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September 16, 2012
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ITINERARI/ Il Portus di Roma

Alfonso FranciabyAlfonso Francia
I resti del portico di Claudio

I resti del portico di Claudio

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Chiedete a un romano di indicarvi la strada per raggiungere il porto quello vi guarderà incredulo e magari vi prenderà in giro: a Roma non c’è il mare e quindi di navi neanche a parlarne. Però non dategli retta, perché se alla Roma moderna manca, la Roma antica un porto ce l’aveva eccome. Ancora oggi, con un po’ di pazienza, è possibile visitarlo. A poche centinaia di metri dall’aeroporto di Fiumicino, sul limitare di quell’Isola Sacra che la divide da Ostia, sta “Portus”, vera e propria città edificata a partire dal I secolo dopo Cristo per smistare l’enorme quantità di merci che arrivavano per soddisfare i bisogni e i capricci della Caput Mundi.

Abbiamo detto che serve un po’ di pazienza perché l’area archeologica, pur trovandosi a due passi dall’autostrada che collega la città e il suo aeroporto, non è facilmente visitabile. L’area avrebbe dovuto aprire in occasione del Giubileo del 2000. Era tutto pronto: la biglietteria, i bagni, i cartelli esplicativi, i percorsi. Mancava solo il personale, che non venne mai mandato. Così l’area restò chiusa e sta ancora aspettando una inaugurazione ufficiale. Nel frattempo è possibile visitarla, gratuitamente e su appuntamento, l’ultimo sabato e la prima domenica di ogni mese (archeoroma.beniculturali.it/siti-archeologici/ostia/ porto-traiano). L’intero parco archeologico è affidato alle cure di tre soli dipendenti della Soprintendenza per i Beni Archeologici, che oltre a prendersi cura di un’area estesa per decine di ettari accompagnano i visitatori e inviano materiale via mail a chiunque ne faccia richiesta. È una di loro ad accompagnarci lungo i tre chilometri del percorso e a svelarci gli edifici di uno dei tesori archeologici meglio nascosti della capitale.

Si è detto che l’area fu costruita solo nel I secolo. In precedenza gli abitanti di Roma si erano adattati a ricevere merci e cibo attraverso il porto di Ostia, città a sua volta antichissima fondata per sfruttare le numerose saline allora presenti. Ma quel porto era divenuto ben presto insufficiente per soddisfare la fame di mercanzie della capitale, anche perché Ostia mancava di un attracco adatto alle navi di grosso tonnellaggio, comprese quelle – importantissime – che trasportavano il grano da distribuire ai cittadini. Le imbarcazioni più grandi erano costrette a sbarcare a Pozzuoli, che però era parecchio lontana da Roma. Alla fine l’imperatore Claudio decise di risolvere il problema facendo edificare un grande porto a nord di Ostia: poiché la zona era priva di baie naturali che riparassero dai venti e dalle correnti i vascelli in arrivo, si decise di costruire dei bracci di terra che formassero un bacino semi-chiuso nel quale procedere senza rischi alle manovre di carico e scarico. Il risultato non fu soddisfacente, perché il nuovo approdo era soggetto a insabbiamenti: solo con Traiano, nel 112, Porto comincia a lavorare a pieno regime, tanto che molti dei lavoratori portuali di Ostia vi si trasferirono o vi si recavano giornalmente per lavorare.

Il porto, e la cittadina che vi nacque intorno peralloggiare, intrattenere e nutrire chi vi lavorava – quindi carpentieri, schiavi, doganieri, marinai – era una vera e propria meraviglia. Un enorme faro indirizzava e accoglieva le navi provenienti da ogni angolo del Mediterraneo (“Mare Nostrum”), permettendo loro di entrare nel primo bacino, più esterno. Seguiva un secondo specchio d’acqua più interno, interamente scavato nella terraferma e lastricato per tutta l’estensione del fondale (si trattava, in sostanza, di un’enorme piscina, non solo ancora perfettamente conservata ma piena d’acqua come allora). Era di forma esattamente esagonale: le sue linee dritte impedivano il formarsi del moto ondoso, e il fatto che avesse ben sei lati facilitava l’attracco di un gran numero di navi, fino a duecento contemporaneamente. Delle piccole barche “di servizio” si avvicinavano ai bastimenti in arrivo comunicando il punto esatto in cui potevano approdare.

Subito dietro i moli si trovavano le dogane – dove si controllava anche la qualità delle merci trasportate – e poi una serie di immensi magazzini, gli “horrea”, dove le merci erano conservate in attesa di essere imbarcate via Tevere verso Roma. Dobbiamo tenere presente che di qui passava gran parte del cibo destinato a nutrire il milione di abitanti della Capitale dell’Impero, quindi il passaggio di merci e uomini doveva essere impressionante. Qui era possibile incontrare gente proveniente da ogni angolo dell’Impero e anche oltre: vi transitavano orientali, arabi, africani originari dell’Africa centrale, ispanici, germani. Colori della pelle, lingue parlate e maniere di vestire si concentravano in una manciata di chilometri quadrati: un simile “condensato” di diversità umana non sarà uguagliato fino alla New York di inizio Novecento. Roma era vicina – appena una ventina di chilometri – ma anche lontana: andando a cavallo o, più frequentemente, a piedi non era possibile visitarla in un paio di giorni. Così i marinai e i commercianti che avevano qualche giorno di libertà tra un viaggio e l’altro dovevano accontentarsi di restare in zona, al massimo facendo una puntatina a Ostia. Ecco perché accanto alle darsene, ai depositi e agli edifici amministrativi erano sorte decine di attività commerciali che rendevano il soggiorno più piacevole. C’erano mercati per pesce e verdure, locande dove bere, giocare e magari passare qualche ora in compagnia di qualche ragazza – a pagamento s’intende-.

Non mancavano ovviamente le terme e i templi dove fare un sacrificio agli dèi per propiziarsi un viaggio senza incidenti (a quei tempi andare per mare era estremamente pericoloso) o per ringraziarli dopo una traversata agitata ma conclusasi felicemente. Era una vera e propria città indipendente, estesa per 65 ettari.

Quando il cristianesimo divenne religione ufficiale “Portus” ebbe pure la sua basilica con un ampio fonte battesimale. Proprio questa chiesa, della quale restano solo i muri perimetrali e parte dell’abside, ci ha permesso di conoscere un aspetto interessante del destino di questo luogo. Scavandola, gli archeologi hanno trovato degli interventi di ristrutturazione risalenti al XII secolo: questo significa che la zona continuò a essere abitata per ben sette secoli dopo la caduta di Roma! Certo la sua importanza doveva essere immensamente inferiore al passato, e i traffici di navi limitati a poche rotte, ma qui la vita continuò anche dopo che della potenza dell’Impero si era perso ogni ricordo. Alla fine l’area venne abbandonata perché i sedimenti avevano tanto allontanato la linea di costa che i moli erano ormai interrati e al mare si erano sostituite dune e stagni malarici, che costrinsero anche i pochi abitanti rimasti ad andar via.

La zona, inadatta sia ai commerci che all’agricoltura, venne quindi dimenticata. La Chiesa di Roma donò la terra ai Torlonia, che vi costruirono una residenza e un bel parco e, a partire dagli anni Trenta del Novecento, contribuirono a bonificarla.

Purtroppo questo recupero non si tradusse in serie campagne di scavo, e men che meno in lavori di consolidamento che permettessero l’apertura al pubblico. In compenso, una trentina d’anni fa il parco venne tramutato in zoo safari: l’area intorno agli antichi edifici divenne la casa di bestie della savana alle quali i visitatori si avvicinavano con le automobili! Per fortuna questo scempio non durò a lungo: alla fine degli anni Ottanta metà dell’area fu ceduta allo Stato, che ha completato una serie di scavi importanti e realizzato un tracciato di visita. Così i fortunati che si prenotano per una delle

rare aperture possono visitare i resti dei magazzini – con le lunghe rampe che permettevano il passaggio dei carri ai piani superiori – passeggiare lungo i vecchi moli accanto agli enormi prati che sostituiscono l’acqua oggi scomparsa, salire lungo le mura fortificate che vennero fatte costruire quando Roma era già in decadenza e gli invasori potevano arrivare anche via mare. Il colpo d’occhio dello splendido bacino esagonale vale da solo la visita: basta socchiudere gli occhi per popolare con l’immaginazione quell’acqua placida di decine di bastimenti di ogni dimensione e forma, brulicanti di uomini che si danno da fare per ammainare velocemente le vele e scendere a godersi il sacrosanto riposo dopo i terribili giorni passati in viaggio.

Visitare Porto non sarà emozionante come sbucare per la prima volta davanti al Colosseo o mettersi sotto la volta forata del Pantheon in un giorno di pioggia, ma i suoi sentieri alberati e le sue mura silenziose, lontane da auto e tram, vi aiuteranno a immaginare molto più facilmente quale popolo incredibile siano stati i Romani. Sperando che per il prossimo Giubileo, nel 2025, si riesca a vederla aperta tutti i giorni.

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Alfonso Francia

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