Con il suo romanzo di esordio, Lo Scuru (Tunué 2014), segnalato in occasione del Premio Sciascia 2016, Orazio Labbate, classe 1985, è considerato dalla critica il creatore di un nuovo gotico siciliano che si ispira al Southern gothic americano.
Nasce a Mazzarino ma ha vissuto sin dalla sua infanzia a Butera per poi trasferirsi a Milano negli anni universitari. Chiusa nel cassetto la sua laurea in Giurisprudenza ottenuta alla Bocconi, si dedica alla scrittura, che per lui diventa necessità, evocazione delle cose dimenticate.
Oggi Orazio, è consulente per LiberAria editore e collabora con il magazine di musica e cultura Il Mucchio Selvaggio. I suoi lavori sono apparsi sulle riviste letterarie italiane Nuovi Argomenti, Achab, Nazione Indiana, Il primo amore e Repubblica nomade e su quelle americane PEN/America e Guernica. Cura la rubrica Mostri notturni per Fuori Asse e ha da poco pubblicato Piccola enciclopedia dei mostri e delle creature fantastiche per 24 Ore Cultura.
Racconti di una Sicilia gotica, misteriosa, dove religione e superstizione si mescolano. La critica ti ha definito il creatore di un nuovo gotico siciliano che si ispira al southern gothic americano. Il tuo blog si chiama Sicilia texana. Cosa hanno in comune la Sicilia di cui parli con l’America?
“La comunanza nasce dal territorio esteso, naturale, arido del Sud della Sicilia (come quei paesaggi di McCarthy), che favorisce il sentimento di spaesamento e solitudine ancestrale; da una lingua letteraria che deve inseguire la metafisica del luogo (in Faulkner accade lo stesso); dalla spiegazione – fanatica e persino spirituale – della religione cattolica secondo la scrittura che ora si fa Verbo (come in Flannery O’Connor), ora confessione estatica”.
Da cosa nasce il tuo primo romanzo, Lo Scuru. Scriverlo è stato per te condividere ricordi e memorie del tuo passato o riscoprire una nuova Sicilia anche dal punto di vista letterario?
“Lo Scuru nasce dalla morte. Dalla notte in cui morì mia nonna Maria. Avevo diciotto anni e da quella notte per rifuggire al trapasso di lei decisi di farla risorgere insieme alla mia Sicilia del Sud, con la scrittura. Così scrissi in circa 40 taccuini, negli anni, il germe de Lo Scuru. Volevo fare risorgere la persona scomparsa, con i ricordi religiosi della mia vita – facevo il chierichetto – e quella Sicilia rimasta incastrata dentro un gotico metafisico che secondo me quel territorio da sempre possiede; quella strada secca e spoglia tra Butera e Gela dove impera la solitudine e anche, credo, le anime di chi non c’è più. Sì, penso che quella porzione di Sicilia che si ultima col Mediterraneo possa rappresentare una costola di ispirazione letteraria nuova. Quel Sud Sicilia di scrittura e immaginazione è parente del Southern gothic“.
Hai creato un linguaggio ibrido che esalta la dimensione poetica ed intensa del siciliano. Una lingua, quella con cui ti esprimi nel romanzo Lo Scuru, che risponde ad un’esigenza stilistica o intima?
“Secondo me l’esigenza stilistica è consustanziale a quella intima. Pertanto la mia lingua è le mie viscere; l’una entra nelle altre”.
Licata, Gela, la Sicilia che descrivi è arida e misteriosa. A tratti abbandonata, buia. Quali sono i luoghi siciliani della tua infanzia e quelli dove ti piace ritrovarti e ritrovare la tua dimensione?
“Sono le città di Butera, Gela e la zona marittina di Butera, chiamata Falconara quest’ultima pressappoco all’ingresso di Licata. I territori attorno a quei paesi – senza dimenticare il Mediterraneo – sono fondamentali per la mia scrittura, per la forza della mia letteratura, per trarre nutrimento spirituale, e dunque poter scrivere. Ma sopra ogni altro posto, la strada che divide Gela da Butera – arida, secca, dimenticata, metafisica, alla fine accolta dalla piana di Gela – è lo spazio che percorro in macchina ogni notte per incontrare lo scintillìo per scrivere”.
Bufalino, D’Arrigo ma anche Faulkner e Poe. Tutti scrittori che, hai detto, hanno influenzato e continuano ad influenzare la tua scrittura. Cosa apprezzi di ognuno di loro?
“Per ognuno, brevemente. Bufalino: la lingua a tratti barocca che trasforma la Sicilia – e i suoi personaggi – in scenografia metafisica. Bufalino è il più ‘internazionale’ dei siciliani. D’Arrigo: l’invenzione furiosa della lingua. E’ l’Omero della nostra Isola. Poe: è stato colui che ha reso moderno il gotico. Dalle storie allo stile, la sua impronta entra in ogni evoluzione del genere”.
Non solo scrittori. Nei tuoi libri, sembra ci siano delle atmosfere a tratti di lynchiana memoria. Il regista americano ha influenzato la tua scrittura?
“Sì, interamente. La concezione lynchiana della realtà che è teatro – silenzioso e inquietante – di un combattimento tra Dio e Diavolo, tra empiria e metafisica, tra fantasmi e uomini. Tra tutti i suoi film mi ha assai influenzato “Cuore Selvaggio” per aver inteso le highway lunghe e immense, affiancate dal deserto, scenario demonico e solitario. Come appunto, a mio avviso, lo spazio che divide Gela da Butera”.
È da poco uscito Piccola enciclopedia dei mostri. Puoi parlarci di questo nuovo progetto e di quelli futuri?
“Il libro, edito da 24Ore Cultura, si trova in tutte le librerie. Esso è un bestiario moderno dei mostri. Da Dracula all’ Essere sognato da Kafka. Vuole prefiggersi l’obiettivo di poter fare letteratura – sulla scorta del famoso Manuale di zoologia fantastica di J.L.Borges – descrivendo quelle creature partorire dai libri o dalle credenze o dalla stessa Bibbia. Ho dunque tentato di inventare, con equilibrio, una nuova idea di manuale criptozoologico. Il gotico è anche, e fondamentalmente, impregnato di mostri… Circa i progetti futuri: nel marzo 2017 uscirà una mia raccolta di racconti per l’editore LiberAria. Il titolo è Stelle ossee. Novelle che rimarrano impregnate del mio stile, ma tutte in lingua italiana. Io credo che uno scrittore debba il prima possibile impegnarsi con i racconti. È una fondamentale riconoscenza alla stessa letteratura. Annuncio che Lo Scuru è parte di una Trilogia. Seguiranno dunque altri due volumi. Il secondo l’ho già scritto, il terzo lo sto scrivendo. Non posso dirvi ancora l’editore… Tuttavia, non ci sarà più il siciliano, ma un italiano che tenterà di inglobarlo in sé. La Sicilia sarà dunque regina della mia letteratura, ancora – sempre più – affratellata al Southern gothic…”.
Con Il Tascabile hai iniziato una collaborazione dove parli degli scrittori siciliani da scoprire. Chi sono quelli meno conosciuti che dovremmo leggere?
“Sì, un’onorevole opportunità. Da riscoprire, le opere di: Stefano D’Arrigo; Angelo Fiore; tutte le novelle di Gesualdo Bufalino; tutti i romanzi di Vincenzo Consolo; Nino De Vita, poeta; Angelo Maria Ripellino”.
Cosa rappresenta per te scrivere e quando hai deciso che da grande saresti diventato uno scrittore?
“Per me scrivere è una necessità. E’ una evocazione delle cose dimenticate. Una memoria immortale della mia Sicilia del Sud. Un processo resurrettivo costante ché il mio territorio, e chi è morto in esso, ritorni. Un combattimento contro le cose metafisiche. Non l’ho deciso, direi che si è fatto spazio da sé quel momento, cioè la notte quand’è morta la prima persona essenziale nella mia vita, mia nonna”.
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