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January 9, 2017
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Meryl Streep scaglia il suo cuore d’artista contro Donald Trump

Nella serata dei Golden Globes, l'attrice attacca la violenza del messaggio del presidente eletto

Stefano VaccarabyStefano Vaccara
meryl streep

Meryl Streep durante il suo discorso ai Golden Globes (Immagine ripresa da twitter)

Time: 5 mins read

Il film commedia musicale “La La Land” riceve sette Golden Globes, ma gli applausi più convinti di una serata a Hollywood che resterà storica, sono andati a Meryl Streep per il suo discorso tutto all’attacco di Donald Trump. L’attrice americana, ormai considerata la più grande del cinema di tutti i tempi, nel ricevere un premio alla carriera, invece di utilizzare i pochi minuti a disposizione per i soliti ringraziamenti e commuoversi per il successo, ha pronunciato un discorso breve ma così eloquente da diventare il più forte messaggio contro il linguaggio intriso di violenza di Donald Trump finora mai pronunciato da un personaggio pubblico. L’attrice ha anche lanciato un appello affinché i giornalisti possano svolgere il loro fondamentale ruolo garantito dalla Costituzione.

Dopo aver ribadito come questa serata per celebrare il mondo del cinema di Hollywood appartenesse “a quel segmento della società americana più diffamato in questo momento. Pensateci: Hollywood, gli stranieri e la stampa”, Streep ha ricordato come tantissimi degli attori seduti attorno ai tavoli rappresentavano proprio quella diversità di cultura e provenienza che fa grande l’arte: “Quindi Hollywood è affollata di gente venuta da ogni parte e da stranieri. E se li cacciamo, non avrete più nulla da vedere che football e un mix di arti marziali, che non sono arte!… Il lavoro essenziale dell’attore è di entrare nella vita di persone che sono diverse da noi e farci sentire cosa sentono queste persone”.

Poi Maryl Streep ha puntato al cuore dell’attacco a Trump, senza mai pronunciarne il nome di colui che il 20 gennaio sarà presidente della nazione più potente della terra: “C’è stata una performance quest’anno che mi ha sconvolta. Che mi ha ferita nel cuore. Non perché fosse buona, non c’era niente di buono in essa. Ma è stata efficace e ha raggiunto il suo scopo.  Ha fatto ridere il pubblico alla quale era indirizzata, e ha mostrato loro i denti. E’ stato il momento quando una persona che chiede di sedersi nel posto più rispettato del nostro paese ha imitato un giornalista disabile. Qualcuno che lui sorpassava in privilegi, nel potere e capacità di replica. Mi ha spezzato il cuore vedere quella scena, e ancora non riesco a togliermela dalla testa, perché non era un film. Era la vita reale. E quell’istinto di umiliare, quando è modellato su qualcuno che sta al centro dell’opinione pubblica, su qualcuno potente, passa nella vita di tutti, perché è come se si desse il permesso alle altre persone di fare la stessa cosa.  La mancanza di rispetto invita alla mancanza di rispetto, la violenza incita alla violenza. E quando il potente usa la sua posizione per fare il prepotente sugli altri, ci perdiamo tutti. E’ una incitazione a far tutti lo stesso”.

Ed ecco che Meryl Streep ha poi convolto la stampa: “Abbiamo bisogno che la stampa di sani principi metta il potere difronte alle sue responsabilità, lo metta sotto accusa per ogni oltraggio. Per questo i nostri fondatori hanno incastonato la libertà di stampa nella Costituzione.  Quindi chiedo alla stampa estera di Hollywood e a tutti noi nella nostra comunità di seguirmi nell’appoggiare il Committee to Protect Journalists, perché abbiamo bisogno di loro per andare avanti, e loro avranno bisogno di noi per salvaguardare la verità”.

Alla fine Maryl Street ha chiuso il suo appassionato discorso dicendo: “Come la mia cara amica scomparsa, Principessa Leia, mi disse una volta, ‘take your broken heart, make it into art’ (che il tuo cuore spezzato si trasformi in arte”.

Raggiunto telefonicamente dal New York Times per avere una reazione al discorso di Meryl Streep, il presidente eletto Donald Trump ha replicato che, pur non avendo visto la serata dei Golden Globes, non era affatto sorpreso dagli attacchi da parte “di una che ama Hillary Clinton”.

Sotto il video e il testo originale del discorso di Maryl Streep.

Please sit down. Thank you. I love you all. You’ll have to forgive me. I’ve lost my voice in screaming and lamentation this weekend. And I have lost my mind sometime earlier this year, so I have to read.

Thank you, Hollywood Foreign Press. Just to pick up on what Hugh Laurie said: You and all of us in this room really belong to the most vilified segments in American society right now. Think about it: Hollywood, foreigners and the press.

But who are we, and what is Hollywood anyway? It’s just a bunch of people from other places. I was born and raised and educated in the public schools of New Jersey. Viola was born in a sharecropper’s cabin in South Carolina, came up in Central Falls, Rhode Island; Sarah Paulson was born in Florida, raised by a single mom in Brooklyn. Sarah Jessica Parker was one of seven or eight kids in Ohio. Amy Adams was born in Vicenza, Italy. And Natalie Portman was born in Jerusalem. Where are their birth certificates? And the beautiful Ruth Negga was born in Addis Ababa, Ethiopia, raised in London — no, in Ireland I do believe, and she’s here nominated for playing a girl in small-town Virginia.

Ryan Gosling, like all of the nicest people, is Canadian, and Dev Patel was born in Kenya, raised in London, and is here playing an Indian raised in Tasmania. So Hollywood is crawling with outsiders and foreigners. And if we kick them all out you’ll have nothing to watch but football and mixed martial arts, which are not the arts.

They gave me three seconds to say this, so: An actor’s only job is to enter the lives of people who are different from us, and let you feel what that feels like. And there were many, many, many powerful performances this year that did exactly that. Breathtaking, compassionate work.

But there was one performance this year that stunned me. It sank its hooks in my heart. Not because it was good; there was nothing good about it. But it was effective and it did its job. It made its intended audience laugh, and show their teeth. It was that moment when the person asking to sit in the most respected seat in our country imitated a disabled reporter. Someone he outranked in privilege, power and the capacity to fight back. It kind of broke my heart when I saw it, and I still can’t get it out of my head, because it wasn’t in a movie. It was real life. And this instinct to humiliate, when it’s modeled by someone in the public platform, by someone powerful, it filters down into everybody’s life, because it kinda gives permission for other people to do the same thing. Disrespect invites disrespect, violence incites violence. And when the powerful use their position to bully others we all lose. O.K., go on with it.

O.K., this brings me to the press. We need the principled press to hold power to account, to call him on the carpet for every outrage. That’s why our founders enshrined the press and its freedoms in the Constitution. So I only ask the famously well-heeled Hollywood Foreign Press and all of us in our community to join me in supporting the Committee to Protect Journalists, because we’re gonna need them going forward, and they’ll need us to safeguard the truth.

One more thing: Once, when I was standing around on the set one day, whining about something — you know we were gonna work through supper or the long hours or whatever, Tommy Lee Jones said to me, “Isn’t it such a privilege, Meryl, just to be an actor?” Yeah, it is, and we have to remind each other of the privilege and the responsibility of the act of empathy. We should all be proud of the work Hollywood honors here tonight.

As my friend, the dear departed Princess Leia, said to me once, take your broken heart, make it into art.

 

 

 

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Stefano Vaccara

Stefano Vaccara

Sono nato e cresciuto in Sicilia, la chiave di tutto secondo un romantico tedesco. Infanzia rincorrendo un pallone dai Salesiani e liceo a Palermo, laurea a Siena, master a Boston. L'incontro col giornalismo avviene in America, per Il Giornale di Montanelli, poi tanti anni ad America Oggi e il mio weekly USItalia. Vivo a New York con la mia famiglia americana e dal Palazzo di Vetro ho raccontato l’ONU per Radio Radicale. Amo insegnare: prima downtown, alla New School, ora nel Bronx, al Lehman College della CUNY. Alle verità comode non ci credo e così ho scritto Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination (Enigma Books 2013 e 2015). Ho fondato e diretto (2013-gennaio 2023) La VOCE di New York, convinto che la chiave di tutto sia l’incontro fra "liberty & beauty" e con cui ho vinto il Premio Amerigo 2018. I’m Sicilian, born in Mazara del Vallo and raised in Palermo. I studied history in Siena and went to graduate school at Boston University. While in school, I started to write for Il Giornale di Montanelli. I then got a full-time job for America Oggi and moved to New York City. My dream was to create a totally independent Italian paper in New York to be read all over the world: I finally founded La VOCE di New York. In 2018 I won the "Amerigo Award". I’m a journalist, but I’m also a teacher. I love both. I cover the United Nations, and I correspond from the UN for Radio Radicale in Rome. I teach Media Studies and also a course on the Mafia, not Hollywood style but the real one, at Lehman College, CUNY. I don't believe in "comfortable truth" and so I wrote the book "Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination" (Enigma Books 2013 e 2015). I love cooking for my family. My favorite dish: spaghetti con le vongole.

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