Non ne parlano i giornali, le tv; non ne parlano romanzieri, saggisti, psichiatri. In una società, come quella italiana, convinta di cogliere al volo tutto quel che c’è da cogliere in termini politici, economici, “culturali”, l’argomento è sconosciuto. Ma sta di fatto che da qualche tempo, non tanto comunque, subiscono crisi depressive nostri connazionali giunti al compimento dei quaranta o cinquant’anni: si sentono “vecchi”, si sentono “in disarmo”, cominciano a girare a vuoto; vengono aggrediti dalla paura. Come sono diversi dal quarantenne italiano “spostato”, “sbilanciato”, un po’ millantatore, robusto sognatore, ricco d’energie fisiche e mentali magnificamente rappresentato da Vittorio Gassman ne “Il sorpasso”, da Ugo Tognazzi ne “La voglia matta” e ne “La bambolona”.
Ma come si fa a sentirsi “vecchi” a quaranta, cinquant’anni… Come? Dov’è finito il “giovanilismo” il cui avvento, negli anni Settanta, riscosse l’attenzione della stampa, della tv, di scrittori e opinionisti? Vi si aprì un dibattito frizzante, agile, anche profondo. Vi dominava, con toni talvolta da ‘prima donna’, l’inimitabile, magari discutibile sul piano umanistico, tuttavia sempre accattivante Barbiellini Amidei nei suoi reiterati “colloqui” coi giovani. Quella, del resto, era un’Italia capace di pensare, capace d’inventare, di realizzare sintesi, di rifuggire dal convenzionale.
Chi erano, quindi, i ‘giovanilisti’ di quarant’anni fa? Erano italiani nati grosso modo intorno alla fine degli anni Dieci, nati negli anni Venti, nei primi anni Trenta. Gente formatasi in una grande “palestra” scientifica, culturale, morale, ancor più allargatasi dall’autunno del 1943 in poi con l’esplosione della guerra civile: italiani piazzatisi su due opposte barricate, quella fascista, quella partigiana.
Erano, gli uni e gli altri, italiani che si esponevano, italiani pronti, come dimostrarono in modo incontrovertibile, ad andare fino in fondo, sissignori, fino in fondo. Ma il loro ‘giovanilismo’ dei “beati” anni Settanta, meno “beati”, comunque degli anni Sessanta, voleva essere un’affermazione tutt’altro che narcisistica, malgrado le apparenze; piuttosto goliardica, goliardica, ma non superficiale, né tantomeno velleitaria, non certo fine a se stessa, tutt’altro che pittoresca. Nella mia vita ho conosciuto schiere di italiani nati appunto fra gli anni Dieci e gli anni Venti, ben più moderni, più creativi, più coraggiosi di tanti nati, all’incirca, dopo il 1960…
Ecco, quindi, il cinquantenne italiano, soprattutto romano, ma “anche” sardo, marchigiano, perfino emiliano, che si sente, sì, vecchio… Lo si deve compatire. Certo che lo si deve compatire, ma anche capire, senza con questo aiutarlo nella sua opera di auto-distruzione, di auto-commiserazione. Anzi, bisogna inchiodarlo di fronte a se stesso: farlo sentire una “merda” per poi soccorrerlo, certo, aiutarlo con dedizione, ma con dedizione costruttiva, assai costruttiva, non di maniera, no: il manierismo non porta a nulla di edificante, nulla esso crea di salutare, di originale.
Il grande dramma è che la società italiana nella quale il Nostro è cresciuto, nulla – detto “sic et simpliciter” – nulla, ha saputo, o voluto, a lui insegnare, tranne esortarlo a sposare, a seguire mode fasulle, volgari; tranne indicare la squallida “scorciatoia”, o indicare la “prostituzione” morale, e, magari, “non solo” morale… Il neo-capitalismo italiano di tutto si serve pur di centrare i propri obiettivi. Si serve di gente prona, china, compiacente. Si serve di novelli conformisti. Di novelli paggi e palafrenieri. Di schiene disposte a piegarsi, esso ne trova, ne trova a bizzeffe. E’ uno scandalo. E’ “lo” scandalo che, secondo il nostro punto di vista, eguali non ha: così non è certo in Germania, in Francia, in Inghilterra, in Scandinavia – e nemmeno in Spagna, in Grecia. Eccolo, sì, il “capolavoro” del privato. Del privato italiano senz’anima, senza coscienza.
La società italiana attuale, quella sviluppatasi col nefasto avvento della cosiddetta “Seconda Repubblica”, è difatti organismo che tutto distrugge per poi creare “mostri” che possano servire i suoi bassi, se non abietti, interessi.
Nell’Italia d’oggigiorno non v’è un grammo, un solo grammo, di spiritualità. Ve n’è molta di più fra i lapponi, gli islandesi, e senza dubbio fra le congregazioni religiose che vivono nella Pennsylvania, nello Utah… L’Italia attuale: dimentica delle glorie e degli insegnamenti dei Comuni e delle Signorie; dimentica di Cesare Beccaria, Pareto, Pirandello. Dimentica del proprio Stato Sociale cui s’ispirò Franklin Delano Roosevelt per consentire agli Stati Uniti d’America l’uscita negli anni Trenta dalla terrificante Grande Depressione.
Questa, sissignori, è l’Italia dei nostri tempi. E’ un’Italia il cui establishment “cultural-politico” non induce alla riflessione su noi stessi: non vuole che riflettiamo su noi stessi. E’ una società delittuosamente fondata sull’”immediato”.
Qui non s’insegna a prendere coscienza del Tempo che passa. Nelle scuole e nelle famiglie, nelle tante famiglie, non vige l’attenzione, no, sul Tempo che passa. Non s’impone il rifiuto del Sistema che ci umilia, c’imprigiona; ci rende ‘schiavi’. “Schiavi” del SUV, del cellulare, delle carte di credito; del computer.
Non s’insegna che il passar del Tempo deve indurre alla costante riflessione personale e collettiva, indurre a una sempre maggiore coscienza di noi stessi nel quadro, eterno, ineludibile, della fine “immancabile”. Ci si chiede, in Italia, in che modo si possa configurare, nel Trapasso, l’”assenza di noi stessi”?! Ci si chiede, nel momento “fatale”, che cosa d’intentato, o di poco nobile, abbiamo lasciato?
Ora come ora, gli italiani ci appaiono in una superficialità che lascia sgomenti: piccola gente, gente piccina, la quale, tuttavia, si crede chissà chi nello sbandieramento, puerile, di un gadget dopo l’altro… Donne e uomini che della condizione umana dimostrano di saper ben poco. Se non nulla. D’altra parte, molti di loro negli ultimi vent’anni, hanno dato entusiasticamente il voto a personaggi i quali si vantavano di non aver letto un solo libro nella loro vita…
Eccoli, sì, gli italiani, che guida non hanno. Gli italiani lasciati ai loro pedestri, sciocchi, poveri piaceri. Vittime di se stessi. Felici vittime di se stessi.
Eccolo,sì, il quarantenne italiano senza bussola. Abbandonato da un Sistema che pensa solo a se stesso. E che con sommo gusto pratica la macelleria morale, la macelleria sociale.