In questo periodo di corsa alla Casa Bianca, mentre gli Stati Uniti si apprestano a scegliere il suo prossimo capo di stato, alcuni immigrati italiani senza cittadinanza americana riflettono sui loro diritti e doveri nell’ambito della società in cui hanno scelto di vivere. Prendendo lo spunto da conversazioni tenute con immigrati che come me risiedono in America ma non hanno la cittadinanza, ho chiesto il parere di sette di essi provenienti da varie parti dell’Italia e residenti in varie parti dell’America. Per integrare il discorso ho interrogato anche due americani cittadini di nascita. Le opinioni che ho raccolto ricoprono una gamma molteplice, dall’accondiscendenza al rammarico alla contestazione; tutte sono interessanti e uniche. Viste nel loro complesso esse rispecchiano il tessuto sociale di due nazioni in cui il dialogo democratico rimane vivace e variato.
Laura De M., insegnante d’italiano proveniente da Torino e residente a San Francisco: “Mi sembra che la situazione si possa descrivere con la frase storica Taxation without representation, tassazione senza rappresentanza, che fu uno dei principi chiave della rivoluzione americana. Infatti i coloni americani erano soggetti alle tasse imposte dalla madrepatria ma non avevano diritto di voto, e questo fu uno dei principali motivi per cui si ribellarono. Quindi secondo me la situazone precedente all’indipendenza americana riflette quella di noi immigrati italiani (e di ogni altro paese) che viviamo in America ma non siamo o non siamo ancora cittadini percio` non godiamo del diritto di voto. Siamo tenuti a versare tasse all’erario Usa ma non abbiamo voce in capitolo nelle scelte che influiscono più di ogni altre sulle nostre condizioni di vita. Non ho comunque una vera risposta, mi limito a fare un’osservazione che mi ricorda una condizione storica precedente in America”.
Sandra F., infermiera proveniente da Catanzaro e residente a Bayonne, New Jersey: “A dire il vero non c’è nessuna nazione che dà agli immigrati senza cittadinanza il diritto di voto. Anzi in Italia ci vogliono minimo dieci anni perché un immigrato ottenga la cittadinanza, mentre in USA bastano cinque anni e in Canada appena tre. Quindi non vedo perché gli Usa dovrebbero essere l’eccezione alle leggi di altre nazioni”.
Luca T., product manager proveniente da L’Aquila e residente nella Silicon Valley: “La questione dei diritti e dei doveri degli immigrati senza cittadinanza va ben oltre l’assenza del diritto di voto. Pochissimi americani sanno che gli immigrati maschi senza cittadinanza dai 18 ai 25 anni hanno l’obbligo di registrarsi per il Selective Service, cioè la chiamata alle armi fatta secondo il sistema della famigerata ‘lotteria’ che venne usata per la guerra del Vietnam. Infatti quando mio figlio maggiore ha compiuto i 18 anni ha dovuto registrarsi per il Selective Service, sotto pena di cinque anni di galera e un’ammenda di $250.000. E’ una situazione davvero anomala di arruolamento forzato, mentre invece in Italia la leva obbligatoria è stata abolita vari anni fa. L’obbligo della registrazione per il Selective Service si estende anche agli immigrati clandestini; mi pare ancora più assurdo aspettarsi che un immigrato clandestino vada a presentarsi in un ufficio di reclutamento”.
Nicola C., commercialista proveniente da Sorano (GR) e residente in Pennsylvania: “Questo del diritto di voto è certo il punto saliente ma non l’unico. Anni fa ricevetti una comparizione per il servizio giuria, e si trattava di un processo penale (non mi hanno chiamato in tribunale a riempire il modulo usato per stabilire i requisiti dei potenziali giurati, mi hanno mandato una lettera). Nella lettera c’era la casella: Are you an American citizen? Ho messo ‘No’, ho rispedito la lettera e sono stato automaticamente squalificato. Non capisco perché secondo la legge americana un immigrato viene ritenuto incapace basicamente di distinguere il bene dal male. Mi sono lureato all’Università di Boston; per poter essere ammessi, io e gli altri studenti stranieri abbiamo dovuto superare con il massimo dei voti un corso obbligatorio sulla storia e il governo degli Stati Uniti, ed è un corso molto approfondito. A volte penso che la storia e il governo degli Stati Uniti li conosco meglio io di tanti americani; eppure non mi è permesso il diritto (che è anche dovere) di far parte di una giuria cioè di esercitare una funzione civica alla base del sistema giuridico di ogni paese democratico. Questa è una cosa che forse mi dà fastidio anche più del diritto di voto”.
Loredana C., studentessa figlia di Nicola: “Per ampliare il discorso, un’altra cosa vietata agli immigrati senza cittadinanza è ottenere borse di studio e posti di lavoro offerti dal governo. In parole povere l’America non si fida di noi in nessuna cosa che riguarda il suo governo. Un cittadino può aver prestato giuramento di fedeltà alla costituzione americana ma ciò non significa che rimarrà fedele alla costituzione. Sappiamo tutti che tanti terroristi diventano cittadini americani attraverso vie completamente legali. Forse le mie critiche sembreranno severe, ma parlo di fatti noti”.
Domenico G., ingegnere proveniente da Albano Laziale e residente a Portland, Oregon: “Penso che si potrebbe concedere il diritto di voto agli immigrati che lavorano in USA per un minimo di due anni di seguito, cioè se danno prova concreta di voler essere membri produttivi della società. Oppure i due anni potrebbero essere di volontariato sociale prestato secondo gli orari di un impiego a tempo pieno; sarebbe anche quella una dimostrazione concreta di voler contribuire in buona fede alla societa`.”
Danilo A., elettricista proveniente da Gorizia e residente a New York: “C’è chi diventa cittadino americano perché é nato in America, e c’é chi lo fa con un matrimonio fasullo. Io e la mia famiglia abitiamo a New York da 32 anni. Non abbiamo preso la cittadinanza e non so se la prenderemo, per motivi su cui non vale la pena di soffermarsi ma motivi ben pensati. Perciò siamo tenuti a pagare tasse sul reddito e sulla proprietà ma non possiamo votare. Uno può nascere in America per puro caso, mentre invece io e la mia famiglia abbiamo preso la decisione voluta di abitare e di lavorare qui. Secondo me una decisione voluta dovrebbe contare più di un puro caso di nascita e senz’altro più di un matrimonio fasullo”.
Jessica W., proprietaria di negozio in Connecticut: “Io e mio marito siamo nati in America. Mio marito è di ascendenti italiani, e ha recentemente ottenuto la cittadinanza italiana jure sanguinis. I nostri due figli minorenni sono così diventati automaticamente cittadini italiani, come prevede la legge del Ministero. Come coniuge di cittadino italiano ho avuto automaticamente il diritto di richiedere la cittadinanza italiana jure matrimonii, e mi è stata concessa dopo tre anni dall’istanza. Non potrei pronunciarmi categoricamente sul fatto di concedere il voto agli immigrati in America. Mi piacerebbe, ma la legge purtroppo stabilisce così. Per noi essere cittadini italiani e poter votare in Italia è una fonte d’orgoglio”.
Andrew D., pensionato dell’Ufficio dello Stato Civile nato e cresciuto in Florida: “Non ci avevo mai pensato, ma in effetti mi sembra una situazione ingiusta. A mio parere chi sceglie l’America come paese adottivo dovrebbe avere diritto al voto dopo un certo lasso di tempo di residenza e di impiego continuati, e ovviamente se ha la fedina penale pulita. Direi un lasso di tempo di cinque anni, da applicare anche se un immigrato decide di non diventare cittadino dopo i cinque anni che bastano per diventarlo. Ma è ovvio che ciò non avverrà mai, specialmente ora che in America si parla di ridurre drasticamente l’immigrazione”.
Come abbiamo visto, le opinioni variano, come variano le prospettive da cui vengono osservati gli aspetti della questione. A prescindere da esse, rimane il fatto che alle prossime elezioni un vastissimo settore della popolazione americana senza cittadinanza, compresi gli immigrati italiani, dovrà affidarsi alla scelta presidenziale fatta dai cittadini ai quali è concesso il diritto di voto. Pochi votanti si rendono conto che quindi votano anche per chi non può farlo. Giusta o ingiusta, è la legge.
Vorrei concludere con una citazione di Luigi Barzini: “Nessuno meglio di un immigrato può dirti tutto ciò che non va nel tuo paese. Gli immigrati sono tabula rasa; non sono cresciuti con i miti che il tuo paese t’inculca. Ci conoscono meglio di quanto noi conosciamo noi stessi, poiché la loro aspettativa è più forte e la loro delusione più acuta”.
Flavia Idà, San Francisco