Prepariamoci a fare l’albero di Natale. Abbiamo cinque mesi di tempo. Vi dico già cosa appenderci: i libri della nostra cultura occidentale. Le palle natalizie salvatele per lanciarle contro i fondamentalisti musulmani, visto che tutti abbiamo creduto di essere Paesi virtuosi risparmiando sulla difesa. Le nostre diplomazie non sono più capaci di mostrare i muscoli, come se i muscoli fossero solo un fatto estetico da non prendere seriamente. Ma senza muscoli non ci si può difendere e Israele l’ha ben capito.
Abbiamo cinque mesi per decidere cosa appendere all’albero con orgoglio. Perché senza quei libri noi non siamo. Dobbiamo mostrarli urbi et orbi: la cultura è la nostra ultima difesa. Anche da noi stessi. Se non vogliamo diventare i somari dei musulmani. Essi sono pronti a cavalcarci: non aspettano altro.
In forme diverse è in atto una guerra mondiale alla cultura, come cosa che inculca dei dubbi e rende deboli. Meglio non pensare proprio e farsi guidare da Allah o dal dio denaro. Ma chi non pensa è già morto, un morto vivente che consuma quello che gli propinano. Iniziano già alla scuola elementare, dove il dibattito è sul cibo vegano o biologico o rispettoso della dieta islamica. Per nutrire la mente non si va invece per il sottile: a tutti lo stesso rancio atto a plasmare e conformare.
Non voglio suggerirvi cosa appendere al vostro albero, dovranno però essere letture di elevato sentire. Alla base i libri più pesanti, nel senso che hanno pesato sulla formazione della nostra individualità: i classici greci e latini, ovviamente. Hanno dato un linguaggio comune a noi europei, ponendo le basi della stessa Europa cristiana che ha saputo lasciare all’ordinamento giuridico statale la regolamentazione della vendetta. Invece oltre i nostri confini, nelle lande dell’ignoranza, vige ancora il fai da te. Accade allora che un capopopolo sollevi la piazza in nome della democrazia. La democrazia è il potere del popolo, non il potere al popolo. Il popolo deve controllare il potere, non essere la leva del potere. E il potere si controlla solo con la cultura, imparata a scuola; altrimenti il popolo è solo uno strumento del dittatore, che però può rivoltarglisi contro. Succede quando il popolo, che guarda al risultato dato dalla politica, si rende conto che qualcosa non va nella gestione quotidiana della cosa pubblica. E comincia ad odiare il politico eletto: è la deriva populista. L’elettore dovrebbe avere la consapevolezza che il politico ignorante gli offre soluzioni semplici, ma la vita è complessa.

Erdogan ha dichiarato: “Io sono stato eletto dal popolo”. Dal popolo bue, che abita l’interno della Turchia, dove le donne coperte di nero dalla testa ai piedi sono solo braccia per lavorare i campi e uteri per sfornare figli. Vogliamo queste donne in Europa? Già le vediamo ciabattare nelle strade delle nostre città, sempre dietro al marito padrone. La Boldrini ha ammesso: “Abbiamo sbagliato a fare accordi con la Turchia sugli emigranti”. Troppo tardi cara signora, dovrebbe vergognarsi e dimettersi. Come dovrebbe vergognarsi la Merkel che ha preteso che elargissimo 3 miliardi di euro ai suoi fratelli turchi. Perché qualche parentela c’è tra il popolo turco e quello tedesco, come il gusto dell’umiliazione dei vinti, basta guardare la foto dei soldati nudi, ammanettati e affastellati come in un lager. Eppure ai nostri presidenti non basta ancora e disquisiscono che non faranno entrare la Turchia in Europa se Erdogan introdurrà la pena di morte. Trump arriva addirittura a profferire: “Gli do credito per esser stato capace di ribaltare la situazione dopo il tentativo di golpe”. E’ l’unico a non aver capito che il presidente turco ha dato la colpa del golpe agli americani. O forse Donald lo sa, ma vuole sfruttare la situazione per fare una nuova America… La nuova Turchia che Recep Tayyip sta apprestando è vecchia di mille anni e davvero questo golpe non è una “benedizione di Allah” ma una benedizione di Dio, perché finalmente ci siamo resi conto di chi è Erdogan.
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