Caro Direttore,
La continua polemica sul racconto di Alain Elkann del suo viaggio in treno a Foggia nei giorni scorsi si è fatta ancora più personale contro l’autore e fattualmente sbagliata, certamente per quel che riguarda l’America. Per questo credo La Voce di New York possa contribuire con qualche chiarimento.
Non voglio qui dilungarmi sul racconto pubblicato da Elkann su la Repubblica, se non per dire che, avendolo letto quando è uscito e dunque prima che si scatenassero le polemiche sul “classismo”, notavo uno scritto molto contemporaneo con quel suo ritmo alternato fra la tranquillità della carta e la velocità del digitale. Due mondi a confronto in un vagone ferroviario. Qualcuno ha letto nella descrizione di Elkann elitismo e autocompiacimento. A me sembrava il tentativo di tradurre in sensazioni la dicotomia fra questi due mondi diversi con toni, più che supponenti, nostalgici per il mondo dell’autore che andava scomparendo.
Ad altri è sembrato un attacco contro i giovani d’oggi. È andato sopra le righe descrivendoli come “lanzichenecchi”? Possibile. Ma forse lo usa come termine più letterario che tecnico, una reazione intuitiva visto che non erano mercenari armati (e noto che il Foglio ha usato il termine). Ha ecceduto mettendo a confronto il suo vestito di lino con i calzoncini corti dei ragazzi? Sì se era un confronto tra bello e brutto, no se era descrizione realistica del momento. Questione di interpretazioni. Un testo letterario, che piaccia lo stile o no, genera reazioni e sensazioni e dunque non entro del merito, ognuno la pensi come vuole.
Per il resto il termine più forte che ha usato l’autore “contro” la differenza rispetto al suo mondo di carte, penne stilografiche e romanticismo, è stato “fastidio”. Molti fra coloro che lo hanno criticato hanno usato termini, anzi insulti, aggressivi e volgari assenti nel racconto, generando una dicotomia parallela fra il tono del testo e le reazioni, molto più forti, anzi cattive, sul piano personale. Ripeto che ognuno la pensi come vuole, il racconto può non piacere, ma non credo che questo giustifichi insulti all’autore.
E arrivo al punto, agli ultimi insulti in un articolo uscito giorni fa sul quotidiano La Verità. L’autore scrive che Elkann non è un intellettuale e “non ha mai fatto nulla per lasciare una traccia o lanciare un’idea”. Di nuovo, possiamo avere valutazioni diverse, ma vorrei restare sull’America e sui fatti. Elkann ha insegnato agli studenti della University of Pennsylvania non solo la bellezza della letteratura italiana contemporanea, ma l’importanza della letteratura italiana di matrice ebraica tessendo un filo fra gli autori che in varie epoche hanno lasciato il segno: Saba, Bassani, Moravia, e altri.
Lo so non perché ho seguito le lezioni, ma perché ho sentito una sua conferenza sul tema al nostro Istituto Italiano di Cultura a New York che ho trovato molto interessante e stimolante. Ecco perciò un segno lasciato, fra centinaia di studenti americani che si sono avvicinati alla nostra cultura. Mi sembra che Elkann abbia anche introdotto parecchie idee, almeno – e di nuovo parlo di America – come Direttore della FIAC, Foundation for Italian Art and Culture, un’associazione filantropica USA che porta opere di artisti italiani in America. L’idea, vincente, è stata quella di portare un’unica opera importante, ma ha innovato portando le opere in mostra non solo a New York, ma in altre città americane dove difficilmente arrivano lavori italiani.
Un lavoro forse meno conosciuto in Italia se non fra gli addetti ai lavori, ma recepito dai grandi media locali. Il New York Times ha raccontato della straordinaria opera di Raffaello, La Fornarina, per la prima volta a New York alla Frick Collection nel 2005, portata appunto Foundation for Italian Art and Culture e nel 2006 il quotidiano ha celebrato le opere di Antonello da Messina esposte al Metropolitan grazie alla Fondazione che Elkann segue ancora oggi.
So che ha lavorato con il Centro Primo Levi a New York, che conosce bene i direttori dei grandi Musei americani non fosse altro perché loro stessi (cito per tutti Richard Armstorng del Guggenheim, Ian Wardropper della Frick o Max Hollein del Metropolitan) mi hanno parlato del lavoro della FIAC e di Elkann. Potrei continuare, ma direi concludendo: liberi tutti di criticare un racconto che non piace, ma attenzione al character assasination, in libertà degli autori (qualcuno dovrebbe rileggersi David Thomas e le motivazioni narcisistiche di chi lo compie).
Elkann, per parafrasarare la Verità, ha in realtà fatto molto per lasciare una traccia o lanciare un’idea in contesti intellettuali come università, musei o fondazioni, e lascio da parte apposta le sue opere che, di nuovo, possono piacere o non piacere. Tutto questo per correggere il tiro di chi presenta forse strumentalmente fatti sbagliati in un altro tipico fenomeno del nostro tempo, quello delle fake news.