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January 21, 2017
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Una via di Milano a Craxi? Sindaco Sala, lasci perdere…

Per il sindaco di Milano Giuseppe Sala il giudizio su Bettino Craxi "è ancora complesso"

Fabio CammalleribyFabio Cammalleri
Bettino Craxi Milano

Bettino Craxi durante un comizio a Milano, nel 1980 (Foto De Bellis, Wikipedia)

Time: 4 mins read

Il Sindaco di Milano Giuseppe Sala, giovedì che correva il 17° anniversario della morte di Bettino Craxi, a proposito dell’idea di intestare alla sua memoria una pubblica via, ha dichiarato: “E’ un argomento che ha suscitato tante polemiche. Io sono favorevole a riaprire il dibattito, senza dare un giudizio, che è ancora complesso“.

Parole apperentemente prudenti, ma, e ben vedere, prive di logica. Perché un uomo politico, e specie di rango primario, come certo deve considerarsi il Sindaco di Milano, eletto a suffragio diretto, un giudizio, sulla storia del Paese in cui è nato e cresciuto, lo deve saper dare. Se non sa, o non vuole darlo, diserta la sua natura, quella di “uomo della comunità”: che è il significato essenziale di “uomo politico”.

Perché “riaprire il dibattito”? Su che materia, con quali limiti? Bettino Craxi è Mani Pulite: ne è stato il senso politico, la ragione giustificativa, il trofeo. Il 23 Febbraio del 1996, Gerardo D’Ambrosio, il coordinatore del Pool Mani Pulite, a proposito del celebre discorso in Parlamento del 03 luglio 1992  disse: “Fu un discorso onesto. Mi dissi: ‘Questo ha capito tutto”. Chiacchiere. In Procura lo ritennero così onesto che il Pool lo considerò una confessione stragiudiziale, e lo allegò alle sue richieste di rinvio a giudizio.

Perciò, di che voleva dibattere, il Sindaco Sala? Intestare una pubblica via ad una persona, implica il riconoscimento di particolare meriti, di ordine umano, culturale, morale. E’ nota l’antitesi: la magistratura milanese (ma, in realtà, tutta, se si considera l’alto valore simbolico della Presidenza Davigo all’ANM), ha sempre negato radicalmente, alla persona fisica Craxi Benedetto, ogni possibilità di invocare il valore delle sue scelte, dei suoi atti, compreso quel “approvare le intese”, che si pose a fondamento della condanna ENI –SAI: la prima a passare in giudicato (in tre anni e mezzo per tre gradi di giudizio),  quella che permise, il 13 Novembre 1996, al Corriere della Sera di titolare trionfalmente “Craxi corrotto”. “Aver approvato le intese” non significava, e non significa niente, di penalmente rilevante.

Ma bisognava compiere “la Rivoluzione Italiana”. E fu compiuta. Voleva parlare dell’equilibrio costituzionale fra i Poteri dello Stato, il Sindaco Sala? Da allora consegnato ad una deriva senza fine, mentre l’immunità parlamentare, garanzia di civiltà politica e democrazia (quando la civiltà e la democrazia si coltivano), finiva nella sputacchiera? Voleva parlare del regresso umano e politico che germinò intorno a Craxi, al “latitante”? Dei versipelle? Dell’eterno badoglismo italiano? Delle cadenze autoritarie, feroci, cannibalesche, che ne segnarono l’epilogo? Della “cultura” fanatica, infantile, violenta e sanguinaria, che i maggiori media, i sedicenti intellettuali, ripresero dalla palindroma barbarie movimentista degli anni ’70? A sua volta venuta, dritta filata, dall’arditismo, rosso e nero, che tra il ‘19 e il ’22 finì col confluire marciante a Roma, allegramente duro e puro? E di quelle piazze, di quel lessico, di quelle “analisi”, di quegli urli, tornati, solcando fulminei i decenni, da Roma a Milano? Di quelle monetine, che già furono manganelli e molotov? Di quella vecchia malapianta, rinvigorita e nutrita da quel concime infine “giritondesco”, già pronto a diramare verso il nostro più prossimo futuro?

Di che voleva dibattere, il Signor Sindaco Sala? Voleva soffermarsi sull’ignominia di una “Società Civile” che, ancora oggi, non riesce ad attestarsi nemmeno alla soglia minima del virgiliano parce sepulto? Pensava, il Signor Sindaco, che si potesse evitare un dibattito su Mani Pulite e, al contempo, riconoscere Craxi, come “statista”, o come “uomo politico”, o anche “semplicemente” come uomo?

Si può capire che una persona sottoposta ad indagine preliminare, come anch’egli è, non si sentisse libera. Ma non era forse questo il punto, Sindaco Sala? Non era questa finzione, farisea fino al midollo, secondo cui l’Italia potrebbe essere guidata solo da un’oligarchia istituzional-mediatica e questurina, con le sue angustie e le sua visione diffidente e rinunciataria verso l’uomo, la materia su cui invece si doveva discutere a viso aperto? Una visione che dilapida senso comunitario, memoria storica, fiducia e slancio verso l’avvenire? Che ha consegnato ad una balbuzie etica, intimorita e rancorosa, la parte più fragile delle ultime due generazioni di italiani? Non si doveva discutere della facinorosa furia inquisitoria che ha liquidato coloro a cui si volle sostituire? Personalmente, nei casi più rozzi ed effimeri; funzionalmente, nel duraturo disegno strutturale? Non si doveva ricordare che tutti “i fattori legittimanti” la lapidazione di Bettino Craxi, sono stati malamente smentiti nel corso della seconda Repubblica: il finanziamento dei partiti superato, e di cento spanne, dal “rimborso”; i partiti di massa, soppiantati da strutture eteree e senza verità, e la loro pur difficoltosa democrazia interna, dalla sempre più invalsa acclamazione di un Capo; il sistema manifatturiero, lasciato ad arrangiarsi in nome di “aperture” economiche e “politiche” mal governate e mai precisate?

Il dibattito. E dove siamo, ad un cineclub dell’Arci? Pensava, il Signor Sindaco, che Togliatti, e i suoi tragici anni sovietici, secondo “il controllo di legalità” avrebbero dovuto essere senz’altro consegnati ad un “concorso in strage”? Che John Kennedy, vissuto oggi, avrebbe meritato un’accusa di “concorso esterno”, per i suoi pacifici rapporti elettorali con Cosa Nostra americana? E Mitterand, quella di “concorso in banda armata”, per la sua “dottrina” sui delitti politici? O che Helmut Khol, negli stessi anni in cui si  “giustiziava” Craxi, si sarebbe meritato una bella accusa favoreggiamento pluriaggravato, per avere riunito le due Germanie sorvolando sulla STASI? O che Leopoldo II, il “Re costruttore”, come lo chiamano, “padre” del Congo belga che costò fra i 3 e i 10 milioni di morti “indigeni”, goda tutt’ora di una statua equestre nella centralissima Place du Tronea a Bruxelles, perché i belgi sono tutti incivili, tutti immemori, tutti “illegali”? O che un genocidio non valesse un “approvare le intese”, cioè la stipula di una polizza assicurativa ad opera di soggetti giuridicamente autonomi, e autonomamente responsabili?

Se lo pensava, era meglio lasciar perdere, Sindaco Sala. Altrimenti, poteva “aprire il dibattito”, certo: ma avendo cura di lasciare, al cineclub, un posto in prima fila per un magistrato: a sua scelta, dall’ampio e sempre nuovo firmamento.   

      

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Fabio Cammalleri

Fabio Cammalleri

Il potere di giudicare e condannare una persona è, semplicemente, il potere. Niente può eguagliare la forza ambigua di un uomo che chiude in galera un altro uomo. E niente come questa forza tende ad esorbitare. Così, il potere sulla pena, nata parte di un tutto, si fa tutto. Per tutti. Da avvocato, negli anni, temo di aver capito che, per fronteggiare un simile disordine, in Italia non basti più la buona volontà: i penalisti, i garantisti, cioè, una parte. Forse bisognerebbe spogliarsi di ogni parzialità, rendendosi semplicemente uomini. Memore del fatto che Gesù e Socrate, imputati e giudicati rei, si compirono senza scrivere una riga, mi rivolgo alla pagina con cautela. Con me c’è Silvia e, con noi, Francesco e Armida, i nostri gemelli.

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