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October 31, 2016
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Halloween: una festa migrante

Partita dall’Europa, la festa dei morti è arrivata in America e ora ci torna indietro secolarizzata

Riccardo GiumellibyRiccardo Giumelli
Halloween
Time: 5 mins read

Al fremito lungo la schiena seguì un balzo sulla poltrona. Suonò il campanello ed io ero immerso nella visione del film Halloween. La notte delle streghe. Avevo già superato l’età della fascia protetta, ma l’ingenuità c’era ancora: non avevo idea di cosa trattasse quel film perché non sapevo cosa fosse Halloween. In Italia non era diffuso e nella mia famiglia praticamente sconosciuto. Per me era la vigilia dei Santi, un’occasione per riunire la famiglia, per ricordare i morti e magari per ricevere, quando ero ancora bambino, qualche regalino o dolcino. Sì perché nella tradizione siciliana, propria di parte della mia famiglia, si racconta, o così dicevano a me, che i morti tornano la notte, vengono a mangiare qualcosa che gli veniva fatto trovare pronto e portano dei regali. Mi addormentavo un po’ intimorito per quelle presenze che sarebbero dovute arrivare, ma alle prime luci del mattino correvo a vedere cosa avessero lasciato dietro la porta. “Quei morti non erano poi così pericolosi — pensavo — anzi sono molto simpatici”. Nel dono portato ai bambini e nella cura con cui si preparava il loro arrivo c’era tutto il senso di una tradizione antichissima, una relazione tra i defunti e i viventi, soprattutto con i più piccoli.

Questa era la mia notte del 31 ottobre. Halloween sarebbe arrivato molto tempo dopo: nei pub con le zucche appese, nelle maschere esposte nelle vetrine, nei volantini delle feste organizzate e appesi con tanto di mostri nelle bacheche universitarie, nei bambini che ti suonano decine di volte il campanello per il rituale “dolcetto o scherzetto?”.  Stava diventando anche per noi la notte dei mostri, morti che tornavano tra i viventi o meglio viventi che si travestivano da morti. A volte poca la differenza.

A parte la battuta, Halloween è via via diventata una festa anche in Italia, forse l’ultimo baluardo della sua diffusione nei paesi occidentali. Le polemiche, come ogni anno, continuano. Per la Chiesa viene etichettata come una festa pagana, che vuole sostituire la più sacra e cattolica devozione ai nostri santi e ai morti. Meglio utilizzare la zucca “per la vellutata o il ripieno dei tortelli”, e non per incidere facce malvagie infarcite di candele luminose. E’ un segno del relativismo dilagante, e come sosteneva a Torino l’arcivescovo Cesare Nosiglia: “La prossima festa dei Santi e la commemorazione dei fedeli defunti, tanto care alla tradizione anche familiare del popolo cristiano, da anni sono contaminate da Halloween. Tale festa non ha nulla a che vedere con la visione cristiana della vita e della morte e il fatto che si tenga in prossimità delle feste dei santi e del suffragio ai defunti rischia sul piano educativo di snaturarne il messaggio spirituale, religioso, umano e sociale che questi momenti forti della fede cristiana portano con sé. Halloween fa dello spiritismo e del senso del macabro il suo centro ispiratore”.

Detto questo dove sta il problema di queste continue polemiche? In quella parolina chiave che sembra far girare la testa a tutti: contaminazione. Come se la contaminazione fosse solo quella da batteri e virus e quindi pericolosa. Quella per la quale si può aver paura di dodici donne e dieci bambini tanto da alzare le barricate, segno delle peggiore inciviltà.

Ma Halloween è la festa della contaminazione. Non solo perché da sempre vivi e morti si contaminano quasi a cercare, in modo macabro, beffardo o solenne un momento di contatto, ma perché si è mossa nel tempo e nello spazio modificandosi. La Chiesa cattolica l’ha contaminata per prima, nell’VIII secolo quando la ricorrenza venne spostata definitivamente al 1° novembre.  Così ne scrive Iacopo da Varagine nella sua Legenda Aurea: “Il Papa ritenne che fosse meglio celebrare la festa in un momento dell’anno in cui, essendo state fatte le vendemmie e le mietiture, i pellegrini potevano più facilmente trovare di che nutrirsi”. L’uomo alla fine dei lavori agricoli, la vendemmia,  iniziava il suo riposo mentre il buio si infittiva e la stagione fredda bussava alle porte. Più che una festa si trattava di un dodekaemeron, un ciclo di dodici giorni in gran parte dell’Italia arcaica. Non a caso Halloween vive un paradosso: una festa ipermoderna e iperarcaica, cioè in costante mutazione. Come è in costante trasformazione la relazione tra l’uomo e la morte.

L’idea più diffusa è che si tratti di una festa americana. Sbagliato. L’origine viene diffusamente riconosciuta in Irlanda e negli altri luoghi celtici dove si svolgevano antichi rituali druidici di Samain. In quella notte il mondo dei morti si ricongiunge con quello dei vivi secondo un detto celtico, che non dovrebbe suonar strano ad un cattolico, “la morte non è che il mezzo di una lunga vita”.

Altra idea diffusa è che l’Italia non abbia una tradizione in tal senso. Sbagliato. La storia la fanno i vincitori e sono loro che costruiscono la memoria condivisa. Tuttavia ci sono luoghi dove Halloween dall’America non è arrivato con il suo carico commerciale ma per certi aspetti già c’era. Ce lo racconta il poeta siciliano Ignazio Buttitta: “Ciò che avveniva in area celtica e nordeuropea è altrimenti segnalato anche in Sicilia, Calabria, Sardegna, dove le questue mascherate sono sempre più confuse o sostituite dagli usi commerciali della festa di Halloween”. A Santa Caterina Villermosa (Caltanissettta) si ricorda l’uso di questue da parte di gruppi di bambini che, coperti con lenzuola bianche e a lume di lanterna, andavano questuando dopo mezzanotte dolciumi o alimenti per le abitazioni presentandosi esplicitamente come ‘i morti’”. E così tanti altri casi. Che cos’è questo?

Halloween è una festa migrante. E’ partita dall’Europa, si è data un’identità celtica, è arrivata negli Stati Uniti e ci è tornata indietro secolarizzata, commercializzata, nella versione party, per bambini, per sentirsi un po’ mostri fuori oltre che dentro. Niente di scandaloso, niente di cui preoccuparsi. Sono i processi globali, con le loro forze, le spinte, molto spesso criticabili, ma che devono essere compresi con grandangolo e non il microscopio.

Il fastidio è quando si vuole imporre una definizione sola della situazione, che sia pagana, cattolica, commerciale, festaiola o altro, frutto di giochi di potere che non lasciano spazio ad una libera interpretazione. Le tradizioni ci ricordano i valori profondi e perenni dell’uomo, in questo caso nella sua relazione con i morti, con i propri cari, con la propria storia passata. Tutto il resto è schiuma sopra un mare calmo e profondo.

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Riccardo Giumelli

Riccardo Giumelli

Un aforisma che più di altri mi rappresenta è quanto scrisse Machiavelli, citando Boccaccio: “che gli è meglio fare e pentirsi, che non fare e pentirsi”. Come loro sono toscano, animo inquieto in cerca di porti per approdare e ripartire. Dopo gli studi in Scienze politiche, ho iniziato ad amare i libri, fare ricerca e scrivere, al punto da rimanere nell’Università, prima Firenze poi Trento. A Dijon e poi a Parigi, ho lavorato alla Camera di Commercio italiana e all’OCSE. Tornato in Italia, sono approdato a Verona, dove faccio ricerca e insegno. Intanto un matrimonio e due splendide gemelline. Mi occupo di sociologia, cultura e comunicazione. Tra tanti nuovi inizi e altrettanti epiloghi, una costante: ho sempre tifato Inter. Infatti soffro di stomaco.

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