Sergio Mattarella e Bernie Sanders sono coetanei: entrambi del 1941. A guardarli si capisce; ma a sentirli parlare sembra che appartengano a due secoli diversi, Mattarella al Novecento e Sanders al nuovo millennio.
Prendiamo le risposte da loro date recentemente in due università americane: da Sanders una settimana fa agli studenti della University of New Hampshire, e da Mattarella giovedì agli studenti di Columbia University. Sanders ha detto che è ora di farla finita con la deregulation delle banche e con accordi commerciali scritti dalle multinazionali con la scusa di una prosperità che poi arriva solo ai ricchi speculatori causando precariato, sottoccupazione, delocalizzazioni, povertà. Ha detto che l’educazione deve essere accessibile a tutti e pubblica e così la sanità, che Wall Street truffa la gente e controlla la politica, che bisogna lottare per creare più eguaglianza economica e un mondo più umano. Parole nuove, che osano mettere in discussione l’egemonia politica, economica e anche culturale del neocapitalismo liberista, che rifiutano di vedere nella globalizzazione un destino manifesto.
Sergio Mattarella invece ha parlato dell’importanza di aumentare “l’efficienza e la competitività” in modo da far crescere l’economia, avallando nel loro nome le privatizzazioni e liberalizzazioni del governo Renzi; e ha lodato lo smantellamento della Costituzione in nome della rapidità della reazione: “influirà sulla capacita di governare i problemi quando nascono e non dopo”. Parole vecchie, abusate, che hanno giustificato la più grande rapina mai commessa ai danni dell’umanità e dell’ambiente: efficienza, competitività, governabilità, emergenza, le formule magiche della new economy. Oggi non sono più così di moda: troppe volte sono state usate negli ultimi vent’anni per convincere la gente che l’indebolimento della democrazia, lo smantellamento del welfare, l’abdicazione ai diritti e ai valori, erano atti necessari e chi si opponeva un illuso o un perdente.
No che non siete illusi o perdenti, sta invece predicando Sanders: il futuro non è già scritto; che sia già scritto lo affermano solo coloro che non vogliono cambiare il presente perché gli va benissimo com’è. Serve invece una “rivoluzione politica”. Per questo i giovani americani lo ascoltano, lo rispettano e votano per lui – alle primarie del New Hampshire ha ottenuto il consenso dell’84% dei democratici con meno di trent’anni. Perché promette loro un futuro: e chi sogna un futuro migliore e lotta per esso è giovane. Bernie Sanders, il più giovane dei politici americani, ragazzo del Duemila.
Mattarella invece è vecchio: il suo futuro è quello che negli anni ottanta e novanta del Novecento sognavano Reagan e Margaret Thatcher, Blair e Bill Clinton: alti profitti per gli investimenti finanziari, nuove tecnologie per renderli possibili; il resto sono dettagli. Non ha proprio capito, Mattarella, che quel modello è oggi un passato che non passa, oppressivo per i giovani che non hanno conosciuto nessun altro tipo di società; altro che il futuro. E che sta clamorosamente fallendo, che a sostenerlo sono ormai solo gli integralisti liberisti, peraltro ben sovvenzionati da Wall Street. Non ha proprio capito che le cose stanno cambiando.
Temo che il suo discorso a Columbia lo avesse calibrato pensando che agli studenti americani sarebbe sembrato, se non originale, molto attuale. E invece ha parlato come un vecchio, che continua a credere nuovo ciò che era nuovo un tempo. Non è questione di età: il quarantenne Matteo Renzi è altrettanto decrepito, un residuo del secolo scorso.
È questa senilità politica e culturale, questa senilità priva di saggezza, di coraggio e di generosità, la tragedia dell’attuale classe dirigente italiana, sclerotizzata al punto da non rendersi conto di essere restata molto indietro nel cammino della storia. Come quel cavaliere di un poema di Berni che “del colpo non accorto, andava combattendo ed era morto“.
Discussion about this post