C’è amore e amore. Lottano gli “erotes” nei nostri animi. Un “amorino” spinge e l’altro si oppone. Talvolta vince quello sensuale, talaltra quello celeste. Fino a che abbiamo vita. Deidamia supplica in ginocchio l’amato sposo Achille di non lasciarla, di non partire per amore della guerra. Achille non tornerà da Troia ma cambierà le sorti di greci e troiani. Quando si parte per sempre, si porta tuttavia nel cuore la speranza del ritorno. Per rivedere ancora una volta chi si è amato. Lo testimoniano le pietre della romana Aquileia, fondata nel 181 a.C.
“Qui giace il forestiero Restituto… Era venuto dall’Africa per vedere questa città. Da qui desiderava tornare là dove era nato, ciò tanto fu più crudele, in quanto non poté rivedere nessuno dei suoi. Qui però aveva trovato molto di più che non nei suoi propri genitori. Ormai non era più forestiero come era venuto, così da essere considerato come uno di loro”. Successe intorno alla fine del IV secolo d. C. ad un africano emigrato ad Aquileia, secondo quanto inciso in latino su una lastra di marmo trovata tra i resti di Aquileia, cittadina del Friuli Venezia Giulia che fu la nona città per importanza dell’immenso impero romano, ma che oggi conta soltanto poco più di tremila abitanti.
La traduzione sgrammaticata, che promuove a grandi caratteri la mostra dei tesori del museo del Bardo di Tunisi nel museo archeologico locale (visibile fino a fine febbraio), attesta quanto male si studino ora a scuola latino ed italiano. Eppure nel magnifico museo è esposto il prezzario degli stipendi di insegnanti, militari, impresari, artigiani, commercianti dal quale si rileva che erano gli insegnanti ad essere quelli pagati più profumatamente. Perché l’impero romano sapeva bene che la civiltà si afferma con la cultura, non con barbare azioni belliche o bancarie.
Dal museo di Tunisi, insanguinato dai terroristi il 18 marzo 2015, a dicembre sono arrivati otto reperti romani che raccontano dei rapporti commerciali che già allora intercorrevano tra le sponde del Mediterraneo e dell’alto Adriatico, dove sempre cives romani si era.
La mostra si chiama Il Bardo ad Aquileia e sarà visitabile fino al 28 febbraio 2016.
Il signor Restituto era di certo emigrato al nord perché si guadagnava meglio, considerato che anche allora i trasferimenti in Africa non erano molto frequenti. Ma ormai erano passati secoli, quasi un millennio, dalle grandi migrazioni che avevano sconvolto il tessuto sociale e politico del Mediterraneo. Così questo mare era diventato una sorta di autostrada navigabile dell’impero. Tant’è che a Tunisi era finita la bella testa di marmo di Lucio Vero, fratello adottivo dell’imperatore Marco Aurelio, con il quale aveva regnato dal 161 al 169 d.C., morendo proprio ad Aquileia al ritorno da una campagna contro i Marcomanni e i Quadri, popolazioni germaniche della Moravia. Gli altri reperti tunisini, come una piccola statua di Giove con cornucopia, una stele funeraria e dei mosaici, sono piuttosto modesti in confronto ai reperti aquileiensi. Ma, si sa, noi italiani siamo esterofili e probabilmente io non sarei mai andata a visitare un museo così vicino a casa se non avesse esposto pezzi provenienti dalla provincia d’Africa, istituita alla fine della terza guerra punica, nel 146 a.C., e rimasta nell’orbita dell’impero sino all’arrivo dei Vandali a metà del V secolo d.C.
Ammirando le statue, si apprende che Aquileia celebrava il navarca Tito Statilio Tauro, vincitore dei pirati dalmati; Gneo Domizio Enobarbo, antenato di Nerone e dominatore del mare Adriatico tra il 44 e il 42 a.C.; l’eroe tracio Diomede che aveva portato il cavallo; gli imperatori Augusto e Claudio. Gli aquileiensi onoravano la dea alata Feronia che curava il risanamento dei terreni, qui appunto paludosi, presiedendo al collegio degli Aquatores Feronienses, ma pure i dodici dei romani, nonché il persiano Mitra. Gli dei erano dei e non bisognava offendere nessuno. Le piete dure avevano proprietà divine e adornavano le dita per scongiurare malocchi e malattie. Ma portava sfortuna indossare un anello al dito medio, detto impudicus o infamus, e lo facevano solo le donne di malcostume. A capodanno ci si scambiava dei piccoli regali (strenae) sui quali erano incise le lettere benauguranti: a.n.n.f.f. (annum novum faustum felicem). Fare il bagno era un rito: dapprima si faceva un po’ di esercizio fisico, poi un tuffo in piscina, quindi si entrava nel destrictorium, una saletta dove si detergeva il corpo da sudore e polvere strofinandolo con sostanze abrasive e poi passandolo con lo strigile. Insomma una bella strigliata prima di fare il bagno vero e proprio, immergendosi nel calidarium e nel frigidarium. Infine si apriva il cofanetto di bellezza contenente lo specchio d’argento o di bronzo, il dentifricium, il dentiscalpium, l’auriscalpium e le volsellae (pinzette). Un corpo ben curato predisponeva all’amore. E le aquileiesi dovevano esser ben attraenti se l’imprenditore edile Alfio Stazio costruì un enorme sarcofago nel quale si fece seppellire con tutte le sue amate.