In aereo fino a Torino e poi un tranquillo viaggio in auto tra la rigogliosa vegetazione del Piemonte, salendo via via in altitudine e lasciandosi alle spalle le colline e guardando negli occhi gli stupendi massicci alpini. Oppure scegliere il treno che da Torino portaa Pont-Saint-Martin e poi viaggiare con il bus navetta fino al centro abitato distante un chilometri.
Ma in entrambi i casi, una volta giunti a Carema (nelle foto), bisogna scegliere di fermarsi. Perché questo è il capolinea del Piemonte. Perché questo era l’ultimo avamposto romano sulla strada per le Gallie. Perché Carema era una “mansiones”, sede di una guarnigione militare e di una dogana nel quale versare il pedaggio del 2,5% sul valore delle merci in transito dalle Gallie all’Italia. Perché questo è un angolo d’Italia che va scoperto con tutti i cinque sensi, mettendo da parte il turismo mordi e fuggi e abbracciando il fascino della provincia italiana. Carema è l’ultimo paese in territorio piemontese e secondo i suoi cittadini dovrebbe già far parte della Valle d’Aosta. Il suo nome, secondo alcuni studiosi, deriverebbe proprio dalla distanza da Aosta. Il toponimo nascerebbe da “Quadragesimum lapidem ab Augusta Praetoria”, ovvero quaranta miglia romane da Aosta, poi deformato via via in quadragesima, quaresime, caresme e infine Carme. Per altri storici il nome deriverebbe invece semplicemente da Cameram, ovvero dogana, in riferimento al pedaggio che qui veniva riscosso dalla guarnigione romana.
Certo è che il paese, posto a 350 metri d’altitudine, dista esattamente 53 chilometri da Aosta e 64 chilometri da Torino, ponendosi come punto intermedio tra le due più grandi realtà urbane del territorio e tra gli areali pianeggianti e alpini che caratterizzano questo angolo d’Italia. Poco meno di 800 abitanti e un borgo cresciuto intorno al nucleo medievale fanno di Carema un luogo ricco di fascino visivo, cui si sovrappone anche il piacere del gusto.
Intorno al paese infatti si erge una imponente serie di terrazzamenti adibiti a coltura vitivinicola e materia prima del “Carema”, prodotto con il vitigno Nebiolo, invecchiato in gigantesche botti di rovere per più di quattro anni e vino DOC dal 1967. La produzione enologica (citata già nel 1500 come bevanda preferita dalla corte dei Savoia) rappresenta il fiore all’occhiello di un paese che offre scorci di grande suggestione con le sue case di pietra abbracciate le une alle altre, imbiancate con calce, attraversate da strette viuzze e punteggiate da fontane di pietra come quella posta in via Basilia, costruita su ordine dei conti Challant-Madruzzo in omaggio dei Duchi di Savoia nel 1571.
Quella da vivere nel paese piemontese è un’avventura fatta di piccole tappe, tutte da assaporare: nella mente prima che nel fisico. Situata nel canavese, Carema, anticamente abitata dalla popolazione celto-ligure dei Salassi, rappresenta solo uno dei numerosi borghi che punteggiano la conca morenica, capaci di avvolgere i viaggiatori con il calore delle loro tradizioni e della loro genuinità. La strada rimane il vero tesoro di questo borgo, cresciuto sulla sinistra orografica del fiume Dora Baltea e al riparo dai venti freddi proprio intorno alla via di comunicazione che da millenni unisce la penisola italiana ai territori continentali al di là delle Alpi. Ed è qui che passa anche la via Francigena, itinerario dello spirito le cui origini risalgono al Medioevo e che conta alle proprie estremità la città di Canterbury e di Roma. Il cammino è costituito da un insieme di strade che prevedono diverse alternative e varianti, nate per la grande frammentazione politica e dalle impervie condizioni geografiche caratterizzanti il Medioevo Effettuato dal vescovo di Canterbury, Sigerico nel 990d.C. il cammino ha assunto valore storico grazie al diario redatto dallo stesso vescovo in pellegrinaggio a Roma, con la descrizione delle 79 tappe o submansiones “de Roma usque ad mare” (da Roma fino alla costa atlantica).
Il prezioso manoscritto conservato presso la British Library di Londra ha assunto quindi la documentazione storica ufficiale per il tracciato della Via Francigena, che in assoluto rappresenta il miglior modo per conoscere, sul versante italiano, le tantissime peculiarità (storiche, architettoniche, sociali, gastronomiche) del territorio peninsulare.
Carema, inserita in questo antico itinerario del X secolo con la “Strada Reale” o “Strada delle Gallie” può essere vissuta pertanto con lo spirito del viandante in pellegrinaggio, partendo a piedi e con i sensi acuti da Pont St.Martin (in Valle d’Aosta). Superata la ottocentesca Cantina delle Alpi (anticamente una locanda posta al servizio della stazione di sosta dei cavalli) la strada si offre al viaggiatore con il Ponte del diavolo, costruita nel I secolo avanti Cristo tra le due sponde del torrente Lys, con la Casa del Pedaggio appartenuta ai Signori di Pont Saint Martin, e la statua della Madonna della Guardia, che si incontra appena scesi dal ponte. Avanzando verso Carema è possibile scoprire la Cappella Ferrata, posta nell’omonima frazione e dedicata a Sant’Erasmo. La chiesetta è stata fondata dai monaci benedettini nel 1639 e accoglie al suo interno una pregevole statua della Madonna con bambino del 1600 e due ostensori che contengono le reliquie di Sant’Erasmo. L’arrivo nell’abitato di Carema non deve essere considerato lo zenith dell’itinerario. Il paese è infatti legato a doppio filo con i suoi poderosi terrazzamenti coltivati a vite, studiati appositamente per conservare al meglio il calore del terreno all’interno dei filari di vite. Si tratta di un vero e proprio capolavoro dell’ingegno umano, capace di strappare alla montagna (rispettando al tempo stesso la Natura) lo spazio per mettere a dimora i preziosi vigneti. E si tratta di un’architettura diversa da quella di altre aree terrazzate, contrassegnata da colonne Mediotroncoconiche (pilun) realizzate in pietra e calce che poggiano sui muri di contenimento laterali e posizionate a intervalli regolari di 3 metri l’una dall’altra. L’insieme visivo da luogo a uno scenario compositivo di grande suggestione sul quale influiscono anche la sovrapposizione di quattro diversi ordini di travi che posizionate una sull’altra e perpendicolarmente tra loro, offrono il sostegno ai tralci del vitigno Nebiolo (la topia o pergolato).
Percorrere questi sentieri lastricati e scalinati permette di accedere alle terrazze e di passare accanto a tanti piccoli templi definiti da un colonnato esterno. Il paese, visto dai terrazzamenti si presenta agli occhi del visitatore come parte integrante del reticolo, costruito con lo stesso materiale (pietre e calce) e collegato dai sentieri che avvicinandosi al borgo diventano vie. Tale scelta, elaborata nel corso di secoli di storia, ha permesso e permette di raggiungere facilmente i filari di vite e di portare le uve nelle cantine, di raggiungere i boschi di castagni per procurare il legname funzionale alle pergole.
Carema conserva anche tra le sue viuzze una suggestione contrassegnata dalla presenza diffusa di fontane in pietra. Arrivando in centro dopo aver fatto visita al tempietto seicentesco di San Rocco costruito su un sentiero in direzione di Pont Saint Martin, si arriva nella piazza che ospita il Municipio e la chiesa parrocchiale di San Martino per poi raggiungere in via San Matteo il campanile di fine Settecento alto 60 metri che all’interno conta 108 scalini. Nella stessa via è possibile dissetarsi nella fontana in pietra più antica del paese, dedicata al Santo e costruita nel 1460, e nella chiesetta omonima , conosciuta anche come cappella Suplin e datata 1649 con una facciata romanica e decorazioni tipiche dell’architettura medievale valdostana. L’ultimo tratto della passeggiata porta alla scoperta della costruzione tardo-romana di Palazzotto Ugoneti, che fu residenza dei locali feudatari e del “Gran Masun” una poderosa casa fortificata di epoca altomedioevale.
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Scriveva Mario Soldati, nel 1955: Da noi, l’uomo di valore, come il vino prelibato, schiva ogni pubblicità: vuole essere scoperto e conosciuto in solitudine, o nella religiosa compagnia di pochi amici. Occorrono in effetti queste qualità per apprezzare al meglio le gemme naturalistiche ed enologiche racchiuse nella conca morenica di Carema. I suoni della Natura, da soli, basterebbero per ripagare della scelta di scovare il bello e il buono dell’Italia tra le pieghe delle colline piemontesi. Eppure c’è un momento dell’anno in cui il borgo, il Carema smette gli abiti della riservatezza e indossa il colore della festa. Color rosso rubino. Color Carema DOC. La festa del vino e dell’uva , che da 60 anni si rinnova nel paese che fu abitato dai Salassi, richiama migliaia di visitatori negli ultimi giorni di settembre e rappresenta il culmine di una serie di iniziative incentrate sul sincero amore per i secolari vigneti: dal concerto dei vigneti alla corsa dei vigneti, passando attraverso una tavola rotonda incentrata sul tema, per finire alla cena itinerante Andar per cantine antiche , con le visite nelle vecchie crote (veri e propri gioielli architettonici in pietra di tradizione millenaria) pronte a offrire degustazioni di vini e grappe piemontesi a chi ama scoprire lo straordinario prodotto della cultura enologica piemontese. L’assegnazione del Grappolo d’oro rende giustizia, anno dopo anno, ai tenaci coltivatori di Carema, capaci fin dall’epoca celtica di estrarre dagli elementi naturali un nettare prelibato e celebrato dagli esperti (quest’anno il premio è andato a Mario Martinetti vincitore anche del premio speciale alla memoria di Arturo Perono) e degustato dagli appassionati. Una festa che profuma di vendemmia e di cibi genuini quella che a Carema si presenta come una preziosa vetrina del territorio e della produzione enologica locale. E che per tradizione apre l’antico rito della vendemmia.