Non hai vissuto al 100% New York se non hai partecipato almeno una volta a quell’incredibile fenomeno che è lo Sleep no more. Si tratta di una performance nata in Inghilterra e rappresentata in tante altre città, ma in nessun posto come a New York può avere un senso così profondo e, personalmente, non posso immaginare che inizi e finisca in un luogo diverso dall’intimo baretto dal fascino rétro e clandestino in cui si bevono cocktail all’assenzio ascoltando blues cantato divinamente dal vivo. Ha il fascino di uno speakeasy e molto di più: dà l’idea di tante di quelle intricate stratificazioni culturali da non poter mai essere capito nel suo insieme, ma solo vissuto, in maniera viscerale, proprio come New York.
Ma che cos’è esattamente lo Sleep no more? Sono sicura che se ponete questa domanda a un campione di cento persone che hanno fatto questa esperienza, vi daranno cento risposte diverse, ed è questo veramente il bello. Dal 2011 continua a essere rappresentato al McKittrick Hotel sei sere su sette a settimana, facendo praticamente tutti i giorni il tutto esaurito. Ci sono blog e gruppi su internet di appassionati per cercare di capirne il più possibile e non perdersi niente. Il web è pieno di tips su come affrontare questo spettacolo, ma sinceramente sconsiglio di prepararsi e caldeggio invece l’abbandono totale all’emotività più autentica.
Sulla carta si tratta di uno spettacolo interattivo che si sviluppa su cinque piani (o almeno io ne ho visti cinque, qualcuno meno curioso e fortunato di me ne ha visti di meno e qualcuno più sveglio o fortunato parla di un fantomatico sesto piano) di un albergo perfettamente scenografato, fino ai più minuscoli dettagli. Il bello è che il pubblico è libero di esplorare, sfogliare libri, aprire cassetti, toccare, assaggiare caramelle, scovare passaggi segreti, salire e scendere scale, seguire i personaggi. Ognuno è libero di fare da sé il proprio percorso. Funziona così: al punto di partenza vengono assegnate delle carte, si viene chiamati in base alla carta che si pesca, si indossa una maschera e si sale su un ascensore, poi ognuno viene abbandonato al suo destino. Non si può scegliere a che piano essere lasciati, non si sceglie da dove partire, ma tutto il resto dipende invece dall’iniziativa che ogni spettatore prende. È lo spettatore che costruisce il suo stesso spettacolo, per questo non ce ne sarà mai uno uguale all’altro e, per questo, trovo che sia una meravigliosa metafora della vita. Protetti dalle maschere, gli spettatori si ritrovano come nudi e soli di fronte a paure e emozioni archetipiche rappresentate da attori e ballerini di un’intensità rara.
Ci sono elementi di Macbeth, del film Rebecca di Hitchcock, tantissime suggestioni religiose e riferimenti ad avvenimenti realmente accaduti come la caccia alle streghe di Paisley. Non aspettatevi di trovare un senso o di potervi fare una visione d’insieme perché è impossibile. Il fascino oscuro di questo spettacolo è l’intricata rappresentazione di grandi archetipi e stereotipi fuori dal tempo che fanno parte della storia dell’umanità come di quella di ogni individuo: la passione, la fede, il dolore, la pazzia, la perversione, il tradimento, la paura.
Gli spettatori dello Sleep no more, liberi di abbandonarsi appieno alle emozioni perché protetti dalle maschere, si aggirano avanti e indietro per il McKitrick Hotel in cerca di non si sa cosa, e mentre lo fanno, capitano loro cose che li spaventano o che li rincuorano (dipende un po’ dall’attitudine con cui ci si mette in gioco e dai demoni che ciascuno mette in campo). Non cercate di capire la trama, cercate di capire voi stessi: il modo in cui reagite agli stimoli che troverete è solo vostro, per questo io vi consiglio vivamente di fare questa esperienza da soli. In teoria si viene separati all’entrata, ma ogni tanto si vede qualche coppietta o qualche gruppo di amiche che si muove intimidito, tenendosi per mano. Ognuno gioca come vuole ̶ sì, perché questo è un play nel vero senso della parola ed è anche un raffinato gioco psicologico ̶ ognuno gioca come ritiene, dicevo, ma fidatevi se vi dico che è qualcosa che può regalare molto solo se ci si prende l’impegno di immergersi al 100% anima e corpo, e questo si può fare solo da soli, ascoltando la propria pancia, il proprio intuito, le proprie emozioni profonde. Avrete tempo e modo di raccontare ai vostri amici quello che voi e solo voi avete vissuto e di confrontarlo con quello che loro e solo loro avranno vissuto, quando tutto sarà finito, bevendo un cocktail e sarà fantastico, fidatevi! O almeno per me lo è stato.
Sono felice di aver fatto questa esperienza da sola e allo stesso tempo in compagnia. Soprattutto sono contenta di averla fatta in compagnia della mia amica di una vita: siamo cresciute insieme. Abbiamo frequentato le scuole medie e il liceo insieme, poi abbiamo convissuto durante gli anni dell’università. È venuta a trovarmi durante le vacanze di Pasqua e abbiamo partecipato assieme allo Sleep no more. Lo abbiamo fatto insieme, ma da sole, esattamente come affrontiamo la vita: buttandoci con coraggio in quello che viviamo. Siamo partite insieme, poi ognuna è andata incontro al suo destino, usando le sue risorse e mettendo in gioco le sue energie e ci siamo ritrovate poi in vari momenti dello spettacolo, riconoscendoci tra un’ottantina di altre maschere bianche, grazie a piccoli dettagli come il modo di camminare, un braccialetto o semplicemente perché non c’è maschera che tenga di fronte a un’amicizia vera. Ci siamo riconosciute e abbiamo rispettato l’una il percorso dell’altra, non violando la regola del silenzio. Abbiamo poi fatto un bilancio dell’esperienza, confrontandoci solo all’uscita, davanti a un drink, proprio come nella vita. Entrambe siamo state premiate da un’esperienza unica e incredibile che non capita a tutti: un incontro one on one con uno dei protagonisti, e sono piuttosto convinta che siano stati incontri che hanno in qualche modo a che fare con la nostra personalità o quantomeno con il modo in cui ci siamo messe in gioco.
Non posso permettermi di parlare della sua esperienza e per non spoilerare un momento così importante e raro dello spettacolo non posso neanche sbilanciarmi parlando troppo di quello che è capitato a me, ma posso dire che sono molto contenta di come è andata perché personalmente ho vissuto il trionfo dell’empatia. Ho scelto un personaggio. L’ho proprio scelto, per tanti piccoli dettagli per cui lo trovavo affascinante e l’ho seguito e, quando dico che l’ho seguito, intendo che l’ho rincorso su e giù per le scale, ho sgomitato per restargli vicino e non perdermi in mezzo alla folla degli altri voyeurs, l’ho osservato, ho cercato di capirlo fino in fondo. C’è stato un momento in cui camminavo al suo fianco e avevamo lo stesso ritmo e ho pensato per un attimo: “Ok, mi sto annullando, non sono più io in questo momento. Sono solo questo personaggio”. Penso che sia stato il massimo dell’empatia e, poco dopo, mi ha guardata negli occhi, mi ha teso la mano e mi ha trascinata con sé in una stanza segreta dove mi ha tolto la maschera e mi ha recitato un monologo di un’intensità pazzesca in cui mi parlava della possibilità di rivivere certi ricordi nei sogni. Alla fine mi ha fatto un regalo: il medaglione che vedete nella foto. Me lo ha regalato in modo dolcissimo, dicendomi che mi avrebbe protetta. D’accordo, è tutta fiction e chissà a quante persone regala un medaglione uguale al mio recitando le stesse parole, ma mi è rimasto addosso qualcosa di vero: un’emozione fortissima. Mi è rimasto il senso di speranza che l’empatia possa consentire davvero dei piccoli momenti di emotività profonda senza maschere. È stato uno spettacolo bellissimo, ma non credo che lo rifarò, per quanto ovviamente io non ne abbia visto che una piccola parte. Mi ha già regalato molto.