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December 31, 2015
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December 31, 2015
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Capodanno e cibi propiziatori: ecco cosa non può mancare in tavola

Paola OrricobyPaola Orrico
Time: 7 mins read

Il 31 dicembre, quando sta per rintoccare la mezzanotte, siamo già tutti pronti e scattanti a congedare l’anno che sta finendo e a correre incontro al nuovo, che tutti vorremmo pieno di salute, amore, lavoro. Moltissimi sono gli “amuleti” e i “talismani” che si rispolverano per questa notte, rituali degni del Divino Otelma, perché tutto si tenta pur di assicurarsi un anno nuovo propizio. Che ne siamo consapevoli o meno, siamo ancora “vittime” di antiche superstizioni legate anche alla tavola. Chi più, chi meno.

Pensiamoci un attimo, in generale. Chi non storcerebbe il naso al solo pensiero di sedere in tredici a tavola (perché si ricollega all’ultima cena di Cristo con gli Apostoli)? O all’idea di invitare ospiti a pranzo di venerdì (giorno nefasto che coincise con la morte di Gesù)? O chi, ancora oggi, oserebbe poggiare il pane capovolto a tavola (simbolo di prossima carestia per la famiglia)? E ancora, chi non getta dietro alle spalle un pugno di sale, se questo inavvertitamente si rovescia (pare sia un tributo dovuto per calmare gli spiriti maligni, sempre in agguato)?

Il pensiero di queste azioni “illogiche” potrebbe far sorridere una buona parte dei lettori; sta di fatto che sono in tanti a confessare di essere attratti da credenze irrazionali e quindi ancora propensi a compiere questi rituali pilotati dalla superstizione.

In Italia sono tante le credenze propiziatorie da compiere nella notte di San Silvestro. ÔÇ¿In Sicilia, ad esempio, la sera di capodanno, nessun lavoro manuale va iniziato o deve rimanere in sospeso perché si rischia di non terminarlo o di concluderlo malamente. Nel Lazio, le nubili infilano in 3 aghi 3 fili diversi, bianco (amore felice), nero (amore infelice) rosso (zitellaggio); poi ne scelgono uno a occhi chiusi e scrutano preoccupate il responso. In Puglia, si mettono 2 chicchi di grano in un bicchiere d’acqua: se restano uniti, matrimonio entro l’anno, altrimenti zitellaggio assicurato ancora per dodici mesi.

Ma anche nella preparazione dei pasti considerati propiziatori sussistono ancora dei must to eat, cui non è possibile sottrarsi se ci si vuole assicurare un anno fecondo di positività.

Secondo la tradizione popolare (leggi anche Capodanno American style: 7 tradizioni a stelle e strisce), sono diversi i cibi bene-auguranti, quelli che propiziano buona sorte, soldi, prosperità e benessere per l’anno che verrà; l’importante è assaggiarne almeno uno la notte di San Silvestro. E se qualche goccia di spumante o di champagne dovesse cadere sul tavolo, tanto meglio: sarà sufficiente bagnarsi un dito e passarlo dietro le orecchie del vicino (evitatelo prudentemente solo se siete ad una cena di gala con qualche commensale nipponico: i giapponesi, sono notoriamente allergici a qualsiasi contatto fisico non autorizzato; negli altri casi, è un gesto scaramantico per augurare prosperità e fortuna a chi sarà oggetto delle vostre attenzioni).

Vediamo, a questo punto, cosa portare in tavola al cenone di San Silvestro, se si vuole iniziare l’anno nuovo sotto i migliori auspici.

Cotechino e zampone

t1Il maiale è notoriamente, sin dai tempi più remoti, simbolo di prosperità e sazietà. Mangiato con lenticchie e salsicce, rappresenta una pietanza decisamente propizia (pure ipercalorica, ma durante le feste il calcolo delle calorie diventa importante come saper ballare l’Hully Gully al ballo della rosa) ed è considerato è un piatto ricco e sostanzioso. Non solo in Italia: la carne di maiale, a dire il vero, è un cibo portafortuna in varie parti del mondo. In Ungheria, ad esempio, a Capodanno si mangia il maiale arrosto con una mela in bocca, ma anche a Cuba, in Spagna e in Portogallo si è soliti mangiare piatti a base di maiale. Secondo gli austriaci, invece, riuscire a toccare un maialino la sera del 31 dicembre porterà fortuna tutto l’anno (addirittura, per facilitare l’operazione, ogni anno molti ristoranti viennesi fanno letteralmente pascolare un maialino fra i tavoli dei commensali). Posto che vai, tradizione che trovi.

Lenticchie

t2Sarà per la loro forma piatta (ricordano delle piccole monete), sarà perché possiedono poche calorie e tante fibre, le lenticchie, secondo la credenza popolare, portano ottimi guadagni economici a chi le mangia la sera di Capodanno. Fin dai tempi più antichi, infatti, si era soliti scambiarsi come dono un portamonete pieno di lenticchie con l’auspicio che queste si tramutassero in soldi. È simbolo di augurio donarsi paioli, cornucopie o piccoli contenitori di coccio sempre ripieni di lenticchie con una piccola moneta, ed esporli alla luce lunare per compiere il miracolo monetario della trasformazione da lenticchie in soldi (anche se la casistica non ci conferma nessun tipo di cambio “favorevole”, in tal senso). Anche in terra brasiliana sono considerate bene-auguranti: con l’arrivo del nuovo anno, infatti, si usa mangiare una zuppa di lenticchie. Le cronache narrano di tanti personaggi della letteratura, intellettuali e anche serissimi scienziati, come Emmanuel Kant, che la sera del 31 dicembre erano soliti mangiare esclusivamente lenticchie; forse per ispirarsi maggiormente con la “Critica della ragion pura”…chissà.

Uva

t3L’uva è un altro simbolo di abbondanza e, come per le lenticchie, auspicio di ricchezza economica. Un noto proverbio dice: “Chi mangia l’uva per Capodanno conta i quattrini tutto l’anno”. Ma attenzione: la tradizione vuole che, allo scoccare della mezzanotte, di chicchi se ne debba mangiare tassativamente dodici (uno per ogni mese dell’anno) o almeno tre, e comunque sempre in numero dispari. Gli spagnoli sono soliti mangiare dodici chicchi d’uva seguendo il ritmo dei dodici rintocchi delle campane a mezzanotte: chi ci riesce avrà soldi e fortuna. In Emilia Romagna, è ancor oggi diffuso il detto popolare “Magnìla cla porta quatrèn!”, che tradotto suona “mangiala, (l’uva) che porta quattrini”.

Melagrana

t4Considerata simbolo di fecondità e fertilità per i numerosi semi rossi che aprendosi rilascia, sono le benvenute in tavola per salutare l’anno nuovo. In Grecia è ancora diffusa l’usanza di sbattere in terra davanti alla porta di casa la melagrana per vedere quanti “soldi” (i chicchi che si staccano) entreranno. Il risotto con i chicchi di melagrana, è appunto uno di quei piatti di origine contadina che, negli ultimi decenni, ha conquistato le tavole dei giorni di festa di diversi Paesi del Mondo.

Noci

t5Come tutti i frutti racchiusi in un guscio duro, anche le noci propiziano per il nuovo anno sicurezza, prosperità, forza e protezione da problemi e malasorte. Vengono ancora spesso usate per fare previsioni sull’anno venturo: ne vengono lanciate tre sul fuoco scoppiettante del camino, per capire, dal fuoco che producono, se sarà un anno propizio o nefasto per l’intera famiglia. Le noci vengono spesso servite con i fichi secchi per suggellare l’abbondanza presente sulla tavola imbandita. Chi non ha mai provato i “panini” fatti con il fico secco, al cui interno, è stata posta una noce?

Marzapane

t6A base di pasta di mandorle dolci, zucchero e albume, il marzapane ha una storia che risale al lontano 1200. Il nome deriva dall’arabo “mauthaban”, che significa moneta. Come per le lenticchie, anche il marzapane è simbolo di ricchezza e augura un anno di grandi soddisfazioni economiche. I dolci di marzapane nelle forme più diverse abbondano sulle tavole delle feste; i pasticcieri, durante il periodo festivo, diventano veri e propri artisti della pasta mandorlata, così da ideare mirabili creazioni degne di essere esposte come piccole opere d’arte “mangereccia”. Se nei paesi anglosassoni e negli Stati Uniti nei giorni di festa sono immancabili gli omini di pan di zenzero, in Italia, come in tanti altri Paesi, c’è l’usanza di preparare marzapane riproducendo cibi e oggetti quotidiani, come frutta e verdura, simboli portafortuna, come corni e ferri di cavallo, ma anche monete e animali. Che sinceramente, diciamoci la verità, fa quasi dispiacere azzannare per la gola.

Castagne

t7Già nel Settecento, in Francia, le nobildonne erano solite scambiarsi come dono le castagne, in segno di prosperità. È risaputo che nel passato la castagna è sempre stata considerata una metafora della vita: l’albero simboleggia l’immortalità, la ciclicità dell’esistenza, in quanto attraversa le sue stagioni vitali, dalla nascita al periodo prospero durante il quale dona i suoi frutti, sino alla morte e alla rinascita. Ancor oggi, portarle in tavola alla fine del cenone, arrostite o bollite, ma anche sotto forma di golosi marron glacé, significa augurarsi di trascorrere un nuovo anno nell’agiatezza e nel benessere.

Pasta

t8Forse non tutti sanno che in alcune nazioni del mondo anche la pasta, in particolare quella lunga, ha un significato speciale: augura longevità e prosperità. Noi italiani, quindi, la sappiamo “lunga”, solo per questo. Siamo consumatori incalliti di pasta, votati per DNA alla dieta mediterranea, ergo, non possiamo che approvare. Questo è il motivo principale per cui al cenone classico, come accade in molte regioni italiane, non dovrebbero mai mancare gli spaghetti (o la pasta lunga), conditi nei modi più svariati. Spaghetti, fettuccine, bucatini e tutti i tipi di pasta lunga in generale simboleggiano, appunto, la continuità della vita. Se poi essa viene servita condita con dell’ottimo sugo, simboleggerà anche la piena goduria culinaria. In Cina, per esempio, sono soliti preparare una zuppa con i “noodles”, (spaghetti molto lunghi) per un’esistenza lunga e prosperosa; i classici ravioli a vapore, invece, per l’occasione vengono realizzati a forma di lingotto.

Spumante-Champagne

t9Su questo argomento si potrebbe aprire un dibattito lungo un anno. Nota è la diatriba fra patrioti italiani, votati allo spumante, ed esterofili, che lo snobbano per lo champagne francese. Diciamo che, nel tempo, il nostrano spumante, di strada ne ha percorsa tanta e si può parimenti affermare che ormai si sia conquistato un posto in “pole position” nel mondo, accanto al blasonato cugino d’oltralpe. Meno caro di quest’ultimo, secco o dolce, è la bottiglia che “spicca” maggiormente su tutte le tavole imbandite e che, al “meno 10 secondi alla mezzanotte”, finisce nelle mani dell’armiere di turno, pronto a farne saltare il tappo. Non mancheranno mai, in tale occasione, tutta una serie di timori ed ansie da prestazione che accompagneranno i momenti precedenti al classico botto. Si comincerà, mentalmente, a passare in rassegna il lampadario con i cristalli della nonna, la finestra appena restaurata, i vari soprammobili sul camino senza alcun tipo di protezione. In quel preciso momento, ogni cosa, verrà vista come prossima a una prematura dipartita. Il tappo piombato in zona neutra, alla fine, farà tirare a tutti, un bel respiro di sollievo.

Archiviato un anno, di gioie e dolori, si ricomincerà una nuova vita e i bicchieri, rigorosamente calici luccicanti, arriveranno in un batter d’occhio a raccogliere quegli spruzzi di allegria, sulla scia del coro dei “cin cin” con le persone più care.

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Paola Orrico

Paola Orrico

Parlare di sé stessi è sempre molto difficile: si rischia di scadere nel retorico o di minimizzare - facendo uno sfoggio di modestia. Citerei piuttosto una frase di Gerry Spence: “Il modo in cui le persone si muovono è la loro autobiografia in movimento.” - perché credo fermamente che siano le azioni a qualificare meglio le persone. Ho fatto tante cose, continuo a farle; sono sempre in movimento perché - nonostante la mia proverbiale pigrizia - ho una mente rumorosa. Sono una giornalista che ha studiato giurisprudenza ed una giornalista che è diventata insegnante di Italiano per stranieri. Amo moltissimo tutto ciò che significa “introspezione”: leggere, scrivere, insegnare. Possiedo una tossicodipendenza da gatti - da quando sono nata e sono attratta da tutto ciò che è ignoto ed oscuro. Forse sono un po’ Wicca inside. Sono alla perenne ricerca della Verità - perché sono una che scava finché non trova qualcosa. Sono essenzialmente una persona introversa: alle mie stranezze però ho imparato a voler bene.

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