Sul finire dell’anno appena passato, com’è noto, si è affacciata una nuova dimensione del Grande Guasto italiano, vale a dire: lo squilibrio istituzionale e costituzionale fra Ordine Giudiziario e Poteri Elettivi. La nuova dimensione riguarda il M5S. Firme false, coacervo romano: per ora.
Beppe Grillo e l’Associazione Nazionale Magistrati (ANM) avevano perciò un problema comune: regolare lo squilibrio. Troppo spinto, si rischia la decimazione “amica”; ridotto, si rischia l’inefficacia “suppletiva” verso terzi. Occorreva una mediazione, per stabilizzare lo squilibrio, sia pure transitoriamente.
E’ stato appena sottoposto al rituale plebiscito interno il c.d “Codice di Comportamento del M5S”, articolato in 6 “punti”. Dovrebbe regolare, nel turbato sentimento del M5S, i rapporti fra l’attività politica, in ogni sua sede e grado, e il procedimento o il processo penale. Questo aggregato di equivoci paranormativi, è il cappio con cui “gli iscritti” consegnano il loro collo al “Capo”. Eccola qui, la mediazione.
I “Rapporti con eventuali procedimenti penali”, come recita il titolo del “punto” n. 2 del “Codice”, riflettono esattamente la vera necessità da cui è nata la mediazione. Da un lato, lasciare intatte, per l’oligarchia giudiziaria, le possibilità, per così dire tecnico-giuridiche, dell’abuso inquisitorio; la presunzione di non colpevolezza “è un fatto interno al processo, non c’entra nulla coi rapporti sociali e politici”, nelle parole del Presidente dell’ANM in carica, dott. Piercamillo Davigo (I). Dall’altro, accreditare “il Capo Politico” del M5S di un ruolo interpretativo, che lo ponga in una sorta di pariordinazione rispetto all’ANM: dunque, un po’ mediazione, e un po’ cooptazione. In una formula: “Il Capo Politico” da oggi è membro onorario della oligarchia a base giudiziaria.
Simile cooptazione si fonda sui “classici del pensiero autoritario”: l’antiparlamentarismo, il paternalismo eticizzante, la corrività aggressiva. Tali “classici” costituiscono il nerbo del “manipulitismo”, della regressione culturale, umana ed istituzionale, a cui è stata ed è sottoposta la società politica e civile italiana, a partire dal “triennio fondativo” 1992-1994.
L’antiparlamentarismo, in primo luogo: se “la politica [é] il nerbo della potenza mafiosa”, bisogna “sospendere autoritativamente la democrazia elettiva aritmetica”, se del caso, anche “contro la stessa volontà della maggioranza”, Antonio Ingroia, oggi avvocato, e Roberto Scarpinato, oggi Procuratore Generale di Palermo (Micromega, 2003/1).
Il paternalismo eticizzante: é “…affidato alla magistratura il ruolo strategico di vigilare sulla lealtà costituzionale delle contingenti maggioranze politiche di governo”, ancora Scarpinato, 11 Maggio 2006.
La corrività aggressiva: “I politici continuano a rubare, ma non si vergognano più”, 24 Aprile 2016, Davigo (II); è giusta la galera prima del processo “sennò la gente s’incazza”, 14/07/1993, Davigo (III).
Il “Codice” del M5S si limita a mettere nero su bianco questa “Tradizione”.
E’ stato diffusamente dato risalto ad un moncone di tale “Codice”, che segnerebbe una sorta di sussulto garantistico del M5S: “La ricezione, da parte del portavoce [il singolo titolare di una carica pubblica elettiva, n.d.r.], di ‘informazioni di garanzia’ o di un ‘avviso di conclusione delle indagini’ non comporta alcuna automatica valutazione di gravità dei comportamenti…” (Punto 4, secondo capoverso). Frottole.
Tre, infatti, sono i concetti che rilevano. Vediamo.
Il primo è quello di “comportamento”. E giustifica la “sanzione” interna al Movimento (compresa l’espulsione) se è “grave”. Si badi che la nozione di “comportamento grave” non riflette questo o quel reato: è sufficiente “un qualsiasi reato commesso con dolo”, una volta considerata la sua attitudine a pregiudicare “l’immagine o l’azione del Movimento 5S”. (“punto” n.4). Si spazia indifferentemente dal ceffone alla strage, senza contare che la lesione di “immagine” o “azione del Movimento”, introduce un ulteriore parametro pressocché imprescrutabile. Per mitigare questo marasma vaticinante, più vicino ai tarocchi che ad un esame razionale, viene introdotta la sembianza di una valutazione: “E’ considerata “grave ed incompatibile” con una “carica elettiva”, la “condanna, anche solo in primo grado”. Ma, come la “Dottrina Manipulitistica” insegna, in realtà non conta l’accertamento: perché vi è equiparato il c.d. “patteggiamento” o “il decreto penale”, che viene emesso sulla sola base delle indagini preliminari (e a cui in genere non ci si oppone, nonostante la frequente esosità delle sanzioni pecuniarie, perchè comunque il dibattimento rimane oneroso rispetto alla contenuta rilevanza penale del fatto); semmai, ciò che qui, all’evidenza, preme, è che la condanna rilevi proprio in quanto non definitiva: altrimenti varrebbe quanto previsto dalla Costituzione, che questo valore “anticipato” nega.
Secondo concetto: se quella appena vista è, per così dire, la previsione astratta, come si stabilisce che ci sia un “caso concreto”? Quando tre soggetti, “Garante del Movimento 5 Stelle, Collegio dei Probiviri, o Comitato d’Appello”, secondo “le funzioni attribuite dal Regolamento”, e “in piena autonomia”, decidono che ce ne sia uno. Queste “libere interpretazioni”, con cui si entra e si esce dal “comportamento grave”, come dal peccato in tempi di simonìa, nel “Codice” sono definite “apprezzamento discrezionale”: che sembrerebbe previsto solo per decidere se sanzionare in relazione a certi particolari casi: “fatti commessi pubblicamente per motivi di particolare valore politico, morale o sociale”; o “concernenti l’espressione del proprio pensiero e delle proprie opinioni”; o pronunce di estinzione del reato “per prescrizione”; o per esito positivo della messa alla prova; o di proscioglimento “per speciale tenuità del fatto”. Ma sono altre frottole. La “pendenza” penale è un mero pretesto, liberamente manipolabile. Infatti, il “comportamento” può essere ritenuto “grave” non solo “anche durante la fase di indagine” (“punto” n. 2), ma pure se “la condotta” apparisse “indipendente e autonoma rispetto ai fatti oggetto dell’indagine” (“punto” n. 2), e persino “a prescindere dall’esistenza di un procedimento penale” (“punto n. 4). Le maglie del “Codice” si stringono e si allargano a volontà.
Terzo concetto: a volontà di chi? Fra Collegio dei Probiviri o Comitato d’Appello e “Capo Politico” (Garante del Movimento è un sinonimo) decide il “Capo Politico”: “Il capo politico del Movimento 5 Stelle, laddove sia in disaccordo con una sanzione irrogata dal collegio dei probiviri o dal comitato d’appello, ha facoltà di annullarla e, ove la sanzione risulti inflitta dal comitato d’appello, può irrogarne una più lieve”. Perché il Regolamento del M5S (diciamo, quello generale, che non risulta revocato, e perciò continua a valere nelle sue specifiche previsioni concernenti anche “le sanzioni”) così prevede (art. 4, lettera d); in alternativa, in particolare nell’ipotesi di “espulsione”, “Il capo politico del Movimento 5 Stelle…può rimettere la decisione ad una votazione in rete di tutti gli iscritti al Movimento 5 Stelle. La decisione dell’assemblea degli iscritti è definitiva ed inappellabile, anche se intervenuta su decisione del collegio dei probiviri” (ancora art. 4, lettera d) del Regolamento. L’alternativa al “Capo Politico” è il “Capo Politico”.
Quel “a prescindere dall’esistenza di un procedimento penale”, non è un refuso; inserito nel “punto” n. 4, “Presunzione di gravità”, è centrale: e va “tradotto” tenendo presente l’ormai illimitato potere che viene dalle “indiscrezioni intorno ad un procedimento penale”; potere di cui è stato campo di prova l’ultima “estate romana”: scossa anche dalle psichedeliche distinzioni fra “iscritta nel registro degli indagati” e “avvisata d’indagine” , elucubrate a proposito dell’ex Assessore all’Ambiente del Comune di Roma, Paola Muraro. Così “riordinata”, la “legittimazione penalistica”, come paradigma per una maggiore rettitudine nell’azione politica, non ha più rigore razionale e democratico della “purezza della razza” o del “pericolo controrivoluzionario”. I “Rapporti con eventuali procedimenti penali”, dunque, sono locuzione utile solo al “Capo Politico” e all’ANM: ad un nuovo equilibrio nello squilibrio.
Gli “iscritti” del M5S sono chiamati, e pare sempre più saranno, a pubbliche e rilevantissime responsabilità. La promozione del “Capo Politico” fra i “Regolatori Del Cappio”, piaccia o non piaccia, interessa tutti. Infatti, non ha fatto in tempo a varare il “Codice”, che già, mentre scrivo, Grillo rilancia: “Propongo una giuria popolare che determini la veridicità delle notizie pubblicate sui media”.
Ma questa china proseguirà. Matteo Renzi è stato affondato perché non ha saputo cogliere, nemmeno da lontano, il coaugulo “culturale” che lo ha indebolito; inoltre, è stato ondivago, per non dire ambiguo, nei rapporti con “la giustizia”. Oltre ai 5S, c’è un fronte, che comprende un 10-15% tra Fratelli d’Italia e Lega (il “pericolo terrorismo” è una prateria emotivo-politica), più un altro 6-8% di sinistra-sinistra (“l’appropriazione neoliberistica” sempre meritevole di castigo), pronto a convergere, in posizione più o meno gregaria, ma comunque giudiziariamente “dura e pura”, verso Grillo: che, indubbiamente, rimane il più forte in questa marea montante. Il resto è pulviscolo.
Ma senza l’insipienza democratica e l’irresponsabilità morale dei “chierici”, che ha accompagnato e sostenuto l’involuzione culturalmente ed istituzionalmente autoritaria della c.d. Seconda Repubblica, oggi non saremmo giunti, non così “normalmente”, non così scopertamente, alle soglie di una formale Tirannia: come siamo. E magari qualcuno vorrà chiamarla Terza Repubblica.
Fra gli altri, anche il Direttore di Repubblica, Mario Calabresi, pare soddisfatto: scrive di “una nuova grammatica” per il M5S; e aggiunge che “l’intervento di Grillo è giusto per il principio che esprime e serve a ristabilire alcuni elementi di correttezza nel rapporto tra politica e magistratura”. A sostegno ricorda che “Due ministri, Maurizio Lupi e Federica Guidi, si sono dimessi senza che fossero state formalizzate ipotesi di reato nei loro confronti”.
Ecco.
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