Il telefono cellulare e il cancro. O meglio, l’uso dei dispositivi telefonici mobili e l’aumento dei tumori. Un argomento ampiamente dibattuto che divide gli esperti del mondo scientifico. Esiste una connessione tra l’utilizzo degli smartphone e l’insorgenza delle patologie tumorali?
Vari gli studi scientifici, ultimo in ordine di tempo quello del National Toxicology Program, che ha pubblicato i risultati di uno studio (parziale) il 27 maggio scorso.
Ratti e topi sono stati esposti a frequenze e modulazioni attualmente utilizzate nelle comunicazioni cellulari negli Stati Uniti. I roditori sono stati esposti per 10 minuti in e 10 minuti off, per un totale di poco più di 9 ore al giorno da prima della nascita sino ai 2 anni di età. Dai risultati già pubblicati, seppur parziali, emerge che “un piccolo aumento [di tumori] è stato osservato solo negli esemplari maschi, e sia in quelli sottoposti a frequenze Gsm che del tipo Gdma – scrivono gli esperti – Per i topi esposti alle radiazioni in utero si è notato un leggero calo del peso medio alla nascita. Lo studio ha evidenziato una bassa incidenza di gliomi maligni nel cervello e schwannomi nel cuore dei ratti maschi esposti. Dato l’ampio uso a tutte le età delle tecnologie per la comunicazione mobile anche un piccolo aumento che dovesse risultare dall’esposizione potrebbe avere grandi implicazioni per la salute pubblica”. I risultati, però sono, appunto, parziali e saranno pubblicati per intero solo nel 2017.
Successivamente alla pubblicazione sono stati sollevati dubbi sull’attendibilità degli studi (sul perché c’è incidenza solo sui ratti maschi; come mai nel gruppo di controllo non si è sviluppato nessun tumore e sulle radiazioni stesse, considerate troppo alte e prolungate rispetto all’effettivo utilizzo umano).
Ma vediamo cosa succede in Italia. Nel maggio del 2011 l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ha inserito i cellulari nella “categoria 2B: cancerogena possibile per l’uomo”, nell’ambito della sua classificazione del rischio relativo ai tumori di agenti chimici e fisici. Nella 2B rientrano tutti gli “agenti per i quali ci sono prove limitate di cancerogenicità negli esseri umani e prove meno che sufficienti di cancerogenicità negli esperimenti sugli animali”.
La 2B è una delle categorie più estese previste dalla IARC e comprende moltissimi prodotti e composti chimici, tra cui la benzina e il caffè. L’OMS promuove da anni ricerche e analisi per approfondire le conoscenze scientifiche sull’uso dei cellulari e i loro potenziali effetti sulla salute. Insomma, è anche scientificamente difficile barcamenarsi tra i vari studi e io stesso mi sono occupato più volte del tema. In particolare, già nel 2012 ho posto l’accento sul nesso di causalità tra onde elettromagnetiche e cancro: “Costituisce, ormai, un dato validato nella letteratura internazionale che l’esposizione alle onde elettromagnetiche da radiofrequenza è strettamente correlata alla comparsa di tumori celebrali, in particolar modo nelle regioni temporali più a diretto contatto con l’apparecchio cellulare. D’altro canto, gli studi epidemiologici tesi a rilevare il potenziale danno causato alla salute per l’esposizione a radiofrequenze da stazioni base sono complicati dal fatto che l’inquinamento ambientale determinato da differenti sorgenti di radiofrequenze (es. telefoni cellulari, wifi, cordless, microonde ecc.) rende difficile discriminare l’effetto specifico da esposizione continua alle antenne”. (Campania, Terra di veleni, Ed. Denaro Libri, 2012).
Dunque, bisogna rassegnarsi a non sapere con certezza se e quanto l’esposizione alle onde elettromagnetiche possa incidere sull’insorgenza del cancro? Non proprio. Ad esempio, una sentenza della Corte di Cassazione dell’ottobre del 2012 ha riconosciuto un legame diretto tra l’abuso di telefoni cordless e cellulari e il cancro al cervello, imponendo l’invalidità professionale per un manager bresciano, che ha contratto un tumore dopo anni trascorsi per gran parte al telefono per lavoro. È stata riconosciuta anche la “maggiore attendibilità” degli studi epidemiologici indipendenti rispetto a quelli “cofinanziati dalle stesse ditte produttrici di cellulari”. La questione dal punto di vista scientifico comunque è ancora lontana dall’essere condivisa, nell’uno o nell’altro senso. Fatto sta che in Italia si dice ancora troppo poco sui possibili rischi, perché poche sono le ricerche scientifiche indipendenti, senza conflitto d’interesse ovvero condotte senza ricorrere ai finanziamenti di Big Phone Lobby.
La mancanza di studi univoci sul fenomeno non deve però indurre ad abbassare la guardia: bisogna, infatti, investire nella ricerca cogliendo anche i più piccoli segnali di allarme. Troppo spesso si è assistito a degli autentici disastri dovuti alla scarsa capacità umana di gestire le conseguenze del progresso tecnologico, ma non solo. Basti pensare al caso amianto che solo nel 1992 fu bandito, perché cancerogeno ma che, ancora oggi, è difficile da smaltire perché “largamente utilizzato nella costruzione di case, scuole, ospedali e fabbriche per la sua versatilità, economicità e resistenza al fuoco, all’usura, alla corrosione. L’aver ignorato una legge che pure era in vigore costa un prezzo altissimo in termini di vite umane”. (Monnezza di Stato, Minerva edizioni, 2015).
In definitiva, solo grazie all’analisi di studi a lungo termine e al monitoraggio continuo, sarà possibile fare chiarezza sull’esistenza di un legame tra l’esposizione alle onde elettromagnetiche e i cellulari con lo scopo di ridurre e prevenire i rischi per la salute umana. In attesa di dati certi, è comunque bene usare il buon senso, evitando gli eccessi, utilizzando sistemi viva-voce quando possibile e, per chi fa uso di determinate apparecchiature elettromedicali (come i portatori di pace-maker), non tenere il telefono in prossimità o a contatto con l’impianto (ad esempio nel taschino della giacca) così da prevenire eventuali interferenze sul corretto funzionamento del dispositivo medico. Diverso il discorso per quanto riguarda l’uso di auricolari. Seppur spesso raccomandato, nel 2015, la Commissione Scientifica Europea sui nuovi rischi (European Commission Scientific Committee on Emerging and Newly Identified Health Risks) ha rivalutato i campi elettromagnetici in generale ed i cellulari in particolare. Studi hanno dimostrato che campi elettromagnetici a bassissima frequenza, come quelli degli elettrodotti, possono aumentare i rischi di leucemia infantile se c’e’ un esposizione giornaliera sopra 0.3-0.4 μT, ma nessun meccanismo è stato identificato per la mancanza di studi sperimentali in merito. Lo studio riporta anche che non è stato dimostrato un aumento di rischio di tumori al cervello o di cancro alla testa o al collo da esposizione a radiofrequenza, anche se è menzionata una possibile associazione con il neuroma acustico.