Ormai, da circa un anno, siamo costretti a lavorare da casa e le parole come: “smart working e dad” sono diventate parte integrante delle nostre vite. Certamente, nessuno di noi avrebbe mai immaginato di vedersi confinato ad una scrivania e ad un pc con gli effetti che ne conseguono. In tanti, in questi ultimi mesi, si sono pronunciati sul lavoro da remoto ed è tornato a parlarne il capo di Goldman, David Solomon, e Huffingtonpost ha raccolto le sue dichiarazioni. In molti ritengono nel settore finanziario che il lavoro da remoto non sia adatto alla cultura aziendale e non può diventare il nuovo stile di vita dei lavoratori.
Infatti per il numero uno di Goldman Sachs, David Solomon, il lavoro da remoto è una “aberrazione” e non certo una possibile “nuova normalità”. Il ceo della banca d’investimento – citato dalla Bbc – vorrebbe che i dipendenti tornassero al più presto in ufficio, al contrario di altre aziende che ritengono lo smart working sia la svolta del futuro.
Solomon durante una conferenza ha dichiarato: “Penso che per un’azienda come la nostra, basata su una cultura dell’apprendistato innovativa e collaborativa, questo non sia l’ideale. E non è una nuova normalità. È un’aberrazione che correggeremo il prima possibile”. La sua preoccupazione è rivolta a 3.000 nuove reclute perché non hanno ricevuto il “tutoraggio diretto” necessario. “Sono molto concentrato sul fatto che non voglio che un’altra classe di giovani arrivi a Goldman Sachs in estate da remoto”, ha affermato con certezza. E ancora: “Non credo che quando usciremo dalla pandemia la modalità operativa generale del modo in cui opera un’azienda come la nostra sarà molto diversa”.
Diverse personalità importanti condividono il pensiero di Solomon come l’amministratore delegato di JP Morgan Jamie Dimon e anche il capo di Barclays Jes Staley.
Invece, gli ormai colossi della comunicazione mondiale e le piattaforme social come Facebook e Twitter hanno comunicato che il personale potrà lavorare da casa in maniera definitiva.
Facebook ha dichiarato che fino a metà del suo personale potrebbe lavorare da remoto entro cinque-dieci anni. Come se non bastasse il gigante dei social media ha proposto che i lavoratori a distanza potrebbero essere pagati di meno, se si trovano in zone in cui il costo della vita è inferiore rispetto a San Francisco e alla Silicon Valley.
Avevo già avuto modo di scrivere quando Bill Gates, fondatore di Microsoft e della Bill & Melinda Gates Foundation, in un video pubblicato da La Stampa, era tornato ad occuparsi dei cambiamenti che la pandemia ha portato nella vita di tutti noi e del mondo intero.
Aveva evidenziato come nel mondo della comunicazione ci saranno numerosi cambiamenti su tutti i fronti. Lo smart working, secondo la sua analisi, consentirà di ridisegnare la vita di tutti i giorni: le città saranno meno affollate, diminuiranno le spese di trasporto e di alloggio per i lavoratori. Verranno meno i contatti sociali sui luoghi di lavoro e questo forse favorirà i rapporti con la propria comunità d’appartenenza con un dispendio di energia superiore.
Io condivido la posizione di Solomon, perché la nostra vita da reclusi a casa ci ha fatto comprendere quanto sia importante il nostro lavoro in presenza. Ci siamo ritrovati “iperconnessi ma molto soli”, così come sosteneva il grande sociologo Zygmunt Bauman. I contatti virtuali non possono sostituire la bellezza dei rapporti umani, di un abbraccio, di un bacio, di una stretta di mano, di un’uscita con i colleghi anche solo per un caffè. Harvey B. Mackay ci ricorda che “la tecnologia dovrebbe migliorare nostra vita, non diventare la nostra vita”. E quindi il lavoro da remoto è o non è un’aberrazione: questo è il dilemma!!!