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September 21, 2017
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Dall’India all’Italia: “il Dolce Vino” dal dna italico

Un progetto nato in India e promosso dalla Indo Italian Chamber of Commerce, per avvicinare gli indiani alla cultura italiana

Riccardo GiumellibyRiccardo Giumelli
Dall’India all’Italia: “il Dolce Vino” dal dna italico
Time: 5 mins read

L’italicità non è solo un idea paradigmatica in grado di spiegare fenomeni contemporanei a partire dalla felice intuizione di Piero Bassetti. Non è un teorizzazione meramente intellettuale, né tanto meno qualcosa di così astratto e onnicomprensivo da farla sembrare distante dai fatti quotidiani. Siamo consapevoli che essa sia difficile da concretizzare in un progetto chiaro e tangibile, ma al tempo stesso essa prende forma intorno a noi. Isole, spesso, che si fanno portatrici di una nuova vision in grado di cogliere in cambiamenti in atto e di aprire nuove strade.

Recentemente abbiamo parlato del festival italico delle Spartenze, questa volta parliamo di un altro progetto dal dna italico. Si tratta del progetto “Il Dolce Vino”, un progetto che nasce in India, ma lì non si vuole fermare. L’attività è promossa dalla Indo Italian Chamber of Commerce (50 anni di vita, 5 uffici Regionali, 1200 soci) che, sulle basi del paradigma italico, sta costruendo un interessantissimo progetto di business. Il  progetto persegue l’obiettivo di raddoppiare la quota di mercato del vino Italiano in India con una strategia fondata su due pilastri: l’aggregazione e organizzazione della domanda di vino Italiano a cui indirizzare azioni promozionali mirate e continuative durante tutto l’anno (Italic Wine Club) e la formazione e certificazione di una comunità di promotori del vino e cultura Italiana (Alfiere Italico – Wine).  Per saperne di più ne abbiamo parlato con il coordinatore del progetto, il Dr. Cesare Saccani, vice presidente della Camera di commercio italo-indiana.

Il logo dell’Alfiere Italico

Innanzitutto ci può dire chi sono gli alfieri italici?

“Alfiere Italico è un portabandiera nel mondo dei valori caratteristici dell’Italianità e promotore non solo del prodotto Italiano ma anche di quel complesso sistema di valori tangibili o intangibili combinato con l’unicità dei valori distintivi dell’Italianità.  Per esempio un Alfiere Italico – Wine non è soltanto un buon conoscitore del vino Italiano ma un profondo conoscitore dei territori, della cultura e delle tradizioni Italiane legate al vino ma soprattutto un ottimo comunicatore delle unicità dei valori dell’Italianità. Un vero Italico. Alfiere Italico è uno schema di certificazione di personale promosso da Assocamerestero e ICMQ Istituto (primario Istituto di certificazione Italiano) sviluppato, per ogni profilo professionale, da comitati tecnici multistakeholders. Tutte le parti interessate alla promozione del prodotto Italiano nel mondo devono essere coinvolte e, per poter legittimare l’Italianità, questi comitati sono costituiti in larga misura da Italiani. L’Alfiere Italico trova la sua forza in una mappa di competenze messa a punto in Italia da Italiani e dalla promozione nel mondo da parte delle Camere di Commercio Italiane nel mondo, luogo di incontro delle business Italiane e locali e quindi degli Italici.

 

Cesare Saccani, vice Presidente della Camera di Commercio Italo-Indiana

Perché gli italics wine club e quale il loro legame con l’idea di italicità?

Gli Italics Wine Club hanno la funzione di aggregare, facendo perno sulla rete di uffici della Indo Italian Chamber of Commerce, gli appassionati Indiani di vino Italiano e di idea di Italicità. In India i valori dell’Italianità suscitano un grande appeal. Il numero di Indiani che partecipa ai corsi di lingua e cultura Italiana organizzati dalla Camera sta crescendo. La moda, l’Italian Style, la qualità della vita sono tutti valori invidiati dagli Indiani che in numero crescente vengono a visitare l’Italia. Gli Italics Wine Club saranno il cavallo di Troia per avvicinare gli Indiani alla cultura Italiana. Il punto di partenza è il vino, uno dei nostri prodotti simbolo, ma presto si aggiungeranno altri prodotti food (olio e formaggi in primis) e quindi i prodotti del design, della creatività e della sostenibilità Italiana.

L’India è e sarà davvero un’opportunità per i vini italiani?

Si. Attualmente il mercato di consumo di vino in India è ancora su numeri che in apparenza sono irrisori. Il consumo di vino in India è stimato in circa 3.500.000 di bottiglie l’anno, il consumo di Prosecco è di 500 milioni di bottiglie l’anno (a punta al miliardo di bottiglie l’anno). Ma se si supera la fotografia attuale e si osserva il trend si scopre che il tasso di crescita del mercato indiano di vino è vertiginoso ed è trascinato da un profilo di consumatori molto chiaro: giovani e donne. Si tratta quindi di un mercato tirato dalla fascia numericamente più consistente della popolazione. Ci vorrà del tempo ma questo è il momento perfetto per avviare un progetto complesso e ambizioso per promuovere il vino Italiano in India

Ma oggi fino a che punto possiamo veramente legare il Made in Italy al territorio Italia? Non pensa che ormai i prodotti siano sempre più ibridi?

In termini generali il tema è molto complesso. Definire oggi con precisione cosa significhi “prodotto Italico” nel caso di un capo di abbigliamento, un componente per automotive o una macchina utensile non è facile. Se restringiamo la riflessione al vino allora non solo si può ma si deve identificare il prodotto al territorio. Oggi la produzione di vino nel mondo non avviene più soltanto nei tradizionali paesi Europei (Italia, Francia e Germania) ma anche in Cile, Stati Uniti (California e Oregon), Sud Africa, Australia, Nuova Zelanda, Cina. Spesso si scopre che l’Italia esporta “tralci di vitigni autoctoni”. Sicuramente si potrà produrre con metodo Italiano un prosecco o un pinot anche in altri paesi del mondo seguendo gli stessi metodi e protocolli sviluppati in Italia. Se ci muoviamo su questa linea di pensiero la competizione sarà solo ed esclusivamente sul mix prezzo – volumi. Se spostiamo invece l’angolo di visuale sul mix “vino – territori – cibo – arte e cultura” allora il prodotto è unico perché unica è la bellezza del nostro paese. In India ci sono imprenditori che hanno piantato vitigni importati dall’Italia e producono vini con metodo Italiano. La qualità sta crescendo annata dopo annata. Sicuramente in futuro questi vini potranno essere considerati “prodotti Italici” ma non potranno mai essere associati all’unicità del nostro territorio. Aiuteranno i consumatori locali ad avvicinarsi al vino ed aprire il mercato indiano al prodotto “Made in Italy” ma prima o poi la qualità e la ricchezza culturale in una bottiglia di buon vino Italiano finiranno per prevalere nei segmenti più ricchi del marcato.

Quali sono i prossimi passi del progetto?

Il progetto “Il dolcevino” ha una proiezione triennale e si caratterizza da due fattori fondamentali: la continuità d’azione nel tempo e il suo sviluppo nello spazio. L’India presenta dimensioni geografiche e di popolazione troppo grandi per poter pensare ad azioni promozionali del vino limitate nel tempo (qualche cena, la partecipazione a una fiera, etc.) e nello spazio (es.: Delhi, Mumbai). Per costruire una domanda significativa di vino Italiano occorre invece un’azione continuativa lungo tutto il corso dell’anno e in tutte le principali città (non solo Delhi e Mumbai ma anche Kolkata, Bangalore, Chennay, Hyderabad, Goa, etc.). Per queste ragioni la Camera ha messo a punto un piano integrato di attività che comprendono informazione (Newsletter trimestrale “Ildolcevino”), promozione (Catalogo on line dei vini Italiani), eventi (almeno una cena a base di vino Italiano per trimestre per città), formazione, wine tours in Italia (2 all’anno per consumatori), education tours (2 all’anno per buyers e influencers), fiere ed altro ancora in diverse città.

 

 

 

 

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Riccardo Giumelli

Riccardo Giumelli

Un aforisma che più di altri mi rappresenta è quanto scrisse Machiavelli, citando Boccaccio: “che gli è meglio fare e pentirsi, che non fare e pentirsi”. Come loro sono toscano, animo inquieto in cerca di porti per approdare e ripartire. Dopo gli studi in Scienze politiche, ho iniziato ad amare i libri, fare ricerca e scrivere, al punto da rimanere nell’Università, prima Firenze poi Trento. A Dijon e poi a Parigi, ho lavorato alla Camera di Commercio italiana e all’OCSE. Tornato in Italia, sono approdato a Verona, dove faccio ricerca e insegno. Intanto un matrimonio e due splendide gemelline. Mi occupo di sociologia, cultura e comunicazione. Tra tanti nuovi inizi e altrettanti epiloghi, una costante: ho sempre tifato Inter. Infatti soffro di stomaco.

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