Noi esistiamo solo se guardati. Ma “bisogna guardare per essere guardati” eccepì lo storico delle idee Jean Starobinski. Eppure il giovane cacciatore Atteone venne punito dalla dea Artemide per averla guardata mentre faceva il bagno nel lago. In Questione di sguardi (il Saggiatore) John Berger scrive che vogliamo vedere l’altro spogliato per svelarne il mistero, vogliamo togliergli la maschera per sapere chi è davvero. Altra cosa è la nudità nell’arte, nella fotografia: pura forma di esibizione.
Penso che se già quattromila anni fa le donne si facevano seppellire con il proprio specchio, vuol dire che il guardarsi era la prima conferma di esistere e il primo desiderio di apparire belle. Secondo Berger, l’atteggiamento che la donna assume “definisce cosa le si può e non le si può fare”. Pone la donna sotto giudizio e la rende oggetto di desiderio, in condizione di subordinazione. Il soggetto sarebbe lo spettatore-proprietario. Ma se letteratura e storia dell’arte confermano questo ragionamento, se ancora oggi nei paesi musulmani di stretta osservanza le donne si sottraggono alla fotografia, per timore che la propria anima venga messa a nudo attraverso l’immagine, né possono guardare riproduzioni di immagini, dipinti, tutto ciò significa che il guardare è una grande minaccia perché può stravolgere il pensiero. E allora chi comanda: chi viene guardato o chi guarda? Non sempre il padrone è padrone di se stesso.
In Storia dello sguardo (il Saggiatore) Mark Cousins ci racconta come sia cambiato il nostro modo di guardare nei secoli. E soprattutto oggi assistiamo a nuovi modi di guardare, basti pensare che ogni anno vengono pubblicati oltre trenta miliardi di selfie. Cousins si chiede: “Stiamo scaricando le nostre coscienze sugli smartphone?” Secondo me, non c’è pericolo: è chi cerca di vivere nascostamente, come consigliava Epicuro, colui che oggi ha più coscienza. La coscienza non si può fotografare, solo percepire. Qui viene alla luce il tema dell’identità che Jean-Pierre Vernant scandaglia attraverso i miti greci in Figure, idoli, maschere (il Saggiatore). E forse bisognerebbe partire proprio da questo libro per capire chi siamo e come amiamo. Oltre a Vernant, anche Plotino, James Hillmann, Giorgio Colli, Karoly Kerényi si sono arrovellati sullo specchio di Dioniso. Il dio viene divorato dai titani mentre, assorto, si contempla allo specchio e non vi scorge la sua immagine, ma il mondo. Solo guardando dentro lo specchio puoi conoscere gli altri. Ma davvero fu Dioniso il primo? No. Lo specchio nasce come un segreto del femminile: la dea Era lo regala a Dioniso, per svelargli il segreto dell’introspezione, per conoscere la propria anima. E chi era bello per i greci era anche buono e viceversa.
Gli idoli arcaici non erano antropomorfi, non erano immagini di un dio. Ne simboleggiavano il fantasma. Le potenze divine all’origine erano mascherate, come Artemide, Dioniso, Ade, la Gorgone. La maschera era il simbolo di un’alterità che non si poteva svelare e che doveva far paura per incutere rispetto. Ad Artemide venivano offerti gli specchi, perché specchio e maschera sono connessi nei messaggi di identità, alterità, dualità, sdoppiamento, svelamento, idolatria. Platone in Alcibiade scrive che “quando guardiamo l’occhio di chi ci sta di fronte, il nostro viso si riflette nella pupilla (kore, in greco, che significa ragazza) come in uno specchio; colui che si guarda in essa vi vede la propria immagine (eidolon, idolo)”. E nel Fedro, specifica: “Nel proprio amante, come in uno specchio, è se stesso che egli ama”.
Quindi il nostro primo specchio è lo sguardo altrui, che ci fa esistere, come ho scritto all’inizio.
Eppure alla ninfa Eco innamorata di lui, Narciso dice: “Preferisco morire che essere posseduto da te”. Lei così prega: “Possa anch’egli amare altrettanto e giammai possedere l’oggetto del proprio amore”. Narciso si innamorerà perdutamente della propria immagine riflessa nell’acqua. Egli non era stato capace di abbandonarsi a un altro essere vivente, perdersi nello sguardo di Eco.
Narcisista è una persona incapace di amare se non se stesso; mentre colei (o colui) che soffre della sindrome di Eco ha una personalità dipendente e bisognosa di attaccarsi. Ma dietro la disponibilità all’altro, cerca di controllarlo attraverso il vittimismo, suscitando in lui i sensi di colpa. L’amore è un fuoco che va ravvivato e mantenuto: in questa coppia speculare c’è solo acqua.