Posto che Cosa Nostra in Sicilia sia stata il male (o sia: perché, secondo alcuni, è perenne e chi non lo dice, naturalmente, è un suo manutengolo o un povero di spirito), il movimento antimafia, in quanto tale, è stato ed è un rimedio peggiore del male. Ripeto: in quanto tale. Sicché, con buona pace di Attilio Bolzoni et aliis, non esiste “un’antimafia da operetta”, di cui sarebbe un epigono il Presidente Rosario Crocetta, e un’antimafia che da operetta non è, incarnata, per esempio, dal gruppo editoriale per cui lo stesso Bolzoni scrive.
L’antimafia è un insulto alla buona creanza, all’intelligenza e alla dignità. Sin dal suo concepimento. Semmai Crocetta esemplifica, insieme al Gruppo Espresso-Repubblica, e non a differenza di esso, questa piaga purulenta. E questa è un’acquisizione che può prescindere dall’esito della presente vicenda: sì, quella della conversazione telefonica sulla figlia che sarebbe stato bene uccidere alla stessa maniera del padre.
Alcune precisazioni varranno ad illustrare l’assunto.
Il Procuratore della Repubblica di Palermo, in un comunicato formale di poco successivo alla pubblicazione, ha escluso che questa conversazione esista “agli atti dell’ufficio” e anche a quelli dei NAS dei Carabinieri, incaricati di svolgere le indagini. Tuttavia ha precisato che l’esclusione vale con particolare riferimento al procedimento, indicato per numero di iscrizione, in seno al quale sono stati disposti gli arresti domiciliari per il dott. Tutino. Perciò, se ce ne fossero altri, potrebbe risultare una smagliatura nella smentita.
Ed è proprio quello che sostiene il giornalista autore della pubblicazione, Piero Messina. Il quale, già assunto nell’ufficio-stampa della Regione dall’ex Presidente Lombardo, fu poi licenziato da Crocetta; e verso cui garantisce di non nutrire “alcuna acredine”. Ad ogni buon conto, dopo il comunicato della Procura di esclusione della conversazione “agli atti”, interviene lo stesso Direttore de L’Espresso, Luigi Vicinanza, per ribadire che invece esiste: “Il dialogo esiste, ma non fa parte degli atti pubblici, quelli a disposizione delle parti coinvolte. Pertanto ribadiamo quanto pubblicato nel giornale in edicola. E' una chiamata che risale al 2013. Posso confermare che l'audio è sporco, ci sono alcune interferenze. I due parlano con grande confidenza, a tratti in siciliano”. Però, rassicura: “il nostro cronista l'ha ascoltato. Poi ha potuto ricopiare la trascrizione. La conversazione fa parte dei fascicoli secretati di uno dei tre filoni di indagine in corso sull'ospedale Villa Sofia di Palermo. Stiamo parlando di oltre 10 mila pagine".
Riassumendo: la trascrizione propriamente detta non c’è, o non c’è ancora; si tratterebbe di un appunto preso da un giornalista licenziato dall’interessato, che darebbe corpo ad un dialogo avvenuto un paio di anni fa, tracciato da un “audio sporco”, con “alcune interferenze”, e intermediato dall’uso del dialetto. Fin qui avremmo un atto ancora sottoposto a segreto d’indagine, che ad un certo punto prende a svolazzare, libero di innescare una crisi politica su un territorio popolato da poco più di cinque milioni di abitanti.
E’ evidente che ci sono due fronti: uno pro, e uno contro Crocetta. E siccome sono entrambi fronti antimafia, per le loro mefitiche operazioni, con gli atti di indagine, fanno e disfano quello che vogliono. Nè, nell’ardore della battaglia, ci si preoccupa di far sapere che possono attingere ad atti segretati, ignoti alle stesse parti del procedimento, o che conoscono esattamente quanti sono i filoni di indagine, o che gozzovigliano fra montagne di carte o, più probabilmente, godono di accurate, efficacissime e tempestive selezioni.
Ma la Procura, di fronte alla smentita della sua smentita, non può rimanere inerte: altrimenti sembrerebbe che non sappia nemmeno che cosa si cela nei fascicoli di cui è custode unica. Ed infatti, secondo un’Ansa di queste ore, starebbe considerando di aprire un’indagine su questa controversa pubblicazione. Vedremo.
Ora, il punto è questo. Che, come l’originale di cui sono corrotte scopiazzature, esistono un’antimafia vincente e un’antimafia perdente. E, come l’originale, entrambe si combattono in dispregio all’onestà e alla giustizia.
All’inizio dicevo che è sempre stato così. Per i più giovani, e per gli smemorati, ed anche per Bolzoni, vorrei qui ricordare cosa fu capace di scrivere su Giovanni Falcone la Repubblica, con Sandro Viola, il 9 Gennaio 1992, qualche mese prima della strage: poichè era discreto, visto che con lui non giravano atti di indagine en plein air, come dosi di eroina a Secondigliano, anzichè lodarne il riserbo, Repubblica se ne face beffe: “Il risultato è che le esternazioni del Dott. Falcone risultano quanto mai nebulose. Così, qualcuno penserà che egli non sa niente di niente sulla criminalità organizzata, un altro crederà che lancia messaggi trasversali, un altro ancora riterrà che ciurla nel manico, un ultimo sospetterà che non sa esprimersi”. E poi: “quel che temo, tuttavia, è che a questo punto, il giudice Falcone non potrebbe placarsi con un paio di interviste l’anno….. L’apparire e il pronunciarsi ingenerano ad un certo momento come una ‘dipendenza’, il timore lancinante che il non esibirsi sia lo stesso che non esistere. E scorrendo il libro-intervista di Falcone… s’avverte… l’eruzione di una vanità, d’una spinta a descriversi, a celebrarsi come se ne colgono nelle interviste del Ministro De Michelis e dei guitti televisivi”.
Si aggiungano le parole, già ricordate la scorsa settimana, che Paolo Borsellino pronunciò a Casa Professa sulla responsabilità morale di certa magistratura per la strage di Capaci, e quelle su coloro che “lo presero in giro”. E avrete un’idea chiara di cosa si può intendere per antimafia marcia dall’origine.
Se Crocetta abbia taciuto, dopo aver sentito la frase sulla figlia da uccidere come il padre, è verità che con “un audio sporco”, soggetto ad interferenze, potrà essere svelata a suo tempo. Se fosse, sarebbe squallido. E persino infame, come sostiene, con voce rotta dall’indignazione, il buon Bolzoni. Ma, per non pensare che sia un’indignazione da operetta, non sarebbe male udire la sua voce rompersi anche su quell’articolo, colmo di leggibili sconcezze e scritto in passabile italiano, come pure sul suo giornale, e sul silenzio serbato in questi ventitrè anni a proposito di quell’infamia giornalistica.