Durante l’estate del 2005 io e mio marito Jesse ci siamo messi alla ricerca di una casa da comprare nelle Marche. Prima di partire per la seconda permanenza nell’agriturismo di una minuscola cittadina tra Ancona e Ascoli Piceno che usavamo come base, avevamo fatto una ricerca online per trovare degli agenti immobiliari. Il primo incontro lo avemmo con un agente di nome Gildo, il quale si presentò all’appuntamento con camminata spavalda e indossando una tuta da ginnastica giallo brillante, occhiali da sole che gli coprivano una buona porzione del viso ed eleganti mocassini italiani. Sulla sua Mercedes berlina sportiva guidava così veloce mentre ci conduceva verso la prima casa, che facemmo fatica a stargli dietro con la pesante Ford C Max che avevamo preso a noleggio. In più noi non conoscevamo bene quelle strade di campagna che facevano piuttosto paura con tutte quelle curve a gomito e le ripide discese.
Inizialmente cercavamo una casa ristrutturata: avremmo dovuto seguire i lavori dagli Stati Uniti e avevamo letto tante di quelle storie terrificanti sulle ristrutturazioni in Italia che eravamo davvero spaventati all’idea di dover affrontare un grosso rinnovamento; temevamo che ci imbrogliassero o che le cose non sarebbero state fatte come volevamo. Ma dopo aver visto con Gildo le prime case rinnovate, ci siamo resi conto che, se non ci piaceva il modo in cui la casa era stata rinnovata, avremmo comunque dovuto rifare tutto e quindi non valeva la pena spendere di più per una casa ristrutturata.
Cambiammo quindi parametri e passammo all’amabile Olivia Borodini che aveva un sito web molto professionale e un approccio ben più elegante. Olivia, capelli biondi e grandi occhi blu, aveva un che della bellezza nordica, anche se credo fosse marchigiana. La sua via era tutta un accessorio: il suo SUV, i suoi occhiali Jackie O., l’abbigliamento, le scarpe, il suo ufficio, il suo cagnolino e la sua casa perfettamente rifinita con piscina e gazebo. Casa che ci mostrò per convincerci che un rudere può trasformarsi in qualcosa di spettacolare. Cosa normale da quelle parti: non c’era motivo di farsi spaventare dall’idea dei lavori.
Con Olivia vedemmo molte case, ma nessuna era quella giusta. Erano state ristrutturate o configurate in modo strano: troppo vicino alla strada, con pareti esterne mal collocate che bloccavano la terra o ostruivano la vista, troppo diroccate perché ne potessimo vedere il potenziale. Olivia finì per perdere la pazienza e ci passò al pacato e aristocratico Silvio, un pensionato dai capelli argentei che guidava in lungo e in largo per portarci e vedere fatiscenti case di campagna in città lontane.
Ho documentato l’intera esperienza nel tentativo di ricordare quello che avevamo visto e quello che ci piaceva. Ho foto di me e di nostra figlia Sophie mentre arranchiamo tra il fieno in quella che un giorno avrebbe potuto essere una cucina o attraverso uno spinoso frutteto talmente folto che era impossibile avvicinarsi alla casa, o mentre ci infiliamo in piccole stalle dove qualche fortunata famiglia avrebbe potuto riporre i mobili da giardino. Di solito si trattava di case rurali con spazi simili a fienili al piano terra con piccole finestre nella parte alta dei muri, in modo che non potessero essere rotte da un calcio di un mulo o da una mucca, bassi abbeveratoi su un lato, pavimenti sporchi, una scala esterna che portava all’ingresso principale al primo piano, scale in legno e attrezzi agricoli arrugginiti sparpagliati ovunque, niente impianti idraulici, riscaldamento o elettricità.
In queste vecchie case coloniche, la zona abitata era sempre al di sopra della stalla, in modo che il calore sprigionato da mucche, cavalli e muli potesse contribuire a scaldare le persone al piano di sopra. Muri spessi, piccole finestre, diversi caminetti: queste case erano costruite tutte più o meno allo stesso modo, per mantenerle fresche d’estate e calde d’inverno, per poter coesistere con la natura e tenere fuori la brutalità degli elementi. Noi stranieri arrivati per acquistare una proprietà ci stavamo appropriando di uno stile di vita povero per trasformarlo nelle nostre vacanze. A quanto pare gli italiani hanno perso interesse per questo stile di vita molto tempo fa e sono andati ad abitare altrove. Sono in pochi ad aver rivalutato la tradizione del vivere e lavorare la terra, ma noi non ne abbiamo incontrati.
L’agente successivo nella nostra lista era un uomo cordiale e selvatico. Con i capelli incolti e una folta barba, indossava massicci sandali da escursione e pantaloncini con i tasconi, su gambe tozze. Con lui correvamo da una parte all’altra su una vecchia jeep che, evidentemente, aveva perso le sospensioni anni prima. Era un geometra locale che sembrava sapere quali case erano abbandonate, ma di nessuna aveva le chiavi, né informazioni sul prezzo o sull’attuale proprietario. Abbiamo visto diverse case, di alcune delle quali c’era poco più che un accenno di fondamenta, tutte in posti interessanti per raggiungere i quali abbiamo dovuto farci strada in fitti sottoboschi: nessuna delle opzioni da lui proposte sembrava realisticamente praticabile.
Finimmo per capire che praticamente tutti sapevano di una qualche casa o proprietà in vendita. Il proprietario dell’agriturismo volle mostrarci alcune proprietà adiacenti alla sua terra. I ragazzi al bar, che si erano accorti subito che noi americani eravamo alla ricerca di una casa, avevano tutti dei consigli. Poi c’era l’agente fantasma, un tizio con coi eravamo entrati in contatto dagli Stati Uniti, che viveva a Londra e pubblicava annunci di proprietà in vendita nelle Marche. Ci affidò al suo “rappresentante locale”, una giovane donna geometra, che si portava dietro Hannah, un’amica inglese che faceva da interprete. Ci mostrarono una casa davvero interessante con camere labirintiche che soprannominammo Casa Pulito, proprio alla fine della strada in cui aveva casa Hannah che stava ultimando la ristrutturazione. Vedendo la trasformazione della casa di Hannah ci convincemmo che questa cosa del rinnovare un vecchio rudere era davvero possibile, ed era piuttosto magica.
Alla fine della nostra permanenza in Italia avevamo ristretto le possibilità a due opzioni: Casa Pulito di cui sapevamo che era di proprietà di una famiglia locale e poco altro; e un’altra casa in Contrada Flaminia, nelle mani di Olivia Borodini per cui esisteva già un progetto di ristrutturazione fatto dal suo architetto di fiducia, l’elegante Roberto, coi suoi jeans strizzati, la camicia bianca inamidata e occhiali scuri. Nostra figlia Sophie, che al tempo aveva 7 anni, ricorda quella vacanza solo per le ortiche, i pipistrelli, e il fatto di non riuscire a leggere Harry Potter durante gli infiniti viaggi su auto instabili e strade non asfaltate. La sua piccola mente di 7 anni non afferrava il concetto che prima di trasferirci, avremmo ristrutturato e arredato una di queste case fatiscenti e si preoccupava di dove avrebbe dormito e messo le sue cose, in questo folle progetto dei suoi genitori. Ma poi, quando un anno dopo finalmente scegliemmo una casa, fu dei nostri e festeggiò allegramente insieme a noi.