C’è un momento dell’anno in cui è fondamentale saper fare una cosa che non tutti sanno fare.
Ci si arriva dopo anni di studi e di errori, che servono a correggerti, a farti migliorare. Il momento dell’anno è questo. E la cosa da saper fare ha una definizione misteriosa, preoccupante e anche un po’ sinistra: vestirsi a cipolla. Vestirsi a cipolla è un arte ed è la soluzione che l’esperto in materia ti dà quando sente i seguenti lamenti: “Non si sa come vestirsi”, “Un momento è caldo, un momento è freddo”, “Si suda poi si gela, poi si torna a sudare, io non lo so”.
La risposta è apparentemente semplicissima: “Ah, basta che ti vesti a cipolla!”. E lì uno entra in un tunnel di dubbi sul significato del concetto e anche sulla sua attuazione. Il termine deriva dal fatto che la cipolla è fatta di più strati (ma allora in un certo senso anche il carciofo). Bisogna vestirsi a strati e cioè mettersi qualcosa che vada bene se è un caldo cane o se piomba un freddo siberiano. Intanto bisogna premettere che chi è vestito a cipolla quasi sempre, salvo rari casi, fa schifo.
Sembra l’omino della pubblicità Michelin. Perché ci si sforma, si diventa grassi, goffi, impacciati, che quando ti incontra l’amico o l’amica e ti fa: “Ma scusa, sei un po’ingrassato?” (cosa che fa sempre dispiacere a tutte le latitudini, nel senso che se lo dici anche a un esquimese imbottito di pelo ci rimane comunque un po’ male), tu rispondi: “No, sono vestito a cipolla”. E molti non ci credono. Comunque la gente che si veste a cipolla, o almeno ci prova, fa spesso un gran casino. Maglietta a maniche corte, sopra una maglia a manica lunga, sopra un maglioncino di lana leggero, sopra un giubbottino estivo, sopra un giubbone pesante e sopra un gabarden.
In quel momento in giro non c’è una persona. ma una mongolfiera. Poi chi è vestito a cipolla quasi sempre suda molto. Sì perché prima di liberarsi dei due o tre strati per combattere il freddo siberiano, ha comunque appesantito un’ascella a livelli quasi insostenibili. Il vestirsi a cipolla, per questo, è anche una delle maggiori cause per cui uno si ammala. Ovvio, passare, mentre sei in Corso Buenos Aires a Milano o sulla Madison, dai 40 gradi di Nairobi agli 11 gradi che ci sono in città, è un’escursione termica che schianterebbe un bue.
La confusione con questa storia della cipolla è incredibile. C’è gente in infradito in dicembre e gente in bermuda, ma con il loden, d’estate. Salvo poi incontrare gente che si era vestita a cipolla, ma siccome è venuto fuori il sole e la temperatura si è mitigata (la gente in questi casi dice che si scoppia dal caldo ma sono proiezioni della propria fantasia), cammina in pratica con un armadio di vestiti a cavallo del braccio, che non sa dove diavolo appoggiarli e di conseguenza ne dimentica dei pezzi sulle sedie di un bar, in un negozio o nei sedili posteriori della macchina di un altro.
Se ne evince, alla fine dei conti, che ci sono diversi modi di vestirsi. Elegante, casual, da lavoro, sportivo, ricercato, bizzarro, eccentrico, a cipolla e…a pene di segugio. Cioè a cazzo di cane, per dirla in modo più diretto. In questo caso vuol dire che, per esempio una signora, distratta dall’esigenza di vestirsi a cipolla, si è messa un accozzaglia di roba che non sta insieme neanche con la colla, colori inaccostabili, intonazioni completamente sbagliate, abbinamenti da ospedale psichiatrico. Con l’amica che perfidamente dice: “Beh, stai bene vestita così’”. E l’altra, in evidente stato confusionale, risponde: “Grazie”. Gongolando.