazione alle emozioni. Ho partecipato a tantissimi incontri nelle scuole e ho cercato di spiegare l’importanza dei valori e dei sentimenti.

Le nostre vite trascorrono regolate da Facebook, Instagram, Tik Tok, Google, Twitter, Whatsapp, Yotube e moltissime altre piattaforme. Questo non significa soltanto che siamo connessi e che le nostre relazioni si costruiscono attraverso i social media, ma vuol dire soprattutto che siamo guidati sulle funzionalità sviluppate all’interno di queste interfacce tecnologiche, che sono più o meno fruibili in funzione del supporto di cui disponiamo.

La rete nasconde anche dei fenomeni pericolosi come il cyber bullismo e il sexting. Purtroppo, concetti come intimità e privacy, diventano per i nostri figli, funzionali alla costruzione dell’immagine che si vuole fornire al proprio pubblico sui social network.

Le relazioni social sono spesso caratterizzate da un’estremizzazione delle emozioni e all’amplificazione delle stesse, arrivando ad estreme conseguenze come le terribili Challenge (sfide pericolosissime). Penso alla piccola Antonella, la bambina palermitana, che proprio un anno è stata ritrovata con una cintura al collo in stato di asfissia e poi deceduta. Un problema che ha radici profonde e che dimostra come alcuni disagi si stiano palesando nell’era Covid – 19.

I preadolescenti e gli adolescenti, e questo viene fuori dal mio lavoro di ricerca, in rete ormai “vetrinizzano” ogni momento della loro vita. Un bisogno di essere sostenuti, rassicurati, accettati. Il modo di approcciarsi ai social dei nostri ragazzi mostra la complessità e le contraddizioni della vita sociale dei ragazzi sulla rete, le loro fragilità emotive e le loro insicurezze. E proprio su questo puntano gli adulti che poi costruiscono le reti pedopornografiche.

La parte emozionale, e legata al proprio io, deve essere vissuta fuori da uno schermo e fuori dalla realtà virtuale che non è la vita reale.

Pertanto l’educazione ai media, o Media Education, un’espressione entrata in uso con lo sviluppo tecnologico dei mezzi di comunicazione di massa e si riferisce alla formazione delle capacità di utilizzare opportunamente i mezzi di comunicazione di massa, deve perciò essere costruita su logiche completamente nuove.

Non è più sufficiente introdurre percorsi trasversali nei cicli scolastici, i modelli stessi di somministrazione della conoscenza devono cambiare.

Non più Media Education come educazione ai media, piuttosto deve diventare strumento di un nuovo approccio strategico alla formazione, unita all’educazione ai sentimenti. Ho letto un interessante articolo sul portale Cosmopolitan, scritto da Elisabetta Moro, che spiega un progetto sperimentale, della durata di tre anni, sull’educazione emotiva nelle scuole.

Alla Camera, da qualche tempo, è stata approvata una proposta di legge sulla valorizzazione delle competenze non cognitive: l’Italia potrebbe introdurre l’educazione emotiva nelle scuole in via sperimentale.

Peter Salovey e John D. Mayer hanno dato vita, negli anni 90, il termine “intelligenza emotiva” e lo spiegano in questo modo: “Noi partiamo dal presupposto che i compiti quotidiani e il pensiero costruttivo siano carichi di informazione affettiva, e che questa informazione affettiva debba essere elaborata (forse in modo diverso rispetto alle informazioni cognitive) e che gli individui possano differire nell’abilità con cui lo fanno”.

L’educazione emotiva ha dato risultati positivi sotto diversi aspetti: l’apprendimento, il contrasto all’abbandono scolastico e la salute mentale dei ragazzi. Aiuta a prevenire tante devianze come ad esempio l’atteggiamento aggressivo.

Studenti in un aula – ANSA/ANGELO CARCONI

Durante la pandemia i ragazzi sono stati sempre connessi col mondo, ma sempre più isolati e chiusi in se stessi. Un processo che spinge a riflettere ancora una volta sui rischi della “vetrinizzazione” di cui ha parlato il sociologo Zygmunt Bauman: “Oggi non siamo felici ma siamo più alienati, isolati, spesso vessati, prosciugati da vite frenetiche e vuote, costretti a prendere parte a una competizione grottesca per la visibilità e lo status”. Le conseguenze possono essere gravissime.

Vittoria Casa, Presidente commissione Cultura Scienza e Istruzione alla Camera, ha detto: “Mai come in questo momento la scuola ha il compito di ricomporre il disorientamento verso il mondo circostante delle nostre ragazze e dei nostri ragazzi. A loro vanno forniti gli strumenti per superare le criticità generate dalla pandemia e per potersi affermare nella vita. Oggi integrare nella didattica le competenze non cognitive è altrettanto fondamentale che apprendere i diversi saperi disciplinari”.

All’estero si affrontano tematiche che in Italia trovano poco spazio e mi riferisco alla sessualità e ai sentimenti. Quindi, ben venga questa sperimentazione triennale che permetterà di creare delle Linee guida per tutti gli ordini e i gradi d’istruzione.

Speriamo che il Senato approvi questa legge per offrire alle nuove generazioni un supporto e un aiuto per un futuro migliore.

Nel frattempo noi adulti cosa possiamo fare? Abbiamo il dovere di presidiare e soprattutto di educare i nostri figli ad un uso consapevole del web. Non vietare, ma guidare ad un corretto uso delle tecnologie. Infine, come ho sempre sostenuto ci vuole una Scuola per Genitori per aiutarli a comprendere quali sono le nuove esigenze educative e le tante emergenze.

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Francesco Pira

Francesco Pira

“Il potere è fare le cose per gli altri”. Questa frase scritta nella piccola sacrestia di un prete cristiano caldeo a Bagdad è quella che mi ha sempre accompagnato nelle mie esperienze umane e professionali. Amo leggere, scrivere, ma soprattutto quando posso narrare. Mi piace, come sosteneva Enzo Biagi, raccontare storie di persone comuni. Scrivo da quando avevo 14 anni. Fin da giovane ho coltivato la passione del giornalismo. Oggi insegno, nell’ambito della sociologia, comunicazione istituzionale e teorie e tecniche del linguaggio giornalistico all’Università di Messina. I miei territori di ricerca comunicazione e giornalismo con focus costanti sul rapporto tra adolescenti e nuove tecnologie, la comunicazione politica, sociale e pubblica. Sono un siciliano che ama il “lato giusto” della Sicilia. Vivo con il sogno prima o poi di trasferirmi negli Stati Uniti.

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