Il cinema indipendente americano sbarca sulla Croisette e mette a segno due colpi importanti nelle sezioni principali, il Concorso e Un Certain Regarde. Paterson, il nuovo film di Jim Jarmusch, prodotto e distribuito da Amazon Studio, si candida per la Palma d’oro, mentre Captain Fantastic, ben accolto al Sundance a Gennaio, entra in lizza per la vittoria finale di Un Certain Regard. Li abbiamo visti in anteprima e ci siamo fatti un’idea. Iniziamo con Jarmush.
La delicata quotidianità di Paterson
Paterson è una città del New Jersey in cui hanno vissuto i poeti William Carlos Williams e Allen Ginsberg e l’anarchico italiano Gaetano Bresci, ma è anche il nome del protagonista del nuovo film di Jarmusch, ben interpretato da Adam Driver. È un autista di autobus e in pausa pranzo scrive poesie su un quaderno. Lo sguardo del regista lo segue per una settimana dal mattino alla notte, mentre si dirige al lavoro e poi torna, cena ogni sera a tavola con la fidanzata Laura, poi fa due passi per portare fuori il cane, beve una birra, sempre al bancone dello stesso locale, con lo stesso barista, la stessa amica seduta accanto, lo stesso attore depresso seduto un tavolo dietro. Tutti i giorni. La delicata ciclicità della vita di Paterson è l’elemento che rende veramente rivoluzionario il film di Jarmusch, quasi un manifesto del suo cinema, raccontato in levare, fatto di momenti deboli, semplici e comuni. Un minimale ma straordinariamente intenso ritratto della vita quotidiana di un uomo ordinario.
La struttura narrativa è fatta di elementi implosi, che si avvicendano in una ripetizione sicura e protetta dall’abitudine. Non ci sono eccessi, passioni o istinti travolgenti, solo una fortissima tenerezza che nasce proprio dalla mediocrità dell’esistenza di questa coppia, dalla sua rassicurante ripetitività, dal prendersi semplicemente e amorevolmente cura l’uno dell’altra, in una dinamica in cui le pulsioni sessuali sono sublimate e trasformate in affetto.
Il mondo interiore di Paterson è raccontato attraverso le sue poesie, per lo più dedicate all’amata e scritte su un blocchetto di appunti che finirà divorato da Marvin, il british bulldog che accompagna la sua vita e quella di Laura. Un mondo interiore ricco e intenso, commovente per la sua semplicità, che è anche la semplicità di questa storia dimessa, del bianco e nero che ricorre nelle piccole opere d’arte domestiche realizzate da Laura, dalla purezza di sentimenti come l’amore e l’amicizia. Paterson è un piccolo gioiello che raccoglierà sicuramente, e giustamente, diversi riconoscimenti. Amazon non ha ancora fatto sapere tempi e modalità di distribuzione sul territorio americano.
L’utopia regressiva di Captain Fantastic
Lontano dalla città e dalla civiltà, in una foresta sperduta fra le montagne del Nord (la Washington Forest, per esattezza): qui Ben ha deciso di far crescere i suoi cinque figli ignorando il capitalismo (non festeggiano il Natale ma si scambiano regali nel “Noam Chomsky Day”) e le false illusioni della società americana. La madre, che aveva condiviso la scelta, non ha però retto la radicalità della svolta e si trova in ospedale psichiatrico. Quando si suicida, poco dopo l’inizio del film, la scelta del padre viene messa a dura prova: il funerale, il non rispetto delle ultime volontà della moglie e il contatto con la civiltà portano a galla il buono e le contraddizioni del modello controculturale di Ben.
La seconda regia dell’attore Matt Ross, dopo l’intenso 28 Hotel Rooms, approda a Cannes e in Europa dopo aver ottenuto un enorme successo al Sundance e suscita una reazione di grande entusiasmo da parte della Salle Debussy (in cui, spettatori d’eccezione, sono presenti anche Orlando Bloom e Katie Perry). In effetti, il film di Ross, ben scritto, ben diretto, semplice e ruffiano quanto basta, ha un notevole impatto emotivo, grazie anche alle performance eccellente di Mortensen.
Parte con un rito tribale di iniziazione: caccia al cervo e pasto con il cuore ancora caldo, così il primogenito Bodevan (interpretato da George MacKay) celebra il passaggio all’età adulta, mostrandoci come la famiglia, asciugata da qualsiasi sovrastruttura religiosa e ideologica, è, in qualsiasi civiltà, una sorta di piccola, spontanea setta con rituali e codici definiti.
Con questo rito anche il nostro sguardo viene “iniziato” all’utopia regressiva di Ben, per prepararci ad accompagnarlo nel viaggio di formazione che, insieme ai suoi figli, dovrà compiere, alla ricerca di un elemento difficile da assimilare: il compromesso.
Le tappe di questo viaggio sono per lo più situazioni esilaranti che accostano lo stile di vita post-hippie della famiglia al mondo civilizzato cui si trovano mescolati, contrasto accentuato perfettamente dallo splendido lavoro di Courtney Hoffman, abituale collaboratrice di Quentin Tarantino, sui costumi.
Il grande pregio di Captain Fantastic è che, pur procedendo verso un finale commovente e piuttosto prevedibile, riesce a farlo smorzando il sentimentalismo attraverso l’ironia e il sarcasmo e raffreddando la temperatura emotiva attraverso lampi di cinismo con cui il testo porta avanti la sua posizione laica e antireligiosa. Nota di merito per la fotografia di Stephane Fontaine, artefice abituale della bellezza visiva dei film di Jacques Audiard. Sarò nelle sale americane dai primi di luglio.