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February 17, 2016
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Sophisticated comedy: New York città prediletta

Tantissimi i luoghi simbolo del romanticismo cinematografico newyorchese

Chiara BarbobyChiara Barbo
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Una scena di King Kong di Peter Jackson (2005)

Time: 5 mins read

Nel 1957 Deborah Kerr e Cary Grant si davano appuntamento sulla terrazza al 102° piano dell’Empire State Building nell’indimenticabile film di Leo McCarey An Affair to Remember (Un amore splendido). Nel 1993, sempre sulla stessa terrazza, si davano appuntamento Tom Hanks e Meg Ryan in Sleepless in Seattle (Insonnia d’amore) di Nora Ephron, signora della commedia romantica newyorchese. Entrambi i film sono diventati, ciascuno a suo modo, film cult nell’immaginario romantico del pubblico di tutto il mondo, contribuendo a far diventare New York città prediletta dalla sophisticated comedy.

Non tutti sanno però che McCarey con Un amore splendido rifaceva in verità il suo film del 1939 Love Affair (Un grande amore, candidato all’Oscar come miglior film), a metà tra la commedia romantica e il musical, in cui Charles Boyer e Irene Dunne si davano appuntamento su quella terrazza, “il posto più vicino al paradiso”, per citare le loro parole, e Glenn Gordon Caron (noto soprattutto per le sue regie televisive, da Fame – Saranno famosi a Moonlighting a Medium) nel 1994 dirigeva a sua volta il remake di Un amore splendido, Love Affair – Un grande amore, dove sull’Empire State Building a incontrarsi sono Warren Beatty e Annette Benning, da poco sposati anche nella realtà (il film vede anche l’ultima interpretazione di Katherine Hepburn). E a onor del vero, persino King Kong a modo suo, nel film di Cooper e Schoedsack del 1933, celebrava romanticamente l’Empire, arrampicandovici sopra portando con sé la bella Fay Wray, come anche nel remake del 1976 (la bella qui era Jessica Lange) e in quello diretto da Peter Jackson nel 2005 (questa volta toccava a Naomi Watts).

Oggi temo che nessuno si dia più appuntamento in cima all’Empire State Building, non fosse altro che per l’esosità del biglietto d’ingresso e le interminabili file agli ascensori (ma se qualcuno di recente lo ha fatto, vi prego, fatemelo sapere!). Eppure l’elegante grattacielo art déco rimane uno dei luoghi simbolo del romanticismo cinematografico newyorchese.

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Meg Ryan e Billy Crystal in Harry ti presento Sally

Ma non è il solo. Central Park, in tutte le stagioni, tra viali alberati, panchine, ponticelli, fontane, carrozze trainate da cavalli, laghetti più o meno ghiacciati, da sempre fa da sfondo a commedie romantiche come When Harry Met Sally (Harry ti presento Sally), Arthur (Arturo), The Way We Were (Come eravamo), Serendipity, Maid in Mahattan (Un amore a 5 stelle), The Devil Wears Prada (Il diavolo veste Prada), alle alleniane commedie d’amore Hannah and Her Sisters (Hannah e le sue sorelle), Manhattan e Mighty Aphrodite (La dea dell’amore), ma anche a inquietanti film d’amore senza tempo come Portrait of Jennie (Il ritratto di Jennie) e drammi strappalacrime fra cui Love Story, Kramer vs Kramer (Kramer contro Kramer) e Autumn in New York. Destino segnato sin dalle origini, quello del parco più grande e famoso di New York, in quanto il primo ciak battuto a Central Park è stato nel 1908 per una scena del cortometraggio dei Vitagraph Studios Romeo and Juliet, non esattamente una commedia, ma decisamente una storia d’amore. Tante anche le romantic comedies in formato serie TV che hanno girato alcuni episodi a Central Park, prima fra tutte Sex and the City, seguita in anni più recenti da Gossip Girl.

Con San Valentino appena passato (uno dei più grandi business in città, come testimoniano felici i ristoratori newyorchesi), ricordiamo che Manhattan è disseminata di luoghi che hanno visto nascere (o finire) sullo schermo una serie interminabile di amori in chiave comedy: The Seven Year Itch (Quando la moglie è in vacanza), Barefoot in the Park (A piedi nudi nel parco), You’ve Got Mail (C’è posta per te), Moonstruck (Stregata dalla luna), Splash (Splash – Una sirena a Manhattan), Sidewalks of New York (I marciapiedi di New York), Two Weeks Notice (Due settimane per innamorarsi), Down With Love (Abbasso l’amore), e tre film confezionati su misura solo nel 2009, ma senza il successo sperato: A New York Thing, commedia romantica indie girata dal francese Olivier Lécot (che però non ha visto quasi nessuno); I Hate Valentine’s Day (5 appuntamenti per farla innamorare), scritto, diretto e interpretato da Nia Vardalos sulla lunga scia del successo di My Big Fat Greek Wedding (Il mio grasso grosso matrimonio greco); e New York I Love You, film collettivo pensato apposta per celebrare la Grande Mela come città romantica per eccellenza: una serie di episodi diretti ciascuno da un regista diverso e ambientati in diversi quartieri dei cinque borroughs, che vedono recitare praticamente tutti da Bradley Cooper a Natalie Portman, Orlando Bloom, Robin Wright Penn, Ethan Hawke, James Caan, Christina Ricci e tanti altri.

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Audery Hepburn in una scena di Colazione da Tiffany

La lista è ancora lunga, ma c’è un film che rimane nel cuore di tutti, commedia sofisticata per eccellenza, capolavoro assoluto della commedia romantica d’autore che ha immortalato la città nell’immaginario romantico di almeno tre generazioni rendendo Audery Hepburn un’icona: Breakfast at Tiffany’s (Colazione da Tiffany) di Blake Edwards. Tutti hanno visto, magari per caso, almeno una scena del film, tutti hanno sentito, almeno una volta, Moon River (canzone che i produttori volevano togliere dal film una volta visto e sentito il premontato, e sembra che la Hepburn abbia esclamato: solo sul mio cadavere!), tutti hanno visto le immagini di Holly Golightly riflessa nelle vetrine di Tiffany o mentre chiama il taxi con un fischio sotto al suo meraviglioso cappello nero, molti ricordano che nei panni dell’innamorato Paul Varjak c’era George Peppard, scelto al posto di Steve McQueen impegnato in un altro film, qualcuno forse riconosceva un Mickey Rooney irriconoscibile nel ruolo comico (e in anni recenti molto contestato perché politicamente scorretto) del vicino di casa Mr Yunioshi, alcuni (speriamo) forse sanno che il film è tratto da un romanzo di Truman Capote, scontento del film troppo annacquato e convenzionale rispetto allo spirito del libro e contrarissimo alla scelta della Hepburn come interprete in quanto avrebbe voluto a tutti i costi Marilyn Monroe (aveva scritto il personaggio proprio pensando a lei). Ma la Monroe, che si trovava nei suoi anni newyorchesi in cerca di uno spessore maggiore da dare alla sua carriera e anche di uno stile di vita più appartato e pensoso, consigliata da Strasberg rifiutò quel ruolo troppo frivolo per accettare invece quello di Roslyn Taber in The Misfits (Gli spostati), bellissimo film, ma indubbiamente meno iconico, scritto da Artur Miller (all’epoca sua marito) e diretto da John Huston.

Dietro le quinte e curiosità a parte, Colazione da Tiffany, pur essendo ancora in epoca studios, venne girato in buona parte in interni, ma in parte anche nelle strade di New York: Tiffany mise a disposizione il negozio (e venti addetti alla sicurezza!) per le riprese del film una domenica mattina, ma anche altri luoghi fecero da set al film: Central Park (Conservatory Water e Bandshell), la New York Public Library, il numero 169 della East 71st Street, scelto come esterno dell’appartamento di Holly, e poi alcuni tratti di 5th Avenue e Park Avenue. C’è la quintessenza dell’Upper East Side nei lievi anni della sophisticated comedy, che lasciavano qui pian piano gli studios dell’età d’oro di Hollywood per affacciarsi sulle strade e girare on location. C’è il meglio della New York cinematografica nell’eleganza minuta (firmata Givenchy) di Audrey Hepburn, nella colonna sonora di Henry Mancini, nella scrittura sofisticata di Capote e di George Axelrod (newyorchesissimo autore della sceneggiatura, che aveva firmato anche lo script di Quando la moglie è in vacanza, girato da Billy Wilder qualche anno prima a pochi isolati da Tiffany). Sebbene le location reali non siano molte, c’è tutta New York nella Colazione da Tiffany del maestro Blake Edwards.

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Chiara Barbo

Chiara Barbo

Scrivere di cinema o scrivere il cinema? Possibilmente tutti e due. Dalla critica cinematografica alla sceneggiatura passando per la produzione, al di qua e al di là dell'oceano, collaboro con La VOCE di New York e con Vivilcinema, con la Pilgrim Film e con Plan 9 Projects. E anche con altri. Ma per lo più penso, immagino, ricerco, scrivo, organizzo in modalità freelance. Insieme a tanti altri, faccio parte della giuria del David di Donatello. New York è stata una scelta. New York è intensa, vitale, profonda e leggera, pacchiana e intellettuale, libera, creativa, è difficile, è bellissima, ed è la città più cinematografica del mondo.

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