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Il derby di Roma e il calcio senz’anima del tifo all’americana

Perché le persone non vanno più allo stadio? Due esperti romanisti ci spiegano chi sta uccidendo il tifoso

Fabrizio RostellibyFabrizio Rostelli
derby-roma
Time: 18 mins read

Domenica c’è il derby. A Roma l’attesa e la tensione dei tifosi fino a qualche tempo fa erano talmente alte che questa frase veniva abitualmente pronunciata almeno un paio di settimane prima della data fatidica della partita.

Senza considerare i preparativi per le coreografie delle due curve, spettacoli folkloristici che hanno lasciato a bocca aperta gli appassionati di calcio di tutto il mondo.

Oggi domenica 3 aprile il derby Lazio – Roma si giocherà veramente ma l’atmosfera nella capitale è talmente surreale che si prospetta una partita con poco più di 20mila spettatori (14mila sono gli abbonati biancocelesti).

Un record negativo senza precedenti.
Per la prima volta nella storia della stracittadina romana lo stadio rimarrà praticamente deserto.

Per capire come si è arrivati a questa situazione è necessario fare qualche passo indietro e partire dall’aprile del 2015 quando Franco Gabrielli viene nominato prefetto di Roma dal Governo Renzi. Il 1° novembre 2015, quando la giunta capitolina guidata dal sindaco Marino decade a causa delle dimissioni di 26 consiglieri, Francesco Paolo Tronca viene nominato commissario prefettizio della città di Roma. Nel Giubileo straordinario dei due Papi, il sindaco di Roma viene sostituito di fatto da due prefetti-commissari.
Si potrebbe aprire una parentesi sulla scalata alla poltrona vagante di capo della polizia che sembra interessare ad entrambi i prefetti ma rimaniamo sul tema stadio.

In pieno clima “mafia capitale”, il 31 agosto Gabrielli annuncia: “Il 12 settembre installeremo le barriere rimuovibili nelle curve”, lasciando spiazzati tutti quelli che erano convinti che la priorità dell’amministrazione fosse la lotta alla corruzione. Notizie di fine agosto.

Inevitabile il tam tam tra i tifosi romanisti e laziali; la decisione di dividere il cuore del tifo giallorosso e laziale con un muro è inaccettabile. La classica goccia che fa traboccare il vaso.

Le due tifoserie da inizio campionato non entrano più allo stadio Olimpico per sostenere le proprie squadre.

Ulteriore passo indietro. È necessario tracciare una cornice concettuale e fornire un linguaggio comune per comprendere anche gli aspetti sociali e antropologici della vicenda.

All’inizio degli anni duemila il sipario sul panorama ultras italiano stava già calando e chi, tra gli ultrà, aveva interpretato correttamente e in anticipo le tendenze sociali, aveva provato a rilanciare con l’idea di oltrepassare i confini tradizionali del tifo: “Ci togliete dagli stadi, ci vedrete nelle strade”.

stadio olimpico vuotoContinuare a fare aggregazione al di fuori degli stadi sembrava l’unica evoluzione possibile (i primi tifosi “organizzati”, disposti a seguire in trasferta e ad incitare la propria squadra con regolarità nascono negli anni Sessanta) per uno dei movimenti giovanili europei più dirompenti degli ultimi cinquant’anni.
Una sottocultura, come qualcuno l’ha definita, che non poteva essere limitata da uno spazio fisico e così la battaglia contro il cosiddetto calcio moderno è proseguita.
In realtà con il passare degli anni si è concretizzata solo la prima parte dello slogan anche perché le politiche repressive che negli ultimi 20 anni in Italia hanno colpito il tifo organizzato non lasciavano molti dubbi su quale fosse il destino dell’ultrà. L’estinzione.
Numeri alla mano si può sostenere infatti, che il pubblico delle partite di calcio è in netto calo e il trend negativo continua ad aumentare.

Dal rapporto elaborato nel 2014 dall’Osservatorio nazionale per le manifestazioni sportive si legge:

“Da un’indagine demoscopica della Lega di serie A è emerso che circa 22 milioni di cittadini italiani si dichiarano tifosi di calcio (il 48,5% della popolazione censita). Di questi, il 98% segue il calcio in televisione e solo uno su tre dichiara di essere andato, nel corso della stagione, almeno una volta allo stadio. La prevalenza dello spettatore televisivo rispetto a quello da stadio è confermata dai dati della serie A dell’ultima stagione: circa 9 milioni gli spettatori per le gare di serie A per l’intera stagione, mentre, la media spettatori televisivi, per ogni giornata calcistica, è di 9.200.000. Tale situazione giustifica una percezione della sicurezza negli stadi, spesso distorta rispetto alla realtà. La medesima indagine demoscopica dimostra infatti che il 56% delle persone che si dichiarano tifosi di calcio – il 98% dei quali guarda la partita in tv – riferisce che percepisce lo stadio come luogo insicuro. Tale percentuale si riduce al di sotto del 10% se la medesima domanda è posta ai tifosi che frequentano lo stadio”.

Quello che dovrebbe preoccupare chi ama questo sport è che non sono solo gli ultras a non frequentare più gli stadi (ammesso che questo sia un elemento positivo), anche i tifosi più moderati ormai preferiscono rimanere in casa a vedere la partita in televisione.

Senza addentrarmi in analisi sociologiche – non rientra tra le mie competenze ma qui si può trovare una ricca bibliografia sul tema – è evidente come la percezione dello stadio come luogo pericoloso, dove si può commettere impunemente qualsiasi tipo di reato, oltre ad essere errata, viene smentita dai fatti. All’interno degli stadi non avvengono più episodi di violenza e anche all’esterno degli impianti i “contatti” tra opposte tifoserie sono stati praticamente azzerati, anche perché spesso alla tifoseria in trasferta non è permesso assistere alla partita.

Lo spettro della violenza però si aggira ancora concretizzandosi spesso nelle parole dei media, con un’opinione pubblica sempre ben disposta a scagliarsi contro il folk devil di turno, soprattutto quando si governa agitando lo scettro della paura.

Ma tutto questo i tifosi da stadio lo sanno già, se ne sono rese conto anche le istituzioni.

E allora perché le persone non vanno più allo stadio?

Qui per i risultati di un recente sondaggio sulle cause dell’abbandono dello stadio Olimpico da parte dei tifosi romanisti.

Riprendendo il racconto dall’annuncio del prefetto Gabrielli, proverò a raccontarvi quello che sta accadendo a Roma da alcuni mesi attraverso le parole di due persone che di calcio, di sottocultura ultras e di tifo se ne intendono davvero: l’avvocato Lorenzo Contucci (avvocato penalista esperto in reati da stadio e fondatore del sito www.asromaultras.org che rappresenta un museo virtuale della storia della AS Roma e un punto di riferimento del panorama ultras italiano) e il cronista di Sportpeople Simone Meloni. Entrambi tifosi romanisti.

Secondo Contucci, per spiegare le motivazioni principali della protesta che coinvolge le tifoserie di Roma e Lazio è necessario partire da un dato politico: “Ci sono stati dei cambi ai vertici della questura di Roma che hanno fatto sì che Roma dovesse divenire un progetto pilota in ordine ad un nuovo modello di tifo e di vita allo stadio che se fosse stato realizzato correttamente, sarebbe poi stato esportato in tutta Italia”. Prendendo infatti a pretesto alcuni episodi avvenuti nella precedente stagione sportiva, come il ritrovamento in occasione dell’ultimo derby di un’autovettura con all’interno degli oggetti atti ad offendere e delle bottiglie molotov, ed episodi mai avvenuti, in questo caso mi riferisco agli scavalcamenti di massa (da fuori a dentro lo stadio ndr), si è deciso che era necessario estirpare un intero movimento.
“Di conseguenza – prosegue Contucci –  si è messa in atto allo stadio Olimpico una politica del controllo ossessiva attraverso ad esempio una serie di perquisizioni che includevano ad esempio il fatto di far togliere le scarpe a bambini e anziani, il controllo ripetuto della stessa persona nello spazio di pochi metri, il tutto con un atteggiamento particolarmente aggressivo da parte delle forze dell’ordine. Dopodiché si è proceduto a multare, senza alcun tipo di preavviso, le persone per aver cambiato posto all’interno dello stadio. Questo è avvenuto in occasione della prima partita giocata in casa: Roma – Juventus”.

tifosi ombrelliBisogna considerare inoltre che esiste una norma che consente, alla seconda multa, di diffidare una persona da 1 a 3 anni. Inoltre è stata introdotta una forma ulteriore di controllo all’interno della curva, dove le forze dell’ordine mancavano da diversi anni, che si è concretizzata con delle minacce alle persone più in vista nel caso avessero alzato dei cori o si fossero posizionate sulle balaustre, cioè mantenendo quegli atteggiamenti abituali che permettevano alle persone di fare il tifo. In tutto questo si sono aggiunte le barriere che hanno avuto lo scopo di dividere fisicamente la curva, con l’obiettivo di rendere più controllabili i due diversi settori.

L’avvocato conclude: “Il tifoso che paga per andare allo stadio vuole essere accolto come un cliente normale; nel momento in cui non è più divertente andare a vedere una partita di calcio si è deciso di organizzare una protesta non violenta ad oltranza”. La tifoseria giallorossa aveva provato anche a manifestare il proprio dissenso in maniera pacifica all’esterno dello stadio in occasione di Roma – Sassuolo ma diverse persone sono state ugualmente diffidate, per questo motivo è stato deciso di cambiare strategia.

Chiedo a Meloni se lo diverte ancora andare allo stadio. “Andare allo stadio Olimpico non mi diverte più perché l’ambiente che si respira non ha nulla a che vedere con quello che si dovrebbe respirare e con cui io ho cominciato ad andare allo stadio. Non c’è divertimento in un posto dove vieni trattato come un animale, dove vieni controllato 3,4 volte. Quando spesso la trasferta è vietata alla tifoseria ospite o quando addirittura, come quest’anno a Roma, non c’è nemmeno la tifoseria di casa, andare allo stadio non ha senso. Il calcio esiste grazie alla gente che va allo stadio, grazie al folklore; dirò forse una cosa scontata ma il calcio senza i tifosi, senza le coreografie, senza le trasferte, non ha ragione di esistere”.

Tralasciando chi vede il calcio esclusivamente come uno sport, bisogna specificare che il calcio è uno sport popolare perché esistevano le bandiere, i treni speciali che portavano i tifosi, le trasferte in 5mila per vedere una squadra terzultima in classifica. La gente attraverso il calcio si identificava nel territorio. “Oggi continuo ad andare allo stadio – specifica Meloni – perché non voglio lasciare un buco; è come se stessero stuprando mia sorella e non facessi nulla per reagire. Andare allo stadio in queste condizioni è comunque una cosa innaturale ma mi sentirei disonesto con me stesso se non raccontassi quello che vedo perché purtroppo, di contro, c’è chi lo racconta male distorcendo la realtà. A Roma la cultura dello stadio purtroppo è finita”.

Molti tifosi si sono domandati se la scelta di installare delle barriere nelle curve fosse stata imposta dalle istituzioni oppure se anche l’AS Roma avesse contribuito.

Contucci ritiene che inizialmente ci sia stata anche un’iniziativa da parte della società, in particolare dopo gli episodi relativi agli striscioni di Roma – Napoli e dopo la dichiarazione del presidente Pallotta che ha definito gli ultras romanisti “fucking idiots”. C’è un’intervista in cui Pallotta afferma di volersi sbarazzare di quelle 300/400 persone che danno sostanzialmente fastidio. “Pallotta, vivendo negli USA, non aveva capito però che quando si dà una sorta di mandato alla questura, quest’ultima ‘non si prende solo il dito ma tutto il braccio’ –  sostiene Contucci – secondo me la questura è andata ben oltre il mandato che inizialmente era stato conferito e questo ha fatto sfuggire di mano la situazione. Devo dire che successivamente la Roma si è resa conto che la situazione era degenerata e che c’era una situazione oppressiva che danneggiava non solo i “fucking idiots” ma anche i tifosi cosiddetti normali che frequentavano la curva, avulsi da certe dinamiche. La società ha cercato quindi di correre ai ripari anche perché iniziava ad avere dei danni di immagine ed economici  di una certa importanza: parlo dei diritti televisivi e della non fidelizzazione di chi invece dovrebbe essere maggiormente fidelizzato”.

tifo-romaÈ evidente che dal momento che a Roma si vuole realizzare un progetto pilota si può decidere di farlo a prescindere da qualsiasi situazione si sia verificata. “La cosa ridicola – precisa Contucci – è la giustificazione che è stata data dal prefetto Gabrielli, sostenendo che in curva abitualmente ci sono 12mila persone invece che 8mila. Il primo aspetto paradossale è che se ci sono 12mila spettatori invece che 8mila, queste persone sono entrate da fuori quindi la barriera non risolve il problema del sovraffollamento della curva, magari di una parte della curva. Il problema quindi, stando a questi dati, sarebbe all’esterno: agli accessi, ai tornelli, con gente che magari entra senza biglietto corrompendo gli steward. Il prefetto però aveva parlato espressamente di scavalcamenti; se consideriamo che il tempo di una partita fra accesso e deflusso è di circa 3 ore, facendo un semplice conto aritmetico si arrivava a circa 18 scavalcamenti al minuto dall’esterno all’interno dello stadio, per 3 ore, ininterrottamente. Questa è semplicemente una menzogna. Una situazione del genere non accadeva nemmeno negli anni ’30 o ’40. Questo è stato l’alibi che ha permesso al prefetto Gabrielli di dire ‘serve la barriera’”.

I tifosi hanno lavorato anche dal punto di vista mediatico, è lì infatti che si gioca la partita. È stata lanciata una petizione online finalizzata esclusivamente a far percepire che il movimento che dissente non è ridotto a poche centinaia di persone ma conta diverse migliaia di soggetti. Contucci specifica che “le 12mila firme della petizione bisogna naturalmente rapportarle al numero di tifosi romanisti che frequentano lo stadio e non all’intero numero di tifosi; quindi se ci sono circa 35mila persone che frequentano lo stadio, avere 11/12mila ‘no’ alla barriera significa avere una fetta considerevole di persone che frequentano lo stadio che sono contrarie. È fondamentale affrontare il problema dal punto di vista mediatico poiché il politico vive di immagine e quando vede la sua immagine offuscata interviene sulla parte esecutiva dello Stato e quindi sulla questura”.

Per spiegare cosa voglia dire accedere in uno stadio di calcio con le leggi vigenti Meloni prende come spunto alcuni semplici esempi: “per portare dentro uno stadio un tamburo, un bandierone o uno striscione oggi è necessario chiedere l’autorizzazione alla questura. Questo è quello che ha ucciso il calcio popolare. Si tratta di una burocratizzazione del tifo fatta per disarticolare i gruppi organizzati, che comunque erano quelli che facevano rispettare un codice etico all’interno dello stadio, ma che ha ucciso la passione. In Italia ormai è vietato fare il tifo. Quando devi trovare un escamotage per portare allo stadio una bandiera o uno striscione non violento hai perso in partenza. La cosa poi che più mi dà fastidio e che ancora oggi non digerisco è il fatto che quando entri allo stadio ti chiedano di mostrare il documento. Non esiste un luogo pubblico dove per entrare ti chiedono il documento”.

tifoso solo
C’era una volta il tifoso (foto Ansa)

Spesso si fa riferimento al famoso modello inglese; Meloni da cronista però sottolinea che chi confonde hooligans e ultras fa un errore marchiano “perché quella ultras, con pregi e difetti, è una cultura a tutti gli effetti, quello hooligans era un movimento aggregativo spontaneo ma non una cultura. Nel gruppo ultras ognuno ha il proprio ruolo: c’è chi prepara gli striscioni, chi alza i cori, chi sta in prima linea per fare gli incidenti. Gli hooligans erano legati quasi esclusivamente al fattore incidenti, il tifo era una cosa marginale. Per questo lo stato ha avuto gioco facile nello sconfiggerli”. Non è vero poi secondo il cronista che in Inghilterra abbiano sconfitto la passione per il calcio. Sicuramente hanno modificato il target eliminando la working class soprattutto in Premier League ma resta un forte senso di identità, anche nelle piazze più piccole e una passione verso il calcio che per certi versi invidio. Se non fosse così non si spiegherebbero le storie di club falliti che hanno ricominciato dalla trentesima categoria grazie alla passione popolare dei tifosi che sono persino riusciti a ricostruire lo stadio. “Non mi riferisco allo United of Manchester che è una realtà creata ex novo – continua Meloni – ma a realtà come FC Wimbledon che sono riuscite a ripartire dal basso. In Inghilterra inoltre, accanto alla repressione hanno capito che il tifoso non deve essere trattato solo come un animale o come un semplice cliente. In Italia invece non abbiamo vie di mezzo: o il tifoso può andare allo stadio distruggendo tutto, come poteva accadere 20/30 anni fa, oppure non può nemmeno più esultare cambiando posto”.

È complicato spiegare negli Stati Uniti la passione dei tifosi di calcio italiani.

Contucci non ha dubbi: “Il modo di vivere il calcio per noi tifosi è l’esatto opposto rispetto a come gli americani seguono il basket o il baseball. Per noi, e parlo in prima persona perché mi sento parte di questa comunità, le persone con i cappelli da giullare che guardano il maxischermo e che ‘fanno ciao’ alla telecamera rappresentano il diavolo. Bisogna porsi quindi nella prospettiva di chi vive il calcio come una realtà sociale non come un ammasso di seggiolini numerati che vogliono solo consumare e vedere lo spettacolo che c’è in campo. Lo sport come viene seguito negli Stati Uniti non mi piace molto perché è un grande spettacolo mediatico ma è privo di anima. Il calcio è un movimento nato dal basso e non può essere imposto dall’alto, come vogliono fare in Italia”.

tifoIl movimento ultras è stato oggetto di una dura repressione negli anni e quella attuale forse è l’ultima fase di un passaggio che storicamente era quasi inevitabile. Contucci ricorda che il cambio di rotta a livello di politica repressiva lo si è avuto più o meno nel biennio 1999-2000, man mano si è avuto un continuo inasprimento delle sanzioni. Ora invece ci troviamo in una fase nuova: la sostituzione del pubblico dello stadio anche in virtù dei nuovi impianti che verranno costruiti. Secondo l’avvocato, seguendo un concetto anglosassone si vuole sostituire la fascia più popolare del pubblico, per sostituirla si adottano vari strumenti di lotta: “uno di questi è l’eliminazione fisica dei gruppi organizzati che ancora hanno un certo appeal; c’è infatti ancora chi va allo stadio perché esistono i gruppi organizzati. Questa è la fase ‘sporca’, poi c’è la fase pratica che è quella di costruire dei nuovi stadi e renderli appetibili ad un pubblico sociale differente con l’auspicio che possa riempirli. A quel punto però non ci sarà più un pubblico fidelizzato perché il pubblico che andrebbe in uno stadio nuovo con prezzi elevatissimi non è la famiglia abbonata per tutte le partite ma è una famiglia che partita dopo partita sostituisce l’altra e che considera la partita di calcio come un evento che costa 500 euro…come se andasse a Disneyland. Una volta terminato l’evento la famiglia viene sostituita da un’altra poiché c’è una richiesta talmente grande che consente di avere uno stadio sempre pieno. Nessuno si accorgerà che sono sempre persone diverse. La vera fidelizzazione è far sì che una famiglia di 4 persone possa andare allo stadio dalla prima all’ultima partita della stagione, coppe incluse”.

Secondo Meloni l’obiettivo di sostituire il target di pubblico viene perseguito quasi esclusivamente dai grandi club: “quando osservo il pubblico che assiste alle partite di cartello della Roma ho la sensazione che il 50% non siano tifosi della Roma ma persone che percepiscono la partita come uno spettacolo, è come se andassero a teatro. Chiaramente per come ragionano i grandi club adesso tutto questo è conveniente perché la persona che viene occasionalmente porta i soldi, se la squadra va male non contesta, quindi meglio di così”.

Un modello di questo tipo potrà funzionare anche a Roma, che non è abituata a palcoscenici vincenti al contrario di Milan, Inter e Juventus? “Magari la Roma potrà avere un periodo di vittorie – commenta Meloni –  ma per come è il calcio in Italia, molto legato a dinamiche geopolitiche, è difficile che la Roma stia sul primo gradino del podio per 20/30 anni. La mentalità del tifoso l’hanno comunque già modificata, non ci sono state proteste di massa ad esempio per il caro biglietti o per il cambio dello stemma”.

romanisti
Tifosi romanisti prima di un derby contro la Lazio dell’anno scorso (Foto Tiziana Fabi, AFP)

Approfitto dell’esperienza professionale dell’avvocato Contucci per chiedergli una definizione chiara di cosa sia la diffida e se ci siano dei provvedimenti simili per altri reati. La diffida consiste nel divieto di accedere ai luoghi dove si svolgono le manifestazioni sportive di qualunque sport. Può essere accompagnata da un obbligo di firma e ha una durata che va da 1 a 5 anni, se si è recidivi va da 5 a 8 anni con l’obbligo di firma. La particolarità della diffida è che viene emessa direttamente dal questore, quindi da un’autorità di polizia. In Inghilterra invece è il giudice che applica il provvedimento; da un lato ci sono diffide date dal club quale proprietario dello stadio, le diffide giudiziarie invece vengono emesse da un giudice che dovrebbe essere terzo, o quantomeno più neutro rispetto al questore. Contucci afferma che “il problema principale delle diffide in Italia è questo; se fosse un giudice a dover emettere delle diffide molte non verrebbero mai emesse. Qual è la particolarità? Per qualunque altra misura di prevenzione, ad esempio la sorveglianza speciale che si dà al mafioso o a una persona pericolosa nella vita di tutti i giorni, il questore può proporre al tribunale di dare la sorveglianza speciale. Nel contraddittorio delle parti si sente l’avvocato e il pubblico ministero e poi il tribunale decide se emettere o meno una misura di prevenzione”.

Per lo stadio tutto questo non esiste, è il questore che emette direttamente la sanzione, che inizialmente era di un anno e quindi relativamente sostenibile, adesso che arriva fino ad 8 anni incide sui diritti soggettivi perché una persona che subisce un DASPO può avere dei problemi sul lavoro: non può lavorare negli aeroporti e non può partecipare ad un bando pubblico ad esempio; ha dei fastidi nella vita personale che vanno ben al di là del fatto di non andare allo stadio. A questo si aggiunge che la violazione del DASPO è punita con una pena che è superiore a quella dell’evasione dal carcere. “In tribunale spesso faccio questo esempio: se Totò Riina segasse le sbarre ed evadesse di prigione dovrebbe scontare una pena che va da 1 a 3 anni di reclusione, mentre se un soggetto diffidato non mettesse una delle 3 firme che deve mettere durante le partite della squadra del cuore, sarebbe condannato ad una pena da 1 a 3 anni di reclusione, ad una multa che va dai 10mila ai 40mila euro e ad un ulteriore DASPO da 2 a 8 anni con obbligo di firma. Questo fa capire lo squilibrio che c’è e la totale follia in merito alla gestione dell’ordine pubblico negli stadi”.

Recentemente è stato proposto un DASPO per le manifestazioni di piazza, si augura un’implementazione del DASPO per renderlo estendibile anche ad altre categorie di persone. Il Governo Renzi ha esteso la possibilità di dare il DASPO anche se un soggetto tiene un comportamento che esula dalla manifestazione sportiva, come è accaduto ai livornesi per la manifestazione anti-Salvini o a Casapound nella manifestazione contro il centro di accoglienza a Roma nord. “In questi casi – commenta Contucci – sono stati emessi dei provvedimenti di DASPO perché si vuole sostanzialmente criminalizzare il dissenso e quindi impedire che una persona portatore di un interesse politico possa frequentare uno stadio perché c’è il rischio che possa magari esporre uno striscione sconveniente”.

bambino perquisito
Un bambino perquisito nei pressi dello stadio Olimpico

In Italia ci sono circa 5.000 diffidati. A Roma, compresi anche i tifosi laziali, ci sono circa 400/500 diffidati.

Contucci poi aggiunge: “Poiché il Ministero dell’Interno deve mantenere un certo trend, lo dico per esperienza professionale, mentre prima venivano puniti i soggetti realmente pericolosi che commettevano atti di violenza, ora mi capita il ragazzo che ha acceso il fumogeno, il signore che ha scavalcato e non conosceva la norma, il peruviano che entra in campo perché ubriaco. Questo però consente al Ministro dell’Interno di dire abbiamo diffidato 400/500 persone e la gente crede che siano i soggetti pericolosi ma in realtà non è così”.

Parlando di calo degli spettatori è necessario precisare che prima dell’arrivo di Gabrielli, Roma aveva subito lo stesso calo di spettatori che avevano subito altri grandi piazze italiane. Il calo di pubblico, dovuto in parte dall’avvento delle pay-tv, inizia più o meno negli anni duemila e aumenta in modo particolare nel 2005 con il decreto Pisanu quando i biglietti non si potevano più comprare fuori lo stadio e sono stati installati i tornelli. “Credo che questo sia stato un fattore determinante – sostiene Meloni – perché tutti siamo stati abituati fin da bambini ad andare allo stadio facendo i biglietti la mattina stessa della partita. Dal punto di vista mediatico è stato poi fatto un lavoro oculato per allontanare la gente dallo stadio facendo in modo che fosse identificato il luogo dove avvenivano le violenze. Gli incidenti all’interno e all’esterno degli stadi erano molto più numerosi negli anni ’80 e ’90 quando gli stadi erano pieni tutte le domeniche. Ad esempio sabato scorso ero ad Avellino, in occasione di Avellino – Crotone, e persone che seguono l’Avellino da molti anni mi raccontavano che nel 1983, quando la Roma vinse il suo secondo scudetto, i pullman dei giallorossi furono portati in aperta campagna dove avvennero dei tafferugli e la maggior parte dei romanisti non arrivò nemmeno allo stadio. Questo succedeva spesso negli stadi italiani, adesso è impensabile”.

Non faceva nemmeno notizia.

Meloni: “È vero, non faceva notizia. Dobbiamo considerare però che lo stadio è un laboratorio sociale e ad un certo punto ha fatto comodo puntare il dito su questi episodi per giustificare le politiche repressive che sono state messe in atto. Il biglietto nominativo è un altro elemento che ha disincentivato le persone ad andare allo stadio”.

Meloni mi racconta che il motivo per cui segue ancora il calcio è perché esistono le serie minori. “Quando ti cali in piccole realtà hai ancora delle storie da raccontare. La scorsa settimana ad esempio sono stato a Padova, allo stadio Appiani, e ho intervistato il vecchio custode che mi ha raccontato quando salirono dalla serie B alla serie A. Se vai in campi più piccoli respiri ancora il calcio, se il tifoso fosse libero di esprimersi sarebbe sempre genuino. In Italia c’è una cultura di attaccamento al territorio che abbiamo rispecchiato nello sport; può essere considerata anche la nostra ‘croce e delizia’, perché se il nostro è un Paese arretrato è anche perché spesso pensiamo di vivere all’epoca dei Comuni, ma il campanilismo è l’espressione massima dell’italiano”.

Almeno nelle serie minori c’è ancora la possibilità di dire no al calcio moderno?

La situazione è ovviamente diversa perché queste tifoserie sono al di fuori dei riflettori. Le modalità comportamentali sono ancora lontane da quelle che le tifoserie di serie A hanno dovuto adottare per cercare di non morire troppo presto.

“C’è da dire – precisa Contucci – che in alcune realtà la repressione ha colpito duramente anche in Lega pro e in campi minori. Ci sono poi alcune realtà che sono praticamente scomparse dal panorama ultras o sono estremamente rarefatte, principalmente al nord. Nel sud Italia invece tifoserie come quella della cavese, che sono state falcidiate dalle diffide, ancora resistono e sono una realtà perché probabilmente hanno meno strumenti di realizzazione sociale e fanno dell’appartenenza al gruppo qualcosa che va oltre il fatto di andare semplicemente allo stadio e questo gli consente di dire che sono ancora vivi e che non sono stati schiacciati”.

Un’ultima domanda per entrambi. Roma è candidata ad ospitare le future Olimpiadi. Le recenti dichiarazioni di Gabrielli sembrano far intuire un passo indietro rispetto alla sua presa di posizione sulle barriere. Come credete finirà la protesta a Roma?

tifosi giallorossiContucci: “Nel momento in cui c’è una situazione simile allo stadio Olimpico ne risente anche l’organizzazione delle Olimpiadi, per organizzare un evento di questa portata c’è bisogno di una forma di pace sociale e che le cose funzionino. Per questo forse in prefettura e in questura ci si è resi conto degli errori che sono stati commessi e si cerca di rivederli. Spesso creano un problema per poi risolverlo, purtroppo è un’attività che ho visto fare spesso sia dalla prefettura che dalla questura sempre dietro la scusa dell’ordine pubblico. Credo sia genuino il fatto di voler eliminare le barriere perché gli hanno portato più svantaggi che vantaggi a livello mediatico. Ovviamente affinché non sia una sconfitta politica è necessario che il tutto avvenga in modo da consentire a chi le ha introdotte di poter salvare la faccia. Se venissero tolte da un momento all’altro senza che sia cambiato nulla ciò rappresenterebbe una sconfitta politica che potrebbe essere ancora peggiore sotto questo profilo”.

Meloni: “A Roma le istituzioni hanno capito di aver commesso un grave errore e non si immaginavano una reazione del genere. Il tifoso è stato indispettito e ha reagito. Il problema è riuscire a mantenere questa linea, tenendo presente il fatto che progressivamente, in modo inevitabile, chi rimane fuori sarà sostituito da altre persone. Potranno anche togliere le barriere nelle curve ma il problema generale persiste. Sono convinto che prima o poi i gruppi di Roma e Lazio rientreranno allo stadio ma secondo le condizioni che sono state imposte loro, togliamoci dalla testa che si rientrerà allo stadio come vorrebbero i tifosi. Non sarà così. La cosa più triste è che perderemo le prossime generazioni di tifosi. Chi nei prossimi anni tiferà per le squadre della serie A sarà un tifoso preconfezionato”.

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VNY Media La Voce di New York © 2016 / 2025 — La testata fruisce dei contributi diretti editoria d.lgs. 70/2017
Main Office: 230 Park Avenue, 21floor, New York, NY 10169 | Editorial Office/Redazione: UN Secretariat Building, International Press Corps S-301, New York, NY 10017 | 112 East 71, Street Suite 1A, New York, NY 10021

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