Il quartiere scomparso è il South End di Albany. È accaduto nel 1962, e non è semplicemente accaduto bensì è stato voluto e attuato dall’allora governatore dello Stato di New York, Nelson A. Rockefeller, in seguito appoggiato anche dallo storico sindaco di Albany Erastus Corning (in cambio pare di una qualche, chiamiamola così, agevolazione economica…). Questa la storia raccontata in The Neighborhood that Disappeared, documentario di Mary Paley.
Il governatore Rockefeller ha messo in atto una delle più atroci catastrofi architettoniche e soprattutto sociali nella storia dello stato. In un attimo ha raso al suolo un intero quartiere: case, negozi, ristoranti, chiese, scuole, strade, tutto. Un quartiere di immigrati, in gran parte italiani ma anche irlandesi, tedeschi, libanesi, ebrei, un melting pot molto simile, seppur in scala diversa, a quello che era il Lower East Side di New York. Sono stati demoliti oltre 1.000 edifici, chiusi e distrutti oltre 350 esercizi commerciali, sfrattate 3.600 famiglie, quasi l’8 per cento della popolazione di Albany: nello specifico una popolazione multietnica che quelle strade e quei palazzi li aveva costruiti con le proprie mani, così come quei negozi e quei caffè dove la gente lavorava, andava a fare la spesa, si trovava a chiacchierare. Quasi da un giorno all’altro quell’8% della popolazione è stato mandato via dalle proprie case e disperso altrove, pochi soldi in cambio. Un piano messo in atto senza chiedere alcuna consulenza, senza avviare alcuno studio, senza chiedere alcun permesso. Chi non accettava il denaro e se ne andava, poteva restare e vedere la propria casa abbattuta dalle ruspe, è successo. L’eminent domain procedure law lo permetteva. Mary Paley e John Romeo, attraverso bellissime immagini d’archivio e numerose interviste, ci raccontano un mondo che non esiste più: “Nel mio documentario voglio rievocare quel mondo – spiega Mary Paley – perché le voci di tutte quelle persone sono rimaste inascoltate”. Oltre 9.500 persone. Racconta uno dei tanti italoamericani intervistati, quelli arrivati veramente ad Albany con la valigia di cartone, o quelli nati da padri arrivati a loro volta con la valigia di cartone: “All the little people, contadini, negozianti, sono stati completamente obliterati”. L’espressione che usa effucacemente descrive quel che è successo, come ben raccontano le immagini del documentario, per far spazio al’imponente Empire State Plaza, una gelida mostruosità di marmo, piani di uffici, corridoi, sale riunioni, uffici del governo dove la gente oggi si avvicina solo se deve, o se ci deve andare a lavorare. Un enorme complesso che non ha senso, non ha cuore, non ha niente a che vedere con la città e tanto meno con la sua storia e con la gente che qui ci viveva.
Tante le storie raccolte da Mary Paley e John Romeo, storie di muratori che costruivano strade e case a regola d’arte, non solo e non tanto perché era il loro quartiere ma per l’orgoglio di un lavoro fatto bene, storie di pane fatto in casa e regalato ai vicini che quel mese facevano fatica a tirare avanti, storie di bottegai che facevano credito senza chiedere nulla, storie di profumo di salsa di pomodoro che si spargeva nell’aria la domenica mattina dopo la messa, chiacchiere sulle scale davanti casa nelle sere d’estate, la “stoop culture”, la stessa che c’era a New York, la stessa che c’era da noi in Italia (pur senza stoop), che allora significava amicizia, intrattenimento, educazione controllo sociale anche, su quelle scale davanti casa si viveva.
Case di fine Ottocento, d’inizio Novecento, non è rimasto più nulla. Niente di nuovo forse, in un paese abituato a distruggere e ricostruire, e che riflette poco sul passato perché il suo passato è troppo breve, questo si intravede da queste immagini. Forse ora sul passato ci si riflette di più, forse. Ma è sempre troppo tardi, per questo quartiere di Albany sicuramente non c’è stato scampo. Nelson Rockefeller è andato avanti a suon di bugie, mentiva sapendo di mentire (vi ricorda qualcuno?), arrivò ad affermare in diverse occasioni che il quartiere era uno slum degradato, dove la gente viveva tra sporcizia e malattie, il quartiere con la più alta mortalità infantile d’America. Questo diceva, il governatore Rockefeller, alle convention politiche, ai suoi amici costruttori, persino alle teste coronate europee in visita.
Tutto falso, gente comune e studiosi si sono messi a fare ricerche, statistiche, non era vero, ma non aveva importanza, il piano era in atto e sarebbe stato attuato a qualunque costo. E così è stato. “Nell’aria in quei giorni, in quei mesi, non si sentiva più il profumo della salsa di pomodoro – ricordano alcuni degli intervistati – ma l’odore dei mattoni frantumati dalle ruspe”. E insieme agli edifici scomparirono anche le persone, “sparse ovunque, un intero quartiere disintegrato”. The Neighborhood that Disappeared si chiude con un’interminabile lista di negozi, ristoranti, bar, associazioni, esercizi commerciali di ogni genere persi per sempre, suddivisi strada per strada, nomi di strade che non esistono più, e con loro “i nonni, le madri e i padri, i figli che non potranno mai più tornare a casa.”
Il documentario The Neighborhood that Disappeared, in programma al Socially Relevant Film Festival NY, viene presentato al Bow Tie Chelsea Cinemas venerdì 18 marzo 2016 alle 6pm.
Guarda il trailer di The Neighborhood that Disappeared: