“Le polemiche sulla strada da dedicarle, se sì se no, proseguiranno a lungo. A dieci anni dalla morte non si sono ancora sopite. … Meglio, molto meglio l’epitaffio inciso da Lucia Annunziata: ‘Oriana Fallaci è stata la più grande giornalista italiana e uno dei personaggi che hanno scolpito il secolo che si è appena chiuso. Purtroppo, nessuna di queste due definizioni è oggi condivisa dall’establishment italiano’. E’ proprio così. Gli eretici insinuano il dubbio, maledetti. La consuetudine ci rassicura. E’ l’attaccapanni delle nostre debolezze”.
Queste parole chiudono il libro di Riccardo Nencini Il fuoco dentro. Oriana e Firenze (edito da Mauro Pagliai Editore), ricco di episodi inediti utili a ricomporre il carattere della scrittrice, ma anche a ripercorrere la via crucis di esiliata politica nei suoi ultimi anni di vita.
Riabilitare Oriana gridando ‘eretici’, datele finalmente il giusto riconoscimento che le spetta, sembra essere il vero motivo ispiratore, ma viene posticipato nell’ultima pagina, perché?
Forse perché Nencini (politico, storico, scrittore) conosce bene la sua Firenze, (come aveva detto la stessa Oriana) “Lo si sa, che Firenze è da sempre una matrigna con i suoi figli migliori. E per di più è governata da borghesi mediocri…”.
E non ha certo dimenticato (difatti lo racconta con dovizia di particolari e di nomi) il putiferio scatenato solo per aver proposto in Consiglio Regionale (di cui era Presidente, entrerà poi nel Governo Renzi come viceministro ) di conferire ad Oriana una medaglia per i suoi meriti di giornalista (visti gli accapigliamenti per la concessione del Fiorino d’oro, poi negato). Il “No” della sua città, anche in quell’occasione, si espresse ferocemente, furono raccolte firme addirittura negli Ospedali, ma soprattutto nacque il comitato nenciniripensaci.
Il plotone d’esecuzione fu firmato da nomi noti: Paolo Hendel, Sergio Staino, Pancho Pardi, Enzo Siciliano e Giorgio Van Straten, Dario Nardella (il futuro sindaco), insomma tutto l’arcipelago della sinistra che era stata comunista. Dai 110 iscritti si arrivò in breve tempo ad oltre 2000 adesioni.
Un fronte del No che sembra ancora ostacolare! Eppure i tempi dovrebbero essere maturi: oggi dovrebbe essere tutto più semplice. I morti ammazzati di Parigi (e Bruxelles e ora Nizza), l’avanzata travolgente del Califfato, non hanno forse confermato la sua profezia (dice l’autore) ma reso la sua tesi più accettabile, hanno reso il buonismo a senso unico più fragile, il relativismo inaccettabile. Nessuno infatti ha raccolto firme, o condannato al ‘rogo’, E. Robert Darnton, tra i maggiori studiosi dell’illuminismo, per aver dichiarato: “Dobbiamo tenere in contro i nostri valori, e non lo dico in modo ingenuo, anche usando la forza quando necessaria”, o Gilles Kepel, massimo studioso del radicalismo islamico, il quale sostiene che “L’Isis vuole lo scontro frontale per la conquista dell’Europa”, o ancora Vittorio Messori per il quale: “Lo scambiare il rispetto, il nascondimento della nostra identità religiosa, è visto come una conferma della vergogna che proviamo…”.
Ma non ci troviamo di fronte alle stesse posizioni di Oriana?
Identiche, solo che la giornalista fiorentina ha avuto una colpa, quella di averle anticipate di un decennio, certamente aiutata da uno sguardo strabico sulla realtà (tipico dei veri pensatori, artisti e profeti), da uno studio decennale del mondo islamico e da esperienze sul campo come inviata di guerra.
Una frattura quella con la sua città (e con l’Italia intera) che l’aveva portata già a ritirarsi dalla scena e a stabilirsi a New York, rispettando il silenzio (tornava in Patria in incognito).
“Insieme a mio padre – dirà – avevo scelto l’auto-esilio politico perché ci accorgemmo che vivere gomito a gomito con un’Italia i cui ideali giacevano nella spazzatura, era diventato troppo difficile, doloroso…La mia Italia è seria, intelligente, dignitosa, coraggiosa, opposta a quella di oggi, godereccia, stupida, vigliacca, imbelle, opportunista”.
A farle tornare la voce un fatto di cronaca, apparentemente banale, il 29 giugno del 2000 i somali toscani in segno di protesta piazzano una tenda di fronte al Battistero, trasformando il luogo sacro per eccellenza della città in una latrina. Per settimane i cittadini si offendono, i turisti si sorprendono, la chiesa e i politici tacciono, mentre Oriana comincerà a gridare.
Da questo momento in poi la frattura diventerà insanabile, Oriana brucerà e sentirà la sua città bruciare (Firenze brucia e l’ho perdutamente amata, era un inno alla vita ed io odio la morte. Tutti i miei libri si concludono con il trionfo della vita. Io non ho paura di invecchiare, invecchiando si può sempre dire NO).
Lei che aveva ‘fatto con il padre la Resistenza’, lei che considerava un privilegio essere nata e cresciuta a Firenze, vero cuore pulsante della civiltà occidentale, madre intelligente’ che aveva educato i suoi figli al culto della libertà e della bellezza, capisce che quel fatto è foriero di successive e più gravi profanazioni e insieme si preoccupa per la indifferenza/incoscienza pericolosa delle istituzioni. Anche Firenze è malata, perché ormai incapace di dire No.
La storia violentata, la bellezza violata, rompono il silenzio, senza sconti punta il dito contro la cosiddetta ‘intellighenzia’ che ha sposato un’idea sbagliata di multiculturalismo – tradotto in: fai quello che ti pare. Denuncia e analizza un Occidente a pancia piena che difende saltuariamente e con poca convinzione conquiste sociali e civili, arrendevole e masochista di fronte a un Islam che vuole dominarci.
La frattura sarà violenta, insanabile, soprattutto con la sinistra, prima toscana e poi italiana: unici sostenitori Sartori e Zeffirelli.
Gli aggettivi usati: incosciente, superficiale, estremista, guerrafondaia, sciupamatite, addirittura strega, affibbiati da personaggi come Tiziano Terzani, Dacia Maraini, Dario Fo, Franca Rame, Beppe Grillo, Giulio Andreotti.
Insomma, alla guerra santa dichiarata da Oriana all’Islam corrisponderà una guerra altrettanto santa dichiarata dalla Toscana ad Oriana, da scrittrice di culto di sinistra, proprio dalla sinistra verrà relegata tra i cattivi, tanto che al suo funerale (perché Oriana scelse comunque la sua città per morire), partecipò solo un pugno di amici, le istituzioni cittadine, preoccupate dalla campagna montata contro i suoi ultimi scritti, fecero ben poco per consegnare le spoglie, se non all’immortalità, almeno alla decenza (ricorda l’autore).
Chissà, ci chiediamo dopo la lettura di queste pagine nelle quali i ricordi della donna si mescolano con quelli dell’autore, come se fosse un’unica persona a raccontare, se Firenze è in grado di raccogliere la sfida di Riccardo Nencini, in fondo l’unica colpa di Oriana è stata quella di ‘vivere e morire in piedi’ difendendo il diritto alla libertà e l’orgoglio di essere toscani e insieme italiani.