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August 23, 2015
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Nel labirinto della vecchia tra i ricordi che svaniscono sotto i colpi dell’Alzheimer

La VOCE Sicilia NYbyLa VOCE Sicilia NY
Time: 7 mins read

Anche quest’anno lo scrittore Matteo Collura non è venuto meno all’ormai consueto appuntamento con gli amici del Centro di Storia Patria di Tortorici, presieduto da Salvatore Foti, e rappresentato per l’occasione da Maurizio Galati, con la presentazione del suo ultimo libro: La badante. Presentazione affidata a Lucietta Di Paola Lo Castro, docente presso l’Università di Messina, e agli interventi del Stanislao Franchina e Calogero Randazzo.

Accolto con calore e simpatia nel centro nebroideo, lo scrittore ha ricevuto dal Sindaco, Carmelo Rizzo Nervo, una  targa-ricordo. Un piccolo omaggio, ha affermato il primo cittadino, ad un autorevole scrittore che nel suo ultimo romanzo non ha dimenticato la sua terra e Tortorici, luogo evocato come il “paesino rintanato all’interno della Sicilia, un angolo boscoso dei Nebrodi”, insieme ai suoi concerti. Collura visibilmente commosso si è detto orgoglioso ed onorato dell’inatteso riconoscimento; indescrivibile la sua gioia quando ha riassaporato un brano del concerto di Nunzio Ortolano a cui aveva assistito nel 2013, e ha ascoltato la pagina evocativa letta da Nino Ferraloro che ha anche proiettato il video, Le foglie morte di Jacques Prévert musicato da Kosma nel 1945, quale simbolo della vecchiaia, tema centrale del romanzo.

La Badante di Matteo Collura, ha detto Lucietta Di Paola Lo Castro, è per usare le sue stesse parole, un

Totorici

Un’immagine di Tortorici

romanzo di fantasia che pesca nella realtà e che esce dagli schemi narrativi abituali, ovvero dal labirinto siciliano. Denso e intenso, coinvolgente, appetibile sotto ogni profilo e accattivante riflette ansie, debolezze, turbamenti, timori e umori di un vedovo ultraottantenne professore in pensione che, pur ridotto su di una sedia a rotelle, è ancora capace di provare sentimenti e di avvertire pulsioni sessuali.

Da una semplice scena di vita quotidiana di una mattina di agosto, il lettore viene gradualmente proiettato sul palcoscenico del teatro della vita e del dramma esistenziale umano attraverso una prosa appassionata e affabulante dai toni spesso lirici, dal linguaggio variegato, rigoroso, attento e meticoloso, mai volgare, neppure quando deve esprimere o descrivere la prostituzione, lo stupro, le pulsioni sessuali. Collura fa parlare i suoi personaggi con trasparenze impalpabili, con una struttura narrativa di scavo con improvvisi effetti di rivelazione; un raffinato cromatismo anima ogni pagina. E’ la  vecchiaia, quella che egli racconta in modo efficace, realistico, lucido e brillante, che dipinge in un grande affresco, usando la penna al posto del pennello e su cui fa risplendere la luce consolatrice della luna, quella stessa luna che illuminava la miserabile vita di Ciaula, il protagonista di una novella pirandelliana.

Il libro potrebbe essere definito anche un romanzo della memoria che narra di un’epoca storica e della vita di un senex, che si chiude con il suo canto del cigno; le due storie si intrecciano e si snodano lungo le continue lezioni e i ricordi del protagonista, il “malmestoso sputasentenze” Italo Gorini e degli altri personaggi che ruotano intorno a lui, per incentrarsi su problemi cruciali quali: l’assistenza agli anziani il cui numero, secondo i dati ISTAT, è in continuo aumento, le loro disabilità, le malattie, tra cui il devastante Alzheimer, le badanti che costano e non tutti se le possono permettere; la disoccupazione giovanile. Desiderio, il figlio del professore, è un laureato ultratrentenne che non lavora; la sempre più invasiva tecnologia che non risparmia nessuno e non solo i giovani incollati perennemente a cellulari e tablet; il colonianismo e ancora l’emigrazione e l’immigrazione, quest’ultima vista come scontro tra due civiltà, la nostra e la musulmana, oggi più che mai vivo e attuale. Essi fanno da cornice alla questione centrale, la senilità di un uomo arrivato ai tempi supplementari che ha avuto tutto dalla vita e si è sentito onnipotente al punto da sfidare persino Dio e che accetta malvolentieri di concludere i suoi giorni da handicappato, sopraffatto dall’Alzheimer, la malattia che gli ha distrutto non solo la memoria e il pensiero, ma anche l’identità ed è peggio della morte.

Collura, con questo libro ci consegna, ha affermato la Di Paola, la descrizione di un percorso esistenziale intensissimo, del dramma dell’uomo, delle sue profonde inquietudini spirituali, che certamente hanno avuto illustri predecessori in Pirandello e ancora prima nel Manzoni dei Promessi Sposi, scrittore insuperabile, ispiratore di passioni, autori a lui molto cari. Nel romanzo sono tanti e cogenti i richiami letterari, per non parlare di quelli cinematografici altrettanto significativi: basti per tutti il film Otto e mezzo di Federico Fellini; ci sono autori italiani e stranieri, antichi e moderni; sono evocati episodi e pensieri da romanzi come l’incompiuto Paolo il Caldo di Vitaliano Brancati e La Morte di Ivan Illijc di Leo Nikolajic Tolstoi, un libro che Gorini regala al suo medico, il dottor Montalenti perché più di ogni altro gli ha dato l’idea del punto di non ritorno.

Come sarebbe morto lui? Continuava a chiederselo, il professore senza riuscire a trovare una risposta. Nel alzheimerromanzo nuovo ed originale è il personaggio della badante che Collura crea e per la prima volta introduce nella letteratura; è un soggetto scomodo che sconvolge gli equilibri della famiglia tradizionale, ne evidenzia gli irreversibili cambiamenti; non è una stampella del vecchio, ma un essere umano con le sue esigenze, i suoi sentimenti, a cui è legato a doppio filo l’anziano, la sua presenza  può essere richiamo alle gioie della vita e contemporaneamente memento della non autosufficienza del badato. Alla badante Paula, Collura affida il finale inatteso e sconvolgente del romanzo.

Dopo aver sottolineato i richiami autobiografici, gli elementi paesaggistici, la Di Paola si è soffermata sui riferimenti artistici presenti nel libro. Questi ultimi danno voce alla visione della vita e alla contemporanea visione della morte che incalza ed opprime l’anziano Gorini nel protrarsi della sua vecchiaia da disabile. E così sono state proiettate e commentate dalla relatrice le immagini dei dipinti che Collura pone non a caso nello studio del professore.

Il primo è L’attesa di Richard Oeltze. Un insieme di figure borghesi, anonime e dai tratti irriconoscibili, si trova misteriosamente collocato in una valle che versa su orizzonti indefiniti con una luce che irradia le loro spalle e il vento che precede l’aspettazione. L’atmosfera è spettrale, vacua, il quadro rappresenta un limbo in cui l’attesa dei personaggi sembra inesorabilmente votata all’insuccesso, nulla accade e nulla accadrà. In questo s’invera la genialità artistica dell’autore che riesce a sintetizzare in una visione la condizione dell’uomo nel mondo, nel nostro caso del vecchio come rivolto ad un’attesa che può solo non realizzarsi, poiché la sua realizzazione coincide con la fine, come nel celebre romanzo di Dino Buzzati, Il Deserto dei Tartari, in cui il protagonista aspetta per una vita un nemico inesistente, e quando questi giunge è tardi perché per lui, ormai anziano, è tempo di congedarsi dalla vita; o ancora nell’attesa interminabile descritta da Samuel Beckett nell’opera Aspettando Godot.

La seconda opera, C’é fini di Oscar Rex, rappresenta Napoleone giunto alla fine dei suoi giorni su uno scoglio nell’isola di Sant’Elena. Dal titolo associato all’immagine che riproduce l’imperatore con accanto il suo copricapo, un tricorno, e un braccio di mare trapela il messaggio che l’artista ha affidato al dipinto e che è quello di un uomo avvilito e accasciato, vinto, solo e relegato in un angolo remoto della terra. Napoleone ha combattuto, ha avuto i suoi fasti e ora dice: è finita. Dopo tanta gloria per lui piegato su stesso è giunta la fine.

Il climax artistico continua con la terza opera, intitolata, L’isola dei morti di Arthur Boecklin che piace al professore e piace a Paula, la badante, perché infonde un senso di pace, ed era anche la preferita di Hitler che ne possedeva una delle cinque versioni, quella che ora si trova al museo di Berlino. Nel quadro ci sono il mare, le rocce, i cipressi, la barca: sono elementi reali, ma Boecklin con essi vuole farci sentire il silenzio, vuole farci percepire l’immobilità della Morte e forse a suo modo, la sua bellezza.

Ma ecco il colpo di scena: il professore, stanco dei tre quadri; il pensiero della morte si fa sempre più incalzante – egli, scrive Collura, centellinava la sua agonia, senza sapere come si muore – decide di farli togliere e al loro posto collocare la gigantografia di un’opera che riflette la sua condizione di gladiatore vinto, Il Pollice verso di Jean Lèon Gérôme. L’arena del Colosseo è per lui anche l’arena della vita e i gladiatori sono i milioni di uomini che vivono dell’elemosina della pensione e i poveri che ogni giorno lottano disperatamente per non soccombere, per arrivare alla fine del mese.

Collocato in un’ottica attuale ed esistenziale il romanzo di Collura, ha concluso la Di Paola, è uno strumento prezioso per la terza età, ha molto da dire e da insegnare agli anziani. Il messaggio forte e chiaro sulla vita dell’uomo giunto al capolinea è stato  messo in rilievo infine da Stanislao Franchina, coetaneo del professore Gorini; Franchina, magistrato, già procuratore di Lecco, ha ravvisato nel libro di Collura un inno alla vita ha rievocato alcuni i versi di Hichmet e un passo del giurista Ulpiano mentre ha visto nel comportamento del protagonista un esempio importante per imparare a vivere meglio la vecchiaia accettandone limiti e cambiamenti e per affrontare l’irrimediabilità della vita con serenità come ha insegnato Tolstoi al professore Gorini. L’avvocato Calogero Randazzo ha osservato invece come lo scrittore faccia riflettere sul  problema delle badanti. Randazzo si è soffermato  su alcune pagine leggendone dei brani relativi ai rapporti tra Gorini e la sorella e con il medico Montalenti e anche tra Gorini e la badante.

Interessante il breve intervento della professoressa Sara Gentile dell’Università di Catania che ha ravvisato nel personaggio della badante una metafora. La serata si è conclusa con i ringraziamenti da parte dello scrittore alle autorità, ai relatori e alla comunità di Tortorici e con alcune riflessioni in risposta alle domande che il dibattito aveva suscitato.

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