La notizia “calda” di quasi tutti i tg, in questi giorni, è rappresentata dai migranti (quelli che molti erroneamente si ostinano a chiamare “profughi” o “rifugiati”). Scontri al confine con la Francia, bivacchi vicino al valico di frontiera a Ventimiglia e polemiche a mai finire. Promesse renziane e strategie segrete smentite miseramente da Bruxelles: il premier ha annunciato di “avere pronto un piano B” per risolvere il problema, in vista del summit dei leader UE il 25 e 26 giugno. Peccato che, proprio oggi, Natasha Bertaud, portavoce del commissario dell’Unione Europea responsabile per le politiche migratorie, Dimitris Avramopoulos, abbia fatto sapere di non essere "al corrente di nessun piano B" da parte dell'Italia sull'emergenza migratoria. Anzi, la Bertaud ha ribadito che il piano presentato dalla Commissione per la redistribuzione di richiedenti asilo da Italia e Grecia verso altri Paesi è "equilibrato" (l’UE accoglierebbe al massimo 12mila “richiedenti asilo”, ma ogni anno altri 160 mila migranti resterebbero in Italia).
Polemiche e critiche contro la Francia che ha respinto i migranti e ha imposto controlli alle frontiere. Secondo alcuni, violando gli accordi di Schengen proprio nel trentennale della sottoscrizione. Anzi, pare che non sia la prima volta che oltralpe si sia presa questa decisione: già nel 2011 la Francia aveva chiuso la frontiera per evitare il passaggio degli immigrati, ma allora il flusso dei migranti non era una notizia “calda” e nessuno ne parlò.
Il problema, come sempre, è che tutto nasce da una ignoranza generale della situazione di fatto e delle leggi e degli accordi internazionali: il governo italiano (e la maggior parte dei media) ha accusato Parigi di non rispettare il trattato di Schengen del 1990 che istituisce la libera circolazione all'interno dell'Unione europea. Per contro il governo francese ha risposto di non aver violato nulla: avrebbe semplicemente applicato quanto previsto dall'accordo bilaterale sottoscritto da Italia e Francia a Chambery nel 1997 per il controllo della zona di confine tra i due Paesi. Un accordo non a caso chiamato “Accordo di riammissione”. In base al quale la richiesta di asilo per un migrante proveniente da un Paese terzo deve avvenire nel primo Paese di entrata dell'Unione, dove l'extracomunitario deve essere identificato dalle forze dell'ordine e dove deve presentare richiesta di asilo se pensa di aver diritto allo status di rifugiato.
Non solo. Proprio in attuazione di questo accordo tra Francia e Italia, i due Paesi hanno istituito centri di cooperazione interforze (a Ventimiglia per l'Italia e a Modane, poi spostato a Le Freney, per la Francia). Secondo questo accordo, “il nostro personale e quello della polizia francese di Modane, provvedono reciprocamente a restituire all’altro Stato gli extracomunitari clandestini provenienti da quest’ultimo, intercettati all’atto di oltrepassare la frontiera, sprovvisti dei documenti abilitanti al transito, e, conseguentemente, a verificare le situazioni individuali di ciascun extracomunitario ‘restituito’, al fine di adottare i provvedimenti di competenza” ha detto qualche anno fa il commissario capo di polizia di Bardonecchia, Francesco Destro. (sopra, a destra, Matteo Renzi e Angelino Alfano)
Facile, su entrambi i fronti, strumentalizzare la vicenda per scopi politici. La realtà, però, è che l’Italia di accordi simili, tra il 1997 e il 2000, ne ha firmati non uno, ma più di venti (ventuno, per essere precisi). E questo, i vari governi italiani che si sono occupati del “problema migranti”, da Berlusconi a Monti, da Letta fino a Renzi, avrebbero dovuto (a meno di mostrare gravissime lacune) saperlo. Avrebbero dovuto sapere che andare a prendere i migranti quasi sulle coste libiche non farà che aiutare gli scafisti e aumenterà il flusso dei migranti: “Dal gennaio 2015 la guardia costiera libica non salpa più in mare per pattugliamenti”, ha scritto il Deutsche Welle in un servizio di poche settimane fa.
Avrebbero dovuto sapere che buona parte del sistema satellitare che avrebbe dovuto servire proprio per individuare e fermare i barconi (e che è costato all’Italia centinaia di milioni di euro) giace dimenticato e inutilizzato in un magazzino di Bengasi, in Libia (lo ha confermato anche Guarguaglini, ex capo di Finmeccanica). Avrebbero dovuto sapere che, mentre i corpi armati dei vari Paesi dell’UE, da Eurogendfor a Euromarfor (la Forza Marittima Multinazionale), sono impegnati in manifestazioni e celebrazioni, gli interventi di salvataggio della nostra Marina militare costano agli italiani miliardi di euro ogni anno. Avrebbero dovuto sapere che accettare che le navi militari degli altri Paesi dell’UE che prendono migliaia di migranti e li scaricano sulle coste del Belpaese, non risolverà il problema, ma anzi lo peggiorerà: costringerà l’Italia a prendersene cura e a gestirli, sia che si tratti di “immigrati clandestini” sia che si tratti di “richiedenti asilo”. E avrebbero dovuto sapere che il contentino della Commissione Europea di accettare uno sparuto numero di “richiedenti asilo” (e non di “migranti”) non avrebbe risolto il problema: pochi giorni fa, a spiegare la differenza ai nostri politici (uno schiaffo diplomatico non da poco, ma nessuno ne ha parlato) è stato il ministro dell'Interno francese Bernard Cazeneuve che ha detto che è necessario l'Italia accetti di creare dei centri “per distinguere i migranti economici irregolari dai rifugiati”…
Inutile, poi, affrontare il problema sotto il profilo umanitario. In molti siti piovono appelli affinché i Paesi europei “facciano la loro parte”. Alcune associazioni hanno parlato di “rifiutare odio e paure con un’enorme campagna” e che venga avviato un piano umanitario da sottoporre all’attenzione dei capi di Stato dei vari Paesi europei. È l’ennesima dimostrazione di ignoranza a livello nazionale: molti dei Paesi europei hanno già fatto la loro parte accogliendo migliaia di “rifugiati politici”, quelli veri. Nel 2014, in Europa i richiedenti asilo sono stati 626mila (il 44 per cento in più rispetto al 2013), la maggior parte di loro siriani (122.800) e afghani (41.300). Numeri che, anno dopo anno, crescono esponenzialmente come ha confermato l’UNHCR. E in tutti i Paesi europei, anche in quelli più colpiti dalla crisi, dall’Austria a Malta, dalla Svezia all’Ungheria, le domande sono valutate e, molte volte, accolte. Ma si tratta sempre di “rifugiati politici”, non di “migranti”.
Quelli che le navi si precipitano a prelevare appena salpati dalle coste libiche, invece, nella stragrande maggioranza non sono “rifugiati” o “profughi”: sono “migranti”, gente che spesso rifiuta di farsi fotografare o identificare e che, appena può, scappa dai centri di prima accoglienza (negli ultimi mesi, per ammissione dello stesso ministro degli Interni del nostro paese, Angelino Alfano, si sono perse le tracce di oltre 50mila di loro).
“Migranti” che finiscono per rimanere nelle regioni più povere d’Italia (peggiorando così la situazione economica già devastata di questi luoghi): in base ai dati del Ministero degli Interni, la Regione in cui si trova il maggior numero di migranti è la Sicilia (oltre il 21% del totale), seguita dal Lazio (13%) e dalla Puglia (9%). A febbraio (data dell’ultimo rilevamento ufficiale), in Sicilia, nei vari centri d’accoglienza, si trovavano ben 14mila migranti. Pochi, invece, quelli che vanno nelle Regioni di confine con il resto dei Paesi europei: solo l’uno per cento in Trentino, il 3 per cento in Friuli e Veneto, il 5 per cento Piemonte. Ma di questo pochi hanno parlato.
La verità è che quello dei migranti è solo l’ennesima dimostrazione, al di là delle belle parole e delle sceneggiate mediatiche, dell’incapacità di gestire problemi sociali gravi da parte dei vari governi che si sono succeduti negli ultimi anni. Sia a livello nazionale, sia a livello internazionale.