Italia e Stati Uniti sono due paesi molto lontani, ma per Alessandro Trezza e sua moglie Monia Solighetto non sono mai stati così vicini grazie alla loro visione del mondo agricolo, fatta prima di tutto di persone reali e di piccoli produttori con cui hanno instaurato nel corso degli anni rapporti sia in America che nel loro paese d’origine, sostenendosi l’un l’altro nella ricerca comune di ingredienti di qualità attraverso lo sviluppo di pratiche sostenibili.

Dopo aver lavorato per anni rispettivamente nel campo della finanza e della comunicazione, i due hanno deciso di seguire il proprio cuore. “Insieme a mio fratello abbiamo portato avanti l’attività iniziata tempo prima dai miei genitori, guardando le cose da una prospettiva diversa e adottando un approccio più moderno – ha raccontato Solighetto – Dopo aver aperto tre negozi di gelato in Lombardia, io e mio marito siamo partiti per New York con l’idea di fare una nuova esperienza, spinti dal desiderio di imparare e di crescere in un altro contesto, ma pur sempre conservando i valori che ci contraddistinguono. In più ci siamo lanciati in questa avventura sapendo di poter contare sulla nostra famiglia, perché in grado di gestire la nostra azienda in Italia”. Tre anni fa è nato quindi L’albero dei gelati a Brooklyn situato a Park Slope che, di recente, ha aperto una nuova sede a Crown Heights.

La loro ultima creazione newyorchese, inaugurata all’inizio del 2016, si chiama Have & Meyer|Vineria Naturale con cucina ed è il risultato del loro amore per il vino naturale e della loro passione per la cucina ispirata al movimento Slow Food. Grazie alla collaborazione di sei viticoltori, cinque piccole aziende italiane e statunitensi e della cantina Crown Finish Caves, la coppia brianzola ha lanciato il progetto intitolato

Rinds & Skins, presentato a marzo. Protagonisti dell’evento, sei formaggi e sei vini orange: il Paymaster, prodotto dalla Coach Farm (Upstate New York), accompagnato dal Trebbiano d’Abbruzzo di Francesco Cirelli; il Trifecta della Old Chatham Sheepherding Company (Upstate New York) combinato con il Campedello, prodotto dalla famiglia Croci in Emilia Romagna; il Bufarolo dell’azienda lombarda Quattro Portoni insieme all’Ageno, prodotto da La Stoppa in Emilia Romagna; l’Experience della Consider Bardwell Farm (Vermont), che si sposa perfettamente con il Radikon dell’omonima azienda situata in Friuli Venezia-Giulia; il Bismark della Grafton Village Cheese (Vermont) e il Serragghia, prodotto dal siciliano Gabrio Bini; infine il Pruner, sempre della Old Chatham Sheepherding Company, abbinato al Ribolla della friulana Gravner.

Trezza e Solighetto hanno raccontato: “Questo progetto è nato lo scorso settembre, quando abbiamo visitato la Crown Finish Caves e abbiamo conosciuto Benton Brown, proprietario dell’azienda. Ci siamo sentiti entrambi così fortunati quando abbiamo scoperto di avere una struttura del genere a pochi passi dal nostro locale e di conoscere gente disposta a condividere i nostri valori”. Iniziare insieme questo percorso è stato molto naturale, condividendo l’idea di sposare diversi tipi di formaggi con i vini orange italiani“. Il colore di questi ultimi deriva da un processo naturale di macerazione in cui il mosto in fermentazione rimane a contatto con le bucce degli acini d’uva, da qualche giorno a diversi mesi, consentendo così l’estrazione di tutte quelle sostanze coloranti che conferiscono una particolare nuance ambrata. Considerando i diversi tipi di latte e la loro consistenza, i tre hanno poi deciso quali formaggi stagionare in base al tipo di vino da abbinare a ognuno di loro. Ogni settimana il formaggio viene letteralmente lavato con una speciale spazzola impregnata di vino. Successivamente viene conservato nella cantina di stagionatura in condizioni ottimali di temperatura e umidità.

“Le nostre attività hanno tutte in comune la stessa filosofia: creare delle realtà fondate sul rispetto agricolo. Ci piace pensare che questo sia l’unico modo di fare prodotti enogastronomici di qualità, conoscendo le loro origini, il luogo in cui vengono coltivati e il modo in cui viene realizzato un vino naturale. Fondamentale è stato entrare in relazione con i produttori, la cui personalità si rispecchia molto nelle loro creazioni”, hanno spiegato Trezza e Solighetto. Entrambi credono fermamente che si possa capire un vino solo quando si conosce veramente la persona che si trova dietro alla sua lavorazione. I vini degli agricoltori che amano di più sono quelli che esprimono veramente il territorio in cui vengono coltivate le uve, in quanto nascono da vitigni autoctoni, in nome della tutela della biodiversità.