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Una sede per l’Ossezia del Sud ma per la Farnesina è “sedicente”

Inaugurata una sede a Roma per lo stato riconosciuto diplomaticamente dalla Russia ma non dall'Italia

Tommaso Della LongabyTommaso Della Longa
ossezia-del-sud-bandiera

La banidiera dell'Ossezia del Sud e il tricolore italiano nel balcone della nuova sede ossetina di Roma

Time: 3 mins read

Da sabato 2 aprile, i cittadini dell’Ossezia del Sud e gli amici della Repubblica de facto caucasica avranno “una casa a Roma e in Italia”. Con queste parole il rappresentante per l’Italia del governo ossetino, Mauro Murgia, ha inaugurato la sede a Roma nel quartiere Monteverde. Della storia di questa Repubblica ne avevamo parlato qualche settimana fa sulla Voce: riconosciuta da cinque paesi, tra cui Russia, Venezuela e Nicaragua, ancora oggi l’Ossezia del Sud, come l’Abkhazia, è al centro dei “colloqui di Ginevra” con la Georgia, la Russia, l’Unione europea e gli Stati Uniti.

Dalla guerra del 2008, non sono stati fatti molti passi in avanti: l’Ossezia del Sud è ormai uno stato sovrano, ma la Georgia continua a non riconoscerla e a “fare pressioni” sugli alleati occidentali. “E’ chiaro che l’Ossezia del Sud non vede riconosciuta la sua legittima indipendenza solo perché si trova in mezzo allo scontro geopolitico tra Mosca e Washington”, spiega Murgia. E così anche l’apertura di una rappresentanza in Italia, gesto dichiaratamente unilaterale, ha scatenato l’ira georgiana e un singolare comunicato stampa del Ministero degli Esteri italiano. A 24 ore dall’apertura della sede, la Farnesina ha visto bene di diramare alla stampa una nota in cui si parlava di un “sedicente ufficio di rappresentanza della cd. ‘Repubblica dell’Ossezia del Sud’ a Roma”. “Al riguardo, il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale – si legge nella nota ufficiale – ribadisce la propria consolidata posizione, condivisa dall’Unione Europea e dalla quasi totalità dei Paesi membri delle Nazioni Unite, di non riconoscimento dell’indipendenza e della sovranità dell’Ossezia del Sud […] Quanto al sedicente ufficio di rappresentanza ed al suo eventuale titolare, esso non gode di alcun riconoscimento, né tantomeno di status diplomatico”.

Ora, qui ci sono alcune considerazioni da fare. Come prima cosa, la parola “sedicente” accostata alla Repubblica dell’Ossezia del Sud, alla sede e al rappresentante, sembra trasudare quanto meno un astio forse non propriamente diplomatico che poco si addice a uno Stato riconosciuto, tra gli altri, anche da Russia e Venezuela. “Sedicente” infatti farebbe pensare a uno stato che esiste solo nella mente di qualcuno. Secondo, il voler ribadire che la posizione è condivisa dall’Ue e dalla quasi totalità dei Paesi membri delle Nazioni Unite sembra quasi un voler mettere le mani avanti: della serie, non la riconosciamo perché nessun altro lo fa. Terzo, perché mai arrivare a pubblicare una nota così dura davanti a un atto unilaterale, in una sede privata che non si è mai detta diplomatica o coperta da alcuno status particolare?

ossezia del sud
Mauro Murgia davanti all’entrata della sede dell’Ossezia del Sud a Roma

La questione del riconoscimento internazionale è pura dottrina del diritto, una prassi della Comunità internazionale senza un vero e proprio fondamento giuridico: uno stato esiste se e quando è riconosciuto dagli altri. Accanto a questo ci sono una serie di requisiti sanciti anche dalla Convenzione di Montevideo (1933): uno stato è soggetto di diritto internazionale per il solo fatto di possedere contestualmente una popolazione permanente, un territorio definito, un governo e la capacità di intrattenere rapporti con altri stati. Inoltre, si potrebbero aggiungere lingua, cultura e tradizioni comuni. Sempre nella stessa Convenzione all’articolo 3 viene chiarito che “L’esistenza politica di uno Stato è indipendente dal riconoscimento degli altri Stati”. Detto ciò, l’Ossezia del Sud, come d’altra parte l’Abkhazia, possono essere considerati stati sovrani e tra l’altro sono riconosciuti da due paesi come Russia e Venezuela che evidentemente hanno un peso politico e un valore strategico non da poco. Basterebbe pensare a quanto successo per il Kosovo (che per inciso non è riconosciuto da tutti i paesi dell’Unione europea e che ha una storia legata a doppio filo per secoli alla Serbia) o per l’Autorità Nazionale Palestinese per capire però che il principio di autodeterminazione è accettato dalla cosiddetta Comunità internazionale a corrente alternata e solo se di interesse politicamente.

Detto ciò, il dialogo dovrebbe essere la base della diplomazia. Eppure la Farnesina si è sempre rifiutata di parlare con la rappresentanza italiana dell’Ossezia del Sud. “La sede a Roma servirà come punto di riferimento per le attività culturali e i protocolli di amicizia, fornirà informazioni sulle possibilità di sviluppo economico e finanziario in Ossezia del Sud e darà assistenza per la richiesta dei visti, per turismo e affari. Ovviamente sarà fondamentale anche per continuare a lavorare sul riconoscimento da parte dell’Italia e dell’Ue”, continua Murgia.

Forse invece di mettere nero su bianco una nota così dura, sarebbe stato meglio avere un profilo più basso e continuare a tenere aperti tutti i canali, anche con stati non riconosciuti dall’Italia ma che di fatto esistono sulle carte geografiche. Un po’ perché questo dovrebbe essere il compito della diplomazia, un po’ perché avere canali aperti di collegamento serve sempre: altrimenti a cosa servirebbero i diplomatici?

Post scriptum: la stessa notte dell’inaugurazione la targa è stata sfregiata da anonimi teppisti, fanno sapere dalla Rappresentanza italiana dell’Ossezia del Sud.

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Tommaso Della Longa

Tommaso Della Longa

Giornalista, giramondo, romano e romanista, classe 1980. Scrittura e viaggio sono la mia vita. Per anni freelance in zone di crisi, poi nell’umanitario, prima nella Croce Rossa Italiana e poi in quella Internazionale. Ho tanti posti preferiti, tra cui Gerusalemme, Beirut, il Turkana e Belfast. Porto nel cuore le storie delle persone incontrate, dal Congo alla Siria, fino alle strade italiane. Il sorriso dei migranti, in Serbia come in Iraq o a Lampedusa, mi spinge ad andare avanti cercando di capire, imparare e raccontare sempre la verità, anche se scomoda. Ho denunciato gli abusi “in divisa”, come ho indagato sulle pagine buie degli anni di piombo. Dopo un anno a Beirut, sono tornato a Roma, perché ancora credo si possa costruire qualcosa in Italia. Sono un irriducibile idealista, lo so.

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