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David Cameron non vuole più immigrati. Compresi quelli europei

Riccardo GuecibyRiccardo Gueci
Time: 3 mins read

Non stupisce che il governo del Regno Unito di David Cameron ritenga che i flussi migratori, anche quelli provenienti dai Paesi dell'Unione europea – quindi anche italiani – non siano sostenibili dal sistema britannico, perché esercitano pressione sulle infrastrutture, come casa e trasporti, e sui servizi pubblici, come scuole ed ospedali. Per queste ragioni il governo britannico di David Cameron è intenzionato ad aprire, già nel corso della riunione operativa convocata per il prossimo 14 settembre, un negoziato per rivedere i rapporti con l’Unione Europea sull'argomento, prima del referendum sulla cosiddetta Brexit (uscita dall'Unione Europea), al fine di contenere i costi sociali che il Regno Unito di Sua Maesttà britannica deve sopportare a causa dei flussi migratori.

Chi si è fatta portavoce di questo orientamento è stata la ministra dell'Home Office, ministero degli Interni, con un intervento sul Sunday Times. La ministra, Theresa May, argomenta la sua tesi sulla “non sostenibilità” dell'attuale livello d'immigrazione, mediante una sua personale interpretazione del Trattato di Shengen: “Libera circolazione significava libertà di spostarsi per lavorare, non libertà di attraversare le frontiere per cercare un lavoro o per usufruire dei benefici sociali altrui”. La May rivendica inoltre maggiori controlli tesi ad impedire il prolungamento “semiclandestino” dei soggiorni dei giovani europei sbarcati nel Regno Unito con il visto di studenti, che costituiscono parte del problema, nonché la vera emergenza rappresentata dalla pressione dei migranti e dei rifugiati di Calais, che provano ad attraversare la Manica nonostante i pattugliamenti, i reticolati e i cani.

Queste posizioni politiche del governo conservatore di Sua Maestà britannica testimoniano, ancora una volta, che il Regno Unito, secondo gli orientamenti che continuamente emergono, costituisce un corpo estraneo all’Unione Europea. Non va trascurato, a questo proposito, che è stata proprio l'Inghilterra a farsi promotrice della creazione, in Europa, di un raggruppamento di Stati e staterelli in contrapposizione alla nascente Unione Europea, l'Efta. Un'area di libero scambio, che ancora oggi in sigla esiste ed ha sede a Bruxelles, ma che sul terreno politico ha fatto immediatamente flop, tanto che, dopo il fallimento, per primo il Regno Unito ha fatto richiesta di entrare nell’Unione Europea. La ragione di quel fallimento è semplice: non puoi costituire un raggruppamento tra Stati e tra popoli soltanto sugli affari. Questa soluzione è fallimentare in partenza, specie quando gli Stati che aggreghi sono piccoli o piccolissimi. Se al raggruppamento non dai dei valori comuni e delle speranze future di unità popolare, non vai da nessuna parte.

Ma il Regno Unito, nelle sua storia, con gli altri grandi Paesi europei continentali non ha mai condiviso nessun valore né politico, né culturale, né religioso. Anzi con tutti questi (Spagna, Francia , Germania, ecc), nella sua storia, ha fatto solo guerre. Se la vogliamo dire tutta, se ancora oggi l'Unione Europea non ha un proprio statuto, la responsabilità primaria è proprio dei governi inglesi. Il Regno Unito sta nell'Unione Europea unicamente per le convenienze economiche che da essa può trarne. Nulla di più.

Queste schermaglie del governo conservatore inglese sono anche conseguenza del dibattito interno a quel Paese sul referendum popolare da esso indetto per uscire dall’Unione Europea. Purtroppo per Cameron, l'orientamento espresso dalla classe dirigente britannica va in senso contrario a quello auspicato dal premier inglese. Queste tendenze hanno fatto perdere le staffe al governo e la ministra May ha ritenuto di sensibilizzare l'opinione pubblica inglese suscitando in essa la paura del diverso e cavalcando l'argomento dei costi sociali che sopporta il popolo inglese a causa dell'immigrazione. Né più, né meno di quanto va dicendo, a destra e a manca, Matteo Salvini della Lega Nord, in Italia.

Queste posizioni di retroguardia in un mondo che richiede aperture e globalizzazioni totali, non soltanto di capitali e merci, lasciano il tempo che trovano e tanto vale lasciare abbaiare chi le propugno, si Chiamino May, Salvini o Le Penn. Anche noi nutriamo qualche riserva sul percorso intrapreso dall'Europa, guidata dalle massonerie finanziarie. Ma non certo per le libertà di movimento e di integrazione economica e sociale. Piuttosto sulla pretesa di alcuni di essere più uguali degli altri.

 

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