Se al ristorante chiedo una spigola al forno, mi aspetto una spigola COTTA al forno. Di conseguenza non sono affatto contento se, al momento di pulirla, trovo qualche striatura rossa sui filetti del pesce. Stesso discorso per una sogliola al vapore, o per un sarago all’acqua pazza.
Il pesce crudo, o quasi crudo (marinato, ad esempio) può essere buonissimo, ma se ne ho voglia chiedo quello. E invece l’ultima moda del ristorante chic, non solo in Italia, è la cottura breve, a volte brevissima. Certo, tutti sappiamo che la cottura eccessivamente prolungata è dannosa, può uccidere i sapori, devasta le consistenze. Ma troppo spesso la moda delle cotture brevissime sta diventando irritante.
Al cuoco che mi vuole rifilare a forza un pesce al sangue, infliggerei una punizione esemplare: lo costringerei ad assaggiare la celebre zuppa servita al Wattana Panich, popolarissimo ristorante di Bangkok. Quel piatto, premiato anche dalla guida Michelin, bolle nella stessa pentola da 45 anni. Quarantacinque anni. Il Corriere della Sera ci informa che gli ingredienti di quel piatto sono manzo, trippa, frattaglie e spezie, e che nel pentolone finiscono, a ciclo continuo, litri d’acqua e chili di carne. Il pentolone è sempre quello, non si svuota, non si sostituisce e non si lava mai. Lo chiamano ‘lo stufato perpetuo’. Non sarà il massimo dell’igiene, ma ha avuto giudizi lusinghieri da esperti gastronomi e da riviste specializzate.
A parte gli scherzi e i paradossi, credo che i tempi di cottura di un piatto siano anche e soprattutto un problema di intelligenza e di buon senso. Se in Italia si cucina uno spaghetto al pomodoro, è logico che venga servito al dente, ovvero di consistenza sostenuta, non troppo molle. Ma se quel piatto viene proposto nel menù di un ristorante italiano all’estero, sarebbe forse opportuno offrire al cliente qualche alternativa: cottura all’italiana oppure leggermente prolungata? È una domanda che, nel caso di piatti di carne, ci viene rivolta regolarmente. Viene in mente la storia di un ottimo cuoco italiano che qualche anno fa trovò lavoro in Francia. Si ostinava a cucinare spaghetti molto al dente, sollevando frequenti proteste dei clienti. Ma il cuoco non sentì ragioni: “La pasta si prepara così, mi dispiace per voi”. Dopo un paio di richiami da parte del proprietario del locale, l’intransigente custode dell’ortodossia culinaria nostrana fu licenziato e se ne tornò mestamente in Italia. Onore alla sua coerenza, ma l’attenzione e il rispetto per il cliente sono un’altra cosa.

Come spesso accade, le mode in cucina fanno danni. Negli anni Ottanta, forse qualcuno lo ricorda, ci siamo sorbiti l’insopportabile dilagare della rucola. Spuntava in ogni piatto, intera o sminuzzata, cruda o scottata. Di mode ne abbiamo subite tante altre, compresa la cottura sotto vuoto, a bassa temperatura. Non c’è ristoratore che negli ultimi decenni non sia corso a comprare il mitico roner, quel cilindro con acqua a temperatura costante in cui vengono immersi i sacchetti sigillati, pieni di vitello, maiale o piccione, o pesci di vario genere. Dieci, quindici o venti ore di cottura, a 60, 70, 80 gradi. La cottura a bassa temperatura è un affare per i ristoranti, perché con quella tecnica il peso della carne nin diminuisce, resta praticamente invariato e la resa è dunque massima.
Quella tecnica rende tutto più tenero, è preziosa per rendere gradevoli certi tagli di carne saporiti ma coriacei. Però non è obbligatorio usarla sempre e comunque. Anzi, spesso è deleterio. Provate a confrontare il sapore di un lesso di manzo preparato a bassa temperatura con un altro lesso cotto tradizionalmente in un buon brodo.
Su questo argomento ho assistito a una divertente lezione del bravissimo Gianfranco Vissani che si concluse con queste parole: “Cuocere un bollito misto a bassa temperatura è, semplicemente, un errore”. Parole sante, secondo me, anche se qualche illustre collega di Vissani non è d’accordo. Eppure, l’uso e l’abuso della bassa temperatura procedono a gonfie vele. In tanti casi quella tecnica non serve proprio, in altri casi produce danni. Però è ancora di moda, come le cotture brevi. E la moda, troppo spesso, conta più del buon senso.