Fra le dinamiche economico-politiche globali più determinanti degli ultimi due decenni, vi è stato l’imporsi sulla scena mondiale di un nuovo gruppo di Paesi, i cosiddetti “emergenti”: Brasile, Russia, India e Cina. Quando il termine BRIC(S) fu coniato nel 2001 – l’aggiunta della “S” che sta ad indicare il Sudafrica è avvenuta in un momento successivo – la crisi statunitense stava iniziando a propagarsi fra le cosiddette “economie avanzate”, ma Brasile, Russia, India e Cina, i cosiddetti “emergenti” sembravano esserne quasi immuni; al crescente potere economico questi paesi hanno iniziato ad associare un’ambiziosa agenda politica volta alla creazione di “un nuovo ordine mondiale” che andasse oltre Bretton Woods e conducesse ad un riassetto nelle relazioni internazionali.
Da allora sono passati 15 anni. Oggi i BRICS costituiscono il 26% del territorio, il 48% della popolazione e circa il 20% del PIL mondiale e, negli ultimi anni, il loro apporto alla crescita economica globale ha superato il 50%.
Ciò che è soprattutto interessante notare è che, nonostante l’esistenza di realtà tra loro molto dissimili in termini storici, politici e culturali, i BRICS esprimono, nell’insieme, il consolidamento di legami chiave per il processo di riconfigurazione del potere a livello globale – proprio a partire dal loro potere economico – diventando in tal modo una vera e propria sfida per le economie avanzate. Una celebre metafora ben sintetizza il ruolo di ciascuno dei BRICS all’interno del gruppo e nel contesto economico globale: se la Cina è la fabbrica del mondo, l’India è il suo back-office, la Russia la stazione di rifornimento, il Brasile la sua fattoria e il Sudafrica la nuova porta d’ingresso a questo arcipelago di paesi di nuova industrializzazione. Ciascun paese viene dunque identificato da quello che è il suo specifico “tratto distintivo”, il suo punto di forza, che è quello che determina il suo “vantaggio competitivo” nell’arena internazionale.
Il dato probabilmente più interessante nel ragionare su “emergenti” ed “emersi” è il prevalere delle dinamiche economiche su quelle politiche e il peso che il potere economico sta esercitando non solo nel riassetto degli equilibri mondiali e della governance globale – “governance” è peraltro parola mutuata dall’economia – ma anche nella ristrutturazione degli Organismi Internazionali. E’ di gennaio 2016 il riallineamento delle quote e del potere voto dei Paesi Membri nel FMI. I risultati principali sono stati: l’accrescimento delle quote dei BRIC del 6% e relativo diritto di voto e dunque Brasile, Cina, India e Russia rientrano fra 10 dei Paesi più importanti del Fondo, insieme a Usa, Giappone e a scapito dei paesi Europei
Oltre al fatto che, nel luglio 2015 una nuova banca per lo sviluppo, la Banca BRICS (BRICS New Development Bank 100 mld $) e un Fondo di riserva per le emergenze (CRA – Contingent Reserve Arrangement) sono diventati operativi. Potremmo dire che, la Banca BRICS insieme al Fondo, sono il riflesso del nuovo ordine economico e svolgono un’attività complementare e focalizzata rispetto a quella svolta dalla Banca Mondiale e dal FMI, nati in un contesto completamente diverso da quello attuale e con finalità rispondenti ad esigenze allora contingenti e riferibili ad una geografia politico-economica delineata in conseguenza del secondo conflitto mondiale e operanti attraverso strumenti e modalità funzionali a quel determinato periodo storico.
Il “peso” dei BRICS si sta dunque “istituzionalizzando”.
Protagonista dell’ultimo vertice BRICS di cui ha la Presidenza nel 2016 è stata l’India che negli ultimi vent’anni si è andata trasformando da Paese in via di sviluppo a potenza economica.
La gravissima crisi economico-finanziaria che il Paese si è trovato ad affrontare nel 1991, anno che può ragionevolmente essere considerato come l’ “anno chiave”, si è alla fine rivelata come la grande opportunità per un concreto rinnovamento . Dal ‘91 in questo Paese si sono infatti verificati cambiamenti molto radicali di politica economica, con l’effetto di una determinante apertura dell’economia al commercio e agli investimenti esteri e di una riduzione del ruolo del governo nella gestione dell’ economia stessa. Decisivo è stato soprattutto l’investimento in capitale intellettuale, conoscenza e innovazione. E, un mutamento altrettanto radicale in termini di politica economica è forse quello che ha iniziato a prendere corpo con l’elezione a Primo Ministro di Narendra Modi nel 2014, primo leader non appartenente al Partito del Congresso ma al Bharatiya Janata Party, partito nazionalista indù, che ha registrato una vittoria schiacciante, la più ampia registrata negli ultimi trent’anni.
Figlio di un venditore di tè di casta ghanchi, uno dei ranghi più bassi del sistema delle caste che ancora caratterizza la società indiana, Modi è il simbolo di un induismo che cambia insieme alla società. Sebbene le caste siano infatti state ufficialmente abolite dalla Costituzione indiana nel 1948, il sistema castale ha continuato ad esercitare un peso determinante sulla società indiana, permeandone tutti gli aspetti, pubblici e privati. Modi è oggi espressione di un induismo filtrato e interpretato da una rinnovata società indiana e, in particolare, dalla sua comunità di riferimento, quella business class crescente e pari oggi a quasi 300 milioni di indiani. E infatti, questo nuovo Primo Ministro da 1,2 miliardi di persone ha in buon parte vinto le ultime elezioni in virtù della fiducia accordatagli dalla popolazione indiana nelle sue capacità di compiere a livello di intero paese, il “miracolo economico” compiuto nel suo stato di elezione, il Gujarat.
Particolarmente interessante risulta la politica estera intrapresa da Modi: all’insegna del realismo politico piuttosto che dell’ideologia. Il pragmatico Primo Ministro mira a far diventare l’”India testa di ponte fra Occidente e Oriente” facendo principalmente leva sugli strumenti della “diplomazia economica” e sui punti di forza dell’India: essere una democrazia, avere la lingua inglese come lingua ufficiale, avere da sempre un’economia di mercato come vera “way of life”, una collocazione geopolitica strategica nel continente asiatico e una profonda conoscenza delle dinamiche di contesto che, nell’insieme, le consentono di dialogare tanto con l’Occidente che con l’Oriente.
“Building Responsive, Inclusive & Collective Solutions” ovvero BRICS: questo il leitmotiv dell’India durante la sua presidenza BRICS nel 2016. L’India ha inteso farsi promotrice di una nuova visione strategica del gruppo dei cinque. L’acronimo degli Emergenti è dunque riempito di contenuti: intende essere il riflesso della loro crescita e maturazione. Potenze economiche responsabili attive nello scenario internazionale.
La presidenza indiana, iniziata nel Febbraio del 2016 e che si concluderà nel Dicembre 2016, ha avuto il suo momento culminante e, al tempo stesso, di sintesi, nel Summit che ha avuto luogo a Goa, il 15 e 16 ottobre scorsi.
Sono stati mesi cruciali per l’India, sia per sancire la definitiva “istituzionalizzazione” dei BRICS, sia per dimostrare di essere una “potenza globale responsabile” oltre ad essere una “potenza economica”.
Il Premier indiano Narendra Modi condannando gli attacchi terroristici degli ultimi mesi ha più volte ribadito la “necessità di un impegno globale a stare uniti per combattere efficacemente il terrorismo”. E, un’ azione comune dei BRICS, data la trama di rapporti a livello internazionale che ciascuno di questi paesi porta con sé e dato l’intreccio di tali rapporti nel loro complesso potrebbe risultare determinante nel riassetto delle alleanze internazionali e conseguentemente nella delineazione degli equilibri mondiali.
Il Premier indiano auspica inoltre con forza una riforma urgente dell’Onu. “Se l’Onu vuole essere rilevante nel 21° secolo – ha detto il primo ministro – ha bisogno di essere riformata. Qualsiasi tipo di sfida sociale ed economica può essere affrontata solo attraverso la riforma del Consiglio di sicurezza dell’Onu al più presto” .
L’India dimostra dunque di pesare: sia dentro che fuori dai BRICS e i dati non fanno che confortare questa tesi.
Con un tasso di crescita del 7,5% nel 2015, e con una previsione di crescita dell’8% per il 2016 (dati IMF) l’India potrebbe sbaragliare gli altri BRICS sorpassando la Cina, la cui crescita prevista per il 2016 è del 6 %, il Brasile con un o,7% , la Russia al 0,2% e il Sud Africa la cui crescita prevista è del 2%. Se poi il confronto lo si fa tra India e UE e India e Italia i dati paiono allarmanti. Ad una crescita indiana del 7,5% nel 2015 si contrappone una crescita dell’1,1% dell’UE e dello 0,6% dell’Italia .
A ciò si aggiunga un afflusso di investimenti esteri in India che è passato dai 74 milioni di dollari del 1990 a 34 miliardi di dollari nel 2014, secondo dati UNCTAD . Particolarmente rilevante il settore dell’Information Technology cresciuto ad un tasso medio annuale di circa il 50% dal 1993 ad oggi, per un giro d’affari superiore ai 30 miliardi di dollari.
Gli Stati Uniti hanno compreso da tempo che i rapporti commerciali, economici e finanziari con l’India possono creare negli Stati Uniti – secondo le stime degli analisti- più di 50.000 nuovi posti di lavoro. E ciò che preme sottolineare in particolare è l’attenzione posta dai due paesi al settore dell’istruzione e formazione, considerato uno dei pilastri su cui costruire relazioni di lungo termine e che ha condotto alla formulazione di accordi volti ad accrescere conoscenza e capitale intellettuale, da entrambi considerati la vera risorsa del XXI secolo. Obama, già durante la sua visita in India nel 2010 aveva affermato che, «l’India non è una potenza emergente, ma una potenza a pieno titolo» e che «il rapporto tra India e Stati Uniti è destinato a essere il rapporto-chiave del secolo».
Secondo le previsioni di Goldman Sachs, a partire dal 2035 l’India sarà la terza potenza economica mondiale dopo gli Stati Uniti, di cui raggiungerà il 60% del potenziale economico. Ad esserne convinto è anche l’attuale premier indiano che afferma che: «Il XXI sarà il secolo indiano: serviranno 10 anni, non troppo!»

Questo in sintesi quanto contenuto nel mio paper “I BRICS e la nuova governance globale: il XXI secolo sarà il secolo indiano?” che ho avuto il piacere di presentare lo scorso 6 Ottobre presso l’ambasciata dell’India a Roma alla presenza dell’Ambasciatore S.E. Anil Wadhwa e di un panel di relatori di eccellenza rappresentativi dei diversi mondi: istituzionale, accademico e imprenditoriale: Sen. Pier Ferdinando Casini, Presidente della Commissione Affari Esteri del Senato, On. Fabrizio Cicchitto, Presidente della Commissione Affari Esteri e Comunitari, Camera dei Deputati
Sen. Benedetto Della Vedova, Sottosegretario di Stato agli affari esteri e la cooperazione internazionale Prof. Eugenio Gaudio, Rettore della Sapienza Università di Roma e Giampiero Massolo, Presidente Fincantieri.
Dopo un ‘introduzione dell’’Ambasciatore Anil Wadwha, che ha ripercorso i tratti salienti del paper e dunque le più recenti dinamiche politico-economiche indiane ha preso la parola ciascuno dei relatori.
Il Presidente Casini ha ricordato come l’evento rappresenti il ritorno di una delegazione italiana istituzionale nella sede dell’ambasciata indiana, dopo il gelo nei rapporti, almeno sul piano istituzionale, avvenuto in seguito all’incidente risalente al febbraio 2012. “Quella di oggi è una svolta profondamente importante che ha una sua storicità” ha affermato il Presidente Casini rivolgendosi all’Ambasciatore Indiano. “’L’ultima volta che sono andato sul territorio indiano è stato a Nuova Delhi per incontrare i nostri maró”, sottolineando così il significato anche simbolico della conferenza. Il Presidente di Fincantieri, Giampiero Massolo si è soffermato sulle specificità dell’India, mettendo in evidenza le straordinarie potenzialità del sub-continente e le criticità, quali, ad esempio, le sfide del quadrante geo-politico del subcontinente indiano, la crescita inclusiva e sostenibile, la minaccia terroristica, che il gigante indiano deve superare perché questo divenga “il secolo indiano”. Massolo ha inoltre affermato: “non credo che il premier Narendra Modi veda il mondo attraverso il prisma dei Brics, ma attraverso quello dell’India”, la più grande democrazia al mondo ma con le sue specificità, un Paese post-industriale senza esser mai stato davvero una potenza industriale”. Anche il Presidente della Commissione Esteri della Camera, Fabrizio Cicchitto, ha sottolineato il fatto che l’India, a differenza di altri BRICS, quali per esempio la Russia sia una “democrazia”, un paese che ha saputo cogliere e trasformare la crisi del 91’ in un’opportunità di crescita e di riposizionamento nel contesto globale, sottolineando come invece all’Italia non sia riuscita una simile operazione in tempi di crisi.
“Con oltre centodiecimila studenti, quattromila professori e quasi altrettanti del personale amministrativo e tecnico, la Sapienza Università di Roma rappresenta una vasta comunità della conoscenza: circa ottomila studenti stranieri sono iscritti regolarmente e più di mille studenti in scambio in entrata e in uscita ogni anno, grazie a diversi programmi di mobilità; il numero dei preselezionati con titolo estero per Lauree magistrali in lingua inglese è in forte aumento e tra questi, gli studenti indiani risultano i più numerosi con 481 candidati preselezionati. Un dato che ritengo significativo e stimolante per lo sviluppo di ulteriori scambi culturali tra Italia ed India, con la convinzione che il nostro Ateneo possa contribuire concretamente all’incremento di tali relazioni” così il Rettore della Sapienza, Prof. Eugenio Gaudio.
Le conclusioni sono andate al Sottosegretario di Stato del Ministero Affari esteri e della Cooperazione internazionale, Senatore Benedetto Della Vedova, “la parola che può descrivere i nostri rapporti per i prossimi anni è opportunità e non solo in termini di crescita delle relazioni economiche. L’Italia ha molto da dare oltre che da ricevere. Il nostro compito è trasformare questa parola in negoziati e accordi. Siamo lieti di iniziare a scrivere un nuovo capitolo di rapporti con l’India mettendo fine a una troppo lunga interruzione”.
I relatori sono stati dunque forieri ciascuno del proprio specifico punto di vista ma accomunati dalla volontà di contribuire alla stesura di un nuovo capitolo nei rapporti con l’India: Italia e India come due pezzi di un puzzle tutto da costruire.
E dunque, in un momento di “ritrovata distensione” nelle relazioni fra Italia e India, l’evento ha di fatto sancito un nuovo inizio nei rapporti fra i due paesi.
Emanuela Scridel, esperta presso la Commissione Europea e docente di strategie internazionali presso diverse università fra cui SDA Bocconi e LUISS, è autrice di numerose pubblicazioni fra cui il volume: “L’India: da paese in via di sviluppo a potenza economica. Strategia di sviluppo e ruolo dei mercati finanziari internazionali”
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