Fino agli anni ‘80 del secolo passato si erano mantenute attive buona parte delle attività commerciali di Palermo, alcune delle quali fiorite nel secolo precedente. E’ impossibile elencarle tutte, anche se a titolo esemplificativo si possono ricordare tra i più antichi negozi di abbigliamento: Agnello (1919), Pustorino (fine ‘800), Gulì (1882), Barbisio (1882), Bellanca e Amalfi (1932), Battaglia (1938), Giglio (primi ‘900), (D’Antona (1930), Luisa Spagnoli (1927), Miraglia (1936), Alabiso (1950), Dell’Oglio (1890), Savona (1810), Romano (1930), Hugony (1815). Nell’antiquariato ricordiamo Athena (1926), mobili (Barraja); nell’arte sacra (Pantaleone primi ‘900); tra le profumerie (Russo 1899) e Hugony; calzature (Grillo 1944, Spatafora 1796) ); cartolerie (De Magistris, Bellotti fine ‘800); librerie (Dante fine ‘800, Flaccovio 1938); giocattolerie (Studer 1800); gioiellerie (Barraja (1700), Di Cristofalo (1927), Fecarotta (1830), Fiorentino (primi ‘900), Giglio (1919), Longo (primi ‘900); ombrellifici (Bolazzi (1902); ferramenta (D’arpa 1900); fotografia (Interguglielmi 1907, Scafidi 1924, Cappellani 1925, Incorpora 1877); generi alimentari (Morello 1902, Tutone 1813, Barbera 1894, Stagnitta 1922, Mangia); gelaterie (Ilardo 1860, Lucchese 1937); farmacie (Salem 1899, Riccobono 1875, Caronna 1901); pasticcerie (Alba, Antico chiosco, Birreria Italia, Caflich, Mazzara, Cappello, Santoro, primi ‘900); taverne (ad es. Taverna azzurra alla Vucciria) e tanti altri
Di questi negozi storici, pochi ancora ne resistono. Indubbiamente il primo colpo all’economia locale ed alla libertà imprenditoriale è stato inferto dal sistema mafioso del racket delle estorsioni, il pagamento di tangenti, il “pizzo”, spesso accompagnato dall’usura, una piaga che si è sviluppata nell’immediato dopoguerra, in concomitanza con il rientro in patria dei tanti mafiosi che il regime fascista aveva confinato fuori dall’Isola.
Si tratta di un fenomeno di gravità inaudita, che attacca i gangli vitali dell’economia, che ha minato gradualmente le attività economiche e scoraggiato gli investimenti, l’imprenditoria sana e quella giovanile, alimentato, del resto, dal sentimento di diffidenza e solitudine e dal sentire comune di sfiducia e dall’assenza delle istituzioni.
L’esempio eroico di Libero Grassi, ucciso nel 1991 per essersi ribellato ai reiterati tentativi di estorsione, le stragi di Capaci e di Via D’Amelio del 1992, l’omicidio di Padre Puglisi, del 1993 sicuramente hanno determinato l’intervento, anche legislativo, dello Stato ed una presa di coscienza collettiva sulla gravità e persistenza del potere mafioso, accompagnata dalla volontà di reagire da parte di molti commercianti che hanno trovato la forza e la determinazione di denunciare.
Reazione tuttavia non adeguata a contrastare una cultura secolare e la capillarità delle infiltrazioni mafiose, se ancora nel 2010 in una relazione di SOS impresa si leggeva che in Sicilia 50.000 erano gli imprenditori vittime di estorsioni, di cui l’80% a Palermo, con un giro di affari di circa 23 miliardi di euro.
Ed ancora in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario 2015 a Palermo venivano forniti i seguenti dati: aumento delle estorsioni, (515 contro 430; +20 per cento) dell’usura (95 contro 80; +19%), aumento del 15% i reati di associazione di tipo mafioso: 71 nel 2012/2013, 82 nel 2013/2014.
L’anno 2015, infine, sarà traumaticamente ricordato per l’arresto quasi in diretta per tangenti del rappresentante dei commercianti, Roberto Helg, presidente di Confcommercio, paladino di tante battaglie per la legalità e promotore, insieme alle pubbliche istituzioni, di iniziative a sostegno degli imprenditori che denunciavano gli estorsori, fino a quel momento considerato un uomo simbolo dell’antimafia cittadina.
Qui il discorso diventerebbe davvero complesso e porterebbe lontano. In questa sede preme osservare, più in generale, che la nostra economia non ha mai potuto svilupparsi realmente, né liberamente perché assediata, compressa ed umiliata da un ottuso sistema criminoso prepotente e parassitario, che ha goduto di connivenze, silenzi colpevoli, confusione di ruoli, inerzia istituzionale.
Ma tornando alle ragioni che hanno contribuito alla crisi di tante piccole e medie aziende storiche, enorme rilevanza hanno avuto anche le scelte politiche comunali che, dagli anni ’60 e fino agli anni ’90, sono state indirizzate alla massima speculazione edilizia, con massiccia espansione delle periferie e svuotamento ed abbandono del centro storico, della sua cultura e dei suoi beni, lasciati per decenni all’incuria ed al degrado, con le conseguenti ricadute negative per le attività artigianali e commerciali.
Deportata la popolazione nelle periferie, e privato il centro storico dei servizi essenziali, le botteghe hanno resistito, mantenendo l’arte del gusto e della bellezza. Molte si sono trasferite perdendo parte della loro identità. Numerose insegne sono scomparse. Ulteriore concausa determinante della crisi del commercio minuto è stata altresì la creazione in città di tre grandi centri commerciali, dislocati strategicamente in modo da coprire l’intero territorio, dotati, in virtù di generose e straordinarie varianti urbanistiche, pacificamente adottate dal Consiglio comunale di Palermo, di servizi, strade di collegamento ed accesso ed enormi parcheggi realizzati dove prima si estendeva il verde.
Facilmente raggiungibili, sempre aperti, con un’offerta concorrenziale e di massa, strutture seriali, spersonalizzanti ma omnicomprensive e comode, si sono sostituite ai luoghi esclusivi, eleganti e ben curati delle botteghe cittadine, con inesorabile erosione dei rapporti fiduciari e gentili che legavano il negoziante ed il cliente e che avevano animato ed umanizzato le relazioni economiche.
Così le famiglie la domenica, piuttosto che visitare parchi verdi e giardini fioriti, e far correre i bambini all’aria aperta, in mancanza in città di parchi e giardini, trascorrono la giornata e passeggiano all’interno dei Centri commerciali, mentre i negozi centrali, a dispetto della loro bellezza e della loro storia, si svuotano e si impoveriscono.
Infine la politica locale, in un contesto di crisi più ampia e generale, non è stata in grado di supportare e sostenere le attività artigianali e la piccola imprenditoria , ad esempio introducendo sgravi ed esenzioni fiscali, ed anzi la pressione fiscale cittadina è tra le più alte d’Italia
Ugualmente penalizzante si è rivelato il sistema dei trasporti ed il piano della mobilità inefficiente ed insufficiente. Così a Palermo nel 2013 più di 1000 esercizi commerciali hanno depositato la licenza. Anche nel 2014 si è registrato, tra chiusure ed aperture, un saldo negativo di circa 1000 cessazioni; nei primi mesi del 2015, infine le cessazioni sono state 488 e le nuove iscrizioni solo 258; sono già sparite circa 200 imprese, con le conseguenti gravi ricadute in termini di disoccupazione e depressione sociale.
Nel frattempo, inverosimilmente, sono andati perduti negli anni e sono stati restituiti i miliardi dell’Unione europea che, invece, avrebbero potuto costituire quell’importante volano di cui la nostra economia aveva ed ha necessità per mantenersi ed evolversi Allora che fare? Dobbiamo lavorare per un mutamento di rotta, un cambiamento radicale, un ritorno alle origini, alle tradizioni, alla terra, perché non accada quello che Pasolini aveva paventato:
"Quando il mondo classico sarà esaurito, quando saranno morti tutti i contadini e tutti gli artigiani, quando l’industria avrà reso inarrestabile il ciclo della produzione, allora la nostra storia sarà finita". (1962)
Foto tratta da mobilitapalermo