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La disinformazione della “Grande Russia” di Putin

Gli obiettivi della Russia che gioca sporco negli sport come nelle elezioni per far vincere Donald Trump

Luigi TroianibyLuigi Troiani
putin russia kgb

L'immagine di Vladimir Putin con lo stemma del KGB, il servizio segreto sovietico, ripresa da espionagehistoryarchive.com

Time: 7 mins read

Gira in rete lo spezzone della trasmissione televisiva russa nella quale il presidente Vladimir Putin effettua la premiazione a un concorso di geografia per le elementari. Il presidente chiede al bambino di nove anni dove termini il suo paese. Lo scolaretto risponde: “allo stretto di Bering”. “Ma no!”, interloquisce il presidente: “La Russia non termina da nessuna parte!”. E aggiunge sorridente:  “Scherzavo!”.

Le azioni armate di occupazione e infiltrazione che Mosca sta conducendo da anni al confine europeo e caucasico, la recente minaccia sul confine baltico, dicono che in materia, l’atteggiamento russo sappia ben poco di scherzo. Si è di fronte a una vera e propria dottrina realpolitica, applicata nella politica estera e di sicurezza, che il beneamato presidente sfoggia con sarcasmo e umorismo nero in un programma popolare ad uso e consumo di bambini e famiglie.

Nel frattempo le agenzie battono due clamorose, anche se tutt’altro che inattese, informazioni.

A Londra, Wada, World Anti-Doping Agency, pubblica la seconda parte del rapporto dedicato alle attività russe illecite e antisportive. Vi si afferma che più di mille atleti di trenta discipline, calcio incluso, partecipanti a competizioni internazionali estive, invernali e paralimpiche del presente decennio, erano dopati istituzionali. Tra loro, medaglie agli olimpionici di Londra 2012 in numero di cinque, e di Sochi 2014 in numero di quattro. L’avvocato canadese che ha stilato il rapporto sostiene: “Abbiamo prove di più di 500 risultati positivi segnalati come negativi, tra i quali quelli di atleti famosi e di alto livello, che hanno visto test positivi automaticamente falsificati … C’è stato insabbiamento a tutti i livelli istituzionali per favorire il conseguimento dei migliori risultati”.

Si ricordi che, nella prima parte del rapporto, dedicato ai giochi di Sochi, circolato lo scorso luglio e rotondamente respinto da Putin come manovra antirussa, si diceva che lo sport mondiale si fosse trovato di fronte a una vera e propria cospirazione tramutata in “doping di stato”, in sistema “controllato, diretto e supervisionato” dal ministero dello Sport “con l’aiuto attivo dei servizi segreti”. Gli atleti erano parte del programma che li dopava, tutelandoli poi attraverso “copertura trasformata in strategia istituzionalizzata e disciplinata, volta a conquistare medaglie”.

La seconda notizia arriva direttamente dal quartier generale della CIA ed è stata diffusa dal Washington Post. E’ confermato che l’elezione di Donald Trump è pesantemente inquinata da hackeraggi e interferenze dei servizi russi nei social americani (v. mio 12 novembre 2016), in dose e risultati così massicci da ridurre a scappatella di liceali l’operazione degli “idraulici” del Watergate che portò alle dimissioni dell’allora presidente Richard Nixon. Wikileaks avrebbe ricevuto da circoli governativi di Mosca migliaia di email hackerate per danneggiare il partito Democratico, arrivando nei siti di John Podesta e di Hillary Clinton. E’ da incubo apprendere che la potenza nucleare che si batte con Washington per detenere quante più possibili aree di influenza nel mondo, entri direttamente nella competizione elettorale statunitense a favore del “suo” candidato. Tanto accade e se ne prenda atto, in un sistema internazionale che la presidenza di Barack Obama non ha con evidenza saputo tenere a bada.

Chiudendo la stalla quando i buoi pascolano felici tra i pascoli, la Casa Bianca, si apprende dal Washington Post, ha ora disposto l’indagine “completa” sui fatti, da completarsi entro il 20 gennaio, data dell’insediamento di Trump.

L’America è scaraventata dentro una crisi di fiducia verso la sua massima istituzione, il presidente, che rischia di avere sviluppi preoccupanti per la stabilità mondiale; ma non è questo l’aspetto che qui interessa approfondire.

***

I tre episodi fanno chiedere quale sia il rapporto della Russia putiniana con la realtà del secolo XXI, ovvero se, come in molti si afferma, Putin non sia altro che il presumibile restauratore della grandezza della smarrita terza Roma, il firmatario del nuovo grande patto tra chiesa nazionalista ortodossa e stato autocrate, per riportare la Russia ai fasti di potenza euroasiatica temuta e rispettata, e tenerla lontana da non volute conseguenze della piena modernizzazione, come le libertà democratiche e religiose.

Nell’attuale storico guado tra potenza sovietica smarrita e potenza russa ricercata, Mosca sarebbe chiamata a decidere tra accettazione totale della contemporaneità e il perseguimento della restaurazione. La prima richiede il rivoluzionamento profondo dei valori ancestrali e mitici del paese, incrostati nel millennio di ortodossia e dispotismo, grettamente chiuso alle correnti che da oriente e occidente hanno continuamente soffiato sull’immenso paese, alimentate da rare élite (zar Pietro che creò San Pietroburgo, gli immensi letterati pittori musicisti che tutti amiamo e veneriamo, rari riformatori politici come forse il controverso Pëtr Arkad’evič Stolypin, i decabristi socialdemocratici e menscevichi sterminati dai bolscevichi, il primo Eltsin).

Per essere portato a compimento, quel processo richiede consapevolezza e guida che non sono in circolazione. Il coacervo di interessi che spinge il paese alla restaurazione granderussa  – forze armate, servizi segreti, grandi imprese estrattive e speculative, gerarchie religiose supreme – ha ben altro in mente: affermare la forza del paese, radunare sotto la propria bandiera protettiva i russi dispersi nel grande spazio ex sovietico, collocare basi di potere in punti strategici chiave come il Medio Oriente, il Mediterraneo, la sponda asiatica. Poco importa se la popolazione, fuori dalle grandi città, continua a vivere in condizioni miserande, se le infrastrutture latitano, se il dato demografico precipita, se malattie sociali come alcolismo, violenza sulle donne, corruzione, ignoranza popolare di ritorno, non retrocedono.

Se il perseguimento della restaurazione resta l’ipotesi percorsa dalla dirigenza russa, occorre porsi almeno due domande: con quali tecniche essa venga perseguita, se è nell’interesse del sistema internazionale che essa si compia.

Sulle tecniche, si raccomanda, per la comprensione dell’aspetto essenziale della questione, la lettura del classico di Peter Hopkirk, Il grande gioco, edito in Italia da Adelphi. Scrivendo dell’espansionismo russo in Europa e Asia dall’epoca del grande Pietro, cita sir John McNeill che nel 1836 mostra, su mappa pieghevole, quanto ampie fossero state in un secolo e mezzo le acquisizioni e annessioni russe: i sudditi dello zar erano quadruplicati, da 15 a 58 milioni, le frontiere erano avanzate di 800 km. verso Costantinopoli (conquista di province turco-ottomane) e di 1.600 verso Teheran (territori tolti alla Persia). Ad occidente la Russia aveva tolto più di metà  del territorio alla Svezia, e alla Polonia un’area grande quasi come l’impero austriaco. L’autore, che stila il documento nel cerchio del primo ministro britannico lord Palmerston, sottolinea come il metodo degli zar fosse stato quello di procedere per gradi, senz’irritare la grande potenza dell’epoca collocata sul fianco opposto del continente.

trump putinQuella tattica sarà utilizzata da Stalin quando aggredirà le repubbliche baltiche e più tardi verso le repubbliche centro europee, convogliate nell’orbita sovietica durante la guerra fredda. Quella stessa tattica gradualista e temporeggiatrice, è oggi utilizzata da Putin, come si è visto da quanto accaduto in Ucraina e Georgia.

Non sfugga lo stretto legame che intercorre tra rifiuto della contemporaneità, ricerca della conquista territoriale, sbandieramento del mito granderusso.

Una delle acquisizioni della contemporaneità è la smaterializzazione di molti processi socio-produttivi e di conseguenza la  deterritorialità come principio di organizzazione dell’economia e del potere. Fenomeni come le imprese multinazionali, la globalizzazione delle comunicazioni, i sistemi di difesa satellitari, e così via, prescindono dallo stretto legame con un territorio.

Ricordo l’incontro di Andrew Young con la comunità politologica di Harvard, nel lontano 1977, nel quale l’uomo di Jimmy Carter, illustrando il disimpegno dell’amministrazione in America centrale, sosteneva che non ci fosse più bisogno di interventi armati diretti nel “cortile” fissato dalla dottrina Monroe, perché il sistema satellitare in edificazione avrebbe consentito insieme controllo e diffusione di valori democratici.

Quarant’anni dopo i russi sono ancora alle prese con questioni meramente territoriali in quello che considerano il “cortile”, peraltro abitato da connazionali ai quali enunciano di voler garantire protezione contro non meglio identificate minacce.

Si potrà obiettare che il governo russo, in realtà, giochi da maestro la carta della modernità smaterializzata e deterritorializzata quando interferisce nelle presidenziali statunitensi e falsifica le competizioni sportive internazionali. E’ vero, ma qui bisogna richiamare l’ulteriore tradizionale pratica del potere granderusso, passata indenne attraverso i secoli: la disinformazione, disinformacja. Nell’epoca zarista la più celebrata manifestazione la si ebbe con gli splendidi villaggi di cartapesta che il favorito, principe Grigorij Aleksandrovič Potëmkin, mostrava a Caterina per tenerle su il morale. Non si può affermare che quanto si racconta corrisponda al vero, perché in molti ritengono che quanto tramandato sia un’invenzione di detrattori e invidiosi. Che sia vera l’una o l’altra cosa, sempre di disinformacja si tratterebbe,

Nell’intero tempo sovietico la disinformacja, orchestrata dal Kgb, dal quale proviene Vladimir Putin, fu costante metodo di governo. Se la frase “Calunniate calunniate, qualcosa resterà”, attribuita a ogni pensatore e politico che si rispetti (da Voltaire a Goebbels), è mai stata utilizzata sistematicamente e con intelligenza da un sistema politico, ciò capitò con l’URSS.

Tornando all’attualità, cos’altro  sono, se non la più classica delle disinformacja, la campagna di fonte russa in rete pro-Trump e la falsificazione sistemica della positività al doping?

Soccorra, per la comprensione del fenomeno disinformacja, un altro classico, quello di Vladimir Volkoff, La disinformazione vista dall’est.  Una sua frase chiarisce molto più di un trattato: “ … si crea tabula rasa dell’intelligenza, e i disinformatori potranno cominciare a mettere in scena il loro gran ballo”. In Italia, da Guida, di Volkoff è uscito il saggio romanzato Il montaggio: l’atmosfera orwelliana fa capire come si possa pianificare a tavolino la distruzione dell’intelligenza di interi sistemi sociali.

E’ da queste considerazioni che arriva la risposta all’altra domanda sulla posizione che la politica internazionale deve assumere verso la restaurazione russa. Quel processo va  scoraggiato e al tempo stesso opportunamente riorientato, potendo paradossalmente contribuire alla stabilizzazione degli affari internazionali.

Ma alla Russia occorre mostrarsi forti e decisi, altrimenti non si verrà presi sul serio. E qui, purtroppo, ci si scontra con le due grandi debolezze strutturali delle quali Mosca sta approfittando con sagacia machiavellica. Alla irrisolutezza dell’Unione Europea, intrappolata tra Brexit e populismi, si somma il disorientamento statunitense di un presidente che potrebbe trovarsi già in partenza “anatra zoppa” proprio grazie all’intelligenza politica russa.

Si rifletta anche che, se in Europa e Stati Uniti si andasse a provvedimenti tesi a limitare la capacità russa di disinformazione, ad esempio imponendo regole al mondo di internet, si presterebbe ulteriore fianco a propaganda e disinformacja.

I russi proseguiranno a giocare la partita con ogni mezzo a disposizione. Sono tradizionalmente resistenti e capaci di attesa. Sanno accumulare sconfitte, purché ottengano la vittoria finale, né si peritano di giocare sporco per ottenerla.

Dispongono anche di un leader incontestato e comunque incontestabile.

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Luigi Troiani

Luigi Troiani

Insegno Relazioni Internazionali e Storia e Politiche UE all’Angelicum di Roma. Coordino le ricerche e gli studi della Fondazione Bruno Buozzi. Tra i promotori di Aiae, Association of Italian American Educators, ho dato vita al suo “Programma Ponte” del quale sono stato per 15 anni direttore scientifico. Ho pubblicato saggi e libri in Italia, tra gli altri editori con Il Mulino e Franco Angeli, e in America con l’editore Forum Italicum a Stony Brook. Per la rivista Forum Italicum ho curato il numero monografico del maggio 2020, dedicato alla “letteratura italiana di ispirazione socialista”. Nel 2018 ho pubblicato, con l’Ornitorinco Edizioni, “Esperienze costituzionali in Europa e Stati Uniti” (a cura). Presso lo stesso editore sono in uscita, a mia firma, “La Diplomazia dell’Arroganza” e “Il cimento dell’armonizzazione”. La foto mi mostra nella maturità. Questa non sempre è indizio di saggezza. È però vero che l’accumulo di decenni di studi ed esperienze aiuta a capire e selezionare (S. J. Lec: “Per chi invecchia, le poche cose importanti diventano pochissime”), così da meglio cercare un mondo migliore (A. Einstein: “Un uomo invecchia quando in lui i rimpianti superano i sogni”).

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