La Voce di New York ha deciso di lanciare la propria piattaforma su Clubhouse per avviare un canale di confronto diretto con i lettori. Ogni settimana introdurremo un nuovo tema sotto forma di articolo, per poi darci appuntamento su Clubhouse, dove ciascuno di voi potrà esprimere la propria opinione e sentire quella degli altri.
L’argomento di questa settimana è il sogno americano. Ci siamo chiesti se dopo gli eventi degli scorsi anni, con l’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca, il sogno americano esista ancora. In questo breve pezzo troverete due posizioni contrapposte. Vi invitiamo a leggerle entrambi e a formarvi una vostra opinione sulla vicenda.
I moderatori saranno Andrea Arletti e Nicola Corradi, gli autori di questo pezzo. Interverrà anche il Direttore Stefano Vaccara. Nel frattempo potete seguirli sui loro canali Clubhouse, cosi da ricevere direttamente una notifica quando saranno live. I loro account sono: @ArlettiAndrea e @NicolaCorradi.

Si, il sogno americano esiste ancora, nonostante Trump.
Perchè in fondo è sempre bello sognare. Gli Stati Uniti, almeno qui in Italia, sono ancora quella meta in cui ognuno, con un po’ di orgoglio, racconta di essere stato.
Fino a quando si è potuto viaggiare, dire agli amici “quest’estate vado a New York” faceva più effetto che presentarsi all’appuntamento con una macchina nuova. Figuriamoci poi andare negli States per studiare o ancora meglio per motivi di lavoro. Tutto questo, con la figura di Trump al potere, non è cambiato di una virgola. In Italia resiste ancora l’idea che l’approdo oltreoceano sia il coronamento di un sogno e che soprattutto la Grande Mela sia il luogo dove tutti, con le giuste capacità, possano trovare la propria strada.
Sì, perché la nostra impressione, guardando da lontano, è che in America esista ancora la carriera portata avanti per merito. Sensazione che, nelle nostre città, svanisce ogni giorno di più. Forse sarà un semplice luogo comune, o un pretesto che le persone usano per giustificare i successi mancati di una vita, ma camminando per le strade e parlando con la gente, la risposta in Italia sarà quasi sempre la stessa. “Eh, caro mio, qua senza conoscenze non vai avanti”.
Certo, chi vive da anni negli States probabilmente potrà ribattere citando un altro famoso proverbio, “tutto il mondo è Paese”, e sono infatti certo che anche gli USA non siano esenti da questo modo di fare. In fin dei conti, sono umani anche loro e quindi soggetti, come tutti, ai vizi tipici della nostra specie. Ma l’illusione che ognuno possa trovare il suo percorso rimane, forse anche per le tante notizie rese note dalla stampa. Chi non conosce la storia di Barack Obama, nato da due studenti universitari e cresciuto in una normale famiglia di ceto medio. Chi non ha mai visto un documentario sull’infanzia dei cestisti che oggi giocano in NBA, di Serena Williams o John McEnroe. E chi non ha sentito parlare di Steve Jobs o Jeff Bezos, partiti entrambi da qualche metro quadrato di stanza e un computer collegato alla presa elettrica.
Gli Stati Uniti sono la patria dei sogni, una terra ricca d’oro che aspetta solo di essere portato alla luce. Il sogno americano esiste ancora. Eccome se esiste. E non sarà di certo una semplice amministrazione, democratica o repubblicana che sia, ad avere il potere di portarcelo via.

No, il sogno americano non esiste più, ma non è colpa di Trump.
Trump è solo un sintomo del declino del sogno americano. Anzi, Trump rappresenta l’ultimo grido di disperazione prima della morte definitiva del sogno americano. Trump ha catturato il disagio odierno, ma ha proposto soluzioni sbagliate per risolverlo.
Nella definizione data da James Truslow Adams nel 1931, il sogno americano si basa sul concetto di “una vita migliore, più ricca, e più piena per tutti, con opportunità per ciascuno in base alle proprie capacità.” Trump è subentrato nell’arena politica per dare voce a quella fetta di popolazione americana che non riesce più ad aspirare ad una vita migliore per via della mancanza di opportunità.
Trump non è riuscito a salvare il sogno americano, perché ha preferito dare risposte facili e superficiali a problemi strutturali e complessi. È molto più facile dare la colpa ai messicani sottopagati, per giustificare i salari sempre più bassi e la disoccupazione sempre più alta, piuttosto che spiegare, invece, come l’intelligenza artificiale e la tecnologia avanzata stiano portando via centinaia di migliaia di posti di lavoro alla manodopera americana ogni anno.
In fin dei conti, l’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca non è altro che l’ultimo e disperato tentativo di salvare il sogno americano. La realtà dei fatti è che il sistema capitalista su cui si è basata l’egemonia americana dopo la Seconda Guerra Mondiale si sta rivelando incapace di mantenere in vita l’American Dream. Il sogno non è più sostenibile nel mondo odierno.

Nel “Declino del Potere Americano”, il sociologo Immanuel Wallerstein offre varie prospettive su quali sistemi possano andare a sostituire il sistema capitalista su cui si basa il sogno americano. Si deve dunque provare ad immaginare un nuovo sogno che possa essere sostenibile in un mondo dove il sistema capitalista propagato dall’egemonia americana non sia più lì a far da faro.
Alcuni pensano che il nuovo sogno americano non si debba basare sulla prospettiva di una vita “più ricca e più piena per tutti”, ma debba invece basarsi sul ridare qualcosa indietro alla propria comunità. Un sogno che non sia basato sul consumo cospicuo delle cose materiali, bensì che sia ispirato dalla volontà di creare un ambiente più pulito, più sicuro, e più sano per tutti. Valori che in tal senso devono andare a sostituire l’avidità, l’egoismo, e il materialismo generati dall’attuale sistema capitalista.
Solo in tal modo riusciremo ad immaginare un nuovo sogno americano sostenibile e raggiungibile per tutti. Se il sogno americano attuale è basato su un sistema obsoleto, la soluzione non può essere quella di continuare a perseguirlo fino ad uccidere la salute psicofisica delle persone, ma bensì deve essere quella di reinventare i parametri su cui si è basato per tutti questi anni, così da poter costruire un nuovo sogno americano che possa dar fiducia e senso di scopo alle generazioni future.